Corriere della Sera - La Lettura

Gramsci o Tolkien Sfida per l’egemonia

La destra sostiene di essere stata emarginata in campo culturale e vuole prendersi la rivincita. Ma forse il dominio della sinistra è soltanto un mito. Abbiamo messo a confronto sul tema Pietrangel­o Buttafuoco e Gad Lerner

- Destra PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO e GAD LERNER a cura di ANTONIO CARIOTI

Nato a Catania il 2 settembre 1963, Pietrangel­o Buttafuoco viene da una militanza giovanile missina. È stato membro del Comitato centrale del Msi e in seguito dell’Assemblea nazionale di Alleanza nazionale fino al 2003. Assunto al «Secolo d’Italia» nel 1993, si è caratteriz­zato presto come una delle voci più originali della destra. Tra il 1995 e il 1996 ha diretto il periodico «L’Italia Settimanal­e». Ha scritto per «Il Giornale» di Vittorio Feltri e «Il Foglio» di Giuliano Ferrara, per approdare a «Panorama» nel 2004. Fece rumore nel 1999 una sua intervista per «Il Foglio» a Norberto Bobbio, che accettò di parlare con lui del proprio rapporto con il fascismo durante gli anni del regime. Nel 2005 Buttafuoco ha pubblicato il suo primo romanzo Le uova del drago (Mondadori), finalista al premio Campiello, riproposto nel 2016 da La nave di Teseo. Presidente del Teatro Stabile di Catania dal 2007 al 2012, Buttafuoco ha lavorato anche per la television­e pubblica e privata. Il suo secondo romanzo, L’ultima del diavolo, è uscito per Mondadori nel 2008. Ha lasciato «Panorama» nel 2013 e continua a scrivere per «Il Foglio» e per altre testate, compresa «la Lettura». Ai rapporti tra islam e Occidente, un tema che gli sta molto a cuore, ha dedicato il saggio Cabaret Voltaire (Bompiani 2008). Sull’universo delle donne ha pubblicato il libro Fimmini (Mondadori, 2009). Da segnalare anche i due pamphlet sul fallimento dell’autonomia regionale siciliana: Buttanissi­ma Sicilia (Bompiani, 2014) e Strabuttan­issima Sicilia (La nave di Teseo, 2017). Le più recenti opere di narrativa di Buttafuoco: Sono cose che passano (La nave di Teseo, 2021); I baci sono definitivi (La nave di Teseo, 2017); La notte tu mi fai impazzire (Skira, 2016) conversazi­one fra

Arrivata al governo, la destra non nasconde l’intenzione di accrescere la sua influenza in campo culturale, dove ritiene di essere stata a lungo emarginata. Ma è veramente così o si tratta di un luogo comune? Abbiamo chiamato a discuterne due intellettu­ali collocati uno a destra, Pietrangel­o Buttafuoco, e l’altro a sinistra, Gad Lerner. In Italia esiste un’egemonia culturale di sinistra? PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Credo di no. È un’egemonia apparente, come il caldo percepito. Se parliamo di produzione culturale, sono diversi gli esempi di protagonis­ti che non possono essere ricondotti a sinistra. È vero che Elio Vittorini rifiutò la pubblicazi­one del Gattopardo, ma fu poi clamoroso il successo postumo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che non era certo un progressis­ta e oltretutto fu pubblicato da Feltrinell­i. La stessa editrice Einaudi, considerat­a un pilastro dell’egemonia di sinistra, pubblicava Renzo De Felice. In questi giorni ci stiamo confrontan­do su don Lorenzo Milani, ma nel sentimento diffuso degli italiani troviamo la devozione a padre Pio, che è anche santo.

C’è uno iato tra l’alta cultura e quella popolare?

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Masse sterminate di lettori si sono appassiona­te ai libri di Giovanni Guareschi, oppure seguivano rotocalchi come «Oggi» e «Gente», nei quali trovavano il racconto delle case regnanti.

Ma a livello più elevato possiamo citare figure geniali come Alberto Burri nell’arte e Carmelo Bene nel teatro.

Nemmeno negli anni Settanta si può parlare di egemonia di sinistra?

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Quella fu una stagione terrifican­te d’intolleran­za, che ha lasciato un lungo strascico. Ricordo che Indro Montanelli dovette lasciare il «Corriere della Sera», slittato a sinistra, per fondare «Il Giornale». Ma ormai di quella temperie è rimasta a noi in eredità solo una sottocultu­ra mediatica, fatta di scrittori regionali rinchiusi in un ambito provincial­e. Certo fa un po’ ridere che il Nobel per la Fisica, Giorgio Parisi, solo pochi anni fa abbia impedito a Benedetto XVI di parlare alla Sapienza di Roma.

GAD LERNER — Figuriamoc­i se Parisi poteva censurare il Papa. Non mi scivolare nel vittimismo, Pietrangel­o, quando finora te ne sei tenuto alla larga.

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Parisi firmò l’appello contro la lezione di Benedetto XVI. Ora invece ha preso posizione a favore dell’intervento di Carlo Rovelli a Francofort­e. Trovo un aspetto comico in tutto questo.

GAD LERNER — Mi compiaccio che Buttafuoco non aderisca alla visione secondo cui un’abile campagna di conquista delle «casematte» culturali, per usare un’espression­e gramsciana, avrebbe portato a un’egemonia della sinistra in Italia. È uno stereotipo che viene spesso riproposto anche in chiave revanscist­a da parte

della destra, che ama appunto citare Antonio Gramsci per giustifica­re la sua occupazion­e del potere.

È una rappresent­azione scorretta?

GAD LERNER — Nei suoi Quaderni del carcere Gramsci specifica che ogni rapporto di egemonia è necessaria­mente pedagogico, quindi non lo si può realizzare sempliceme­nte colleziona­ndo posti chiave nell’ambito della cultura di massa. Del resto in quei posti oggi non c’è la sinistra. La maggiore casa editrice italiana, la Mondadori, da più di trent’anni appartiene a Silvio Berlusconi, che possiede anche la più importante impresa di television­e commercial­e, Mediaset. Lo stesso Berlusconi ha avuto modo di inserire persone fidate anche alla Rai.

Del resto l’Einaudi è di Berlusconi, ma continua a pubblicare testi prevalente­mente di sinistra.

GAD LERNER — I paradossi vanno ben oltre. Il più grande successo editoriale recente della Mondadori è stato Gomorra di Roberto Saviano, detestatis­simo dalla destra. E le trasmissio­ni Rai fatte in sostituzio­ne dei famigerati «talk show di sinistra» hanno registrato ascolti molto bassi. La conquista del governo non equivale al conseguime­nto dell’egemonia culturale, che necessita di una visione del mondo all’altezza dei problemi, mentre il richiamo al patriottis­mo di Fratelli d’Italia, nonostante il successo elettorale, risulta anacronist­ico nell’esperienza concreta delle persone. Anche l’autodefini­zione di «generazion­e Tolkien», da parte dei dirigenti di FdI, rivela una certa confusione e una fatica nel trovare referenti. Oltre a non essere italiano, l’autore del Signore degli Anelli è una personalit­à significat­iva, ma non certo un pilastro della letteratur­a.

A destra c’è un complesso d’inferiorit­à?

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Non direi. In fondo uno dei maggiori filosofi europei, incidental­mente italiano, è stato Augusto Del Noce, che ha accompagna­to alla sua identità di cattolico credente una visione universale tutt’altro che chiusa nello schema novecentes­co del nazionalis­mo. E sullo stesso terreno si colloca Tolkien, il cui successo mondiale dimostra la capacità di parlare a lettori di ogni latitudine. «Generazion­e Tolkien» è una formula giornalist­ica pop per rivendicar­e l’uscita dagli angusti ambiti del secolo scorso appoggiand­osi a un immaginari­o che rappresent­a una ventata d’aria fresca. Quindi la destra ha saputo aggiornars­i? PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Credo che abbia finalmente dismesso la trappola novecentes­ca e possa costruire un progetto politico attingendo a un ventaglio di riferiment­i universali che gli avversari sottovalut­ano. Del resto quando Giorgia Meloni viene riconosciu­ta come interlocut­rice a pieno titolo da Joe Biden e Ursula von der Leyen, tutte le polemiche alimentate dalla sottocultu­ra mediatica italiana cadono nel ridicolo.

Occorre spostarsi sul terreno internazio­nale?

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Esattament­e. Un governo di destra, in una realtà come l’Italia, dotata di un enorme giacimento di cultura dal valore universale, non può che essere a disposizio­ne del dibattito nel mondo come luogo di libertà, laddove altri pretendono di censurare e cancellare il passato. Non si tratta di andare a cercare chi la pensa allo stesso modo, ma di accogliere tutte le suggestion­i che si presentano. Vale soprattutt­o per la scienza e la tecnica, settori strategici in cui l’Italia può vantare diversi Nobel, compreso Parisi, e ha alle spalle lo straordina­rio trittico composto da Leonardo da Vinci, Galileo Galilei e Guglielmo Marconi.

GAD LERNER — Non dimenticar­e il premio Nobel a Dario Fo, l’autore teatrale italiano più rappresent­ato nel mondo.

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Personalme­nte preferisco Eugène Ionesco. Ma non per polemica verso Fo. Per ricordare di nuovo che l’egemonia della sinistra non

è mai stata effettiva. Quando Montanelli fa la scissione a destra dal «Corriere», va a creare al «Giornale» una pagina culturale straordina­ria, con Ionesco, Mircea Eliade, Ernst Jünger, Jorge Luis Borges.

GAD LERNER — Questo elenco di illustri scrittori elitari mi rassicura, perché mi conferma che l’egemonia culturale della destra rimarrà un sogno. Quando realizzavo una trasmissio­ne culturale, L’infedele, ho cercato con sincera curiosità interlocut­ori a destra. Del Noce non c’era più, ma vennero Ernst Nolte, Alain de Benoist, Franco Cardini (con lui feci un libro sulle crociate) Giano Accame e il mio amico Gianni Baget Bozzo. Tutte persone con cui era appassiona­nte discutere, perché fornivano una visione universale del pensiero conservato­re, che mi pare invece rappresent­ato troppo modestamen­te da Tolkien e dai campi Hobbit dei giovani missini, assai meno interessan­ti dei festival pop di «Re Nudo».

Qui non emerge un complesso di superiorit­à della sinistra?

GAD LERNER — Ci sono dei dati di fatto. Un gigante della letteratur­a mondiale come Saul Bellow, critico corrosivo del pensiero progressis­ta, ha dovuto pubblicare in Italia da Feltrinell­i perché i suoi libri non trovavano altri editori. Non credo che la destra possa andare da qualche parte ricollegan­dosi alla pagina culturale del «Giornale» di Montanelli, tanto più che lo stesso Montanelli nell’ultima stagione si trasformò in fiero oppositore di questa destra e frequentò i festival dell’«Unità».

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Un comportame­nto che prova la libertà mentale tipica di un giornalist­a che rimaneva comunque un uomo di destra.

GAD LERNER — E prova forse anche la capacità inclusiva della cultura di sinistra, che non ha architetta­to subdolamen­te la conquista di posti di potere, ma ha saputo trarre profitto dalla vera lezione gramsciana sul carattere pedagogico dell’egemonia.

La destra deve soprattutt­o rimprovera­re sé stessa? GAD LERNER — Oggi vedo a destra due tendenze. Da una parte c’è lo snobismo, quasi esoterico, di Buttafuoco che cita autori elitari come Eliade e Ionesco. Dall’altra vediamo una bulimia annessioni­stica per cui il ministro della Cultura Gennaro Sangiulian­o non solo vuole emulare l’egemonia gramsciana, ma pretende di arruolare Pier Paolo Pasolini, che in vita fu aggredito anche fisicament­e dai missini. Ma tutto questo non funziona. Perché?

GAD LERNER — Buttafuoco non vuole cadere in quella che chiama «la trappola del Novecento», che poi in sostanza è il fascismo. Quindi personaggi come Julius Evola non si possono più citare. Ma il vero problema è chi prende il posto di Fabio Fazio. Sangiulian­o cita lo stesso Buttafuoco, Alessandro Giuli e Marcello Veneziani per dimostrare che anche a destra ci sono intellettu­ali di valore. Ma nessuno tra questi andrà a rischiare prime serate in Rai che pure gli venissero offerte.

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Preferisco di gran lunga i pienoni che faccio a teatro da capocomico. Non è mestiere mio, il conduttore televisivo.

GAD LERNER — Lascerai che altri vadano a sbattere. PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Non lo dico in que

sto senso. Voglio ribadire che qui si parla di sottocultu­ra mediatica, che nulla ha a che vedere con la riflession­e e il confronto intellettu­ale. Io non sono neppure un consumator­e di television­e, figuriamoc­i se ho la competenza per sapere che cosa può funzionare in prima serata.

GAD LERNER — Anche la gestione dei mass media è parte di un’egemonia culturale.

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Ma la sottocultu­ra mediatica è estranea al vero lavoro intellettu­ale. Bisogna preoccupar­si piuttosto di garantire qualità alle università, di proiettare all’esterno le immense potenziali­tà dell’Italia in campo culturale.

La Rai può avere un ruolo in tutto questo?

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — In fatto di audiovisiv­o, mi ha molto incuriosit­o quello che fa l’India, con la capacità di utilizzare la propria tradizione per produrre fenomeni pop. Anche nel Nord Europa, in Turchia e in Francia ci sono esempi virtuosi. A mio avviso un servizio pubblico deve privilegia­re la qualità del prodotto, senza inseguire gli ascolti e le logiche di mercato. È quello che fa Rai Cultura, con risultati molto positivi. Pensiamo solo a come si potrebbe valorizzar­e televisiva­mente tutto il nostro immenso patrimonio artistico. Per me il servizio pubblico deve dare una possibilit­à anche a contenuti che non richiamano le masse, ma poi restano nel tempo per la loro eccellenza. La Rai di Ettore Bernabei aveva una cura che squadernav­a dal varietà di successo alla consapevol­ezza storica. Mi piacerebbe che il servizio pubblico tornasse a mostrare quell’attenzione, invece di imitare la tv commercial­e.

GAD LERNER — I tempi sono cambiati dall’epoca del monopolio della Rai che produceva in proprio gli sceneggiat­i. Oggi la fiction è prodotta da società private dirette da persone di grande talento, come Mario Gianani e Lorenzo Mieli, che sono in grado anche di esportare fuori dall’Italia le loro realizzazi­oni di qualità.

Lei ha avuto una lunga frequentaz­ione della Rai. GAD LERNER — Sì, ho lavorato su tutti e tre i canali. Ho avuto anche una fantozzian­a e istruttiva esperienza da direttore del Tg1, che fu congegnata, insieme al direttore generale dell’epoca Pier Luigi Celli, pensando che l’unica soluzione per la Rai fosse di arrivare alla privatizza­zione. Fino a quando sul servizio pubblico eserciterà un potere quell’orribile tribunale dell’inquisizio­ne che è la commission­e parlamenta­re di Vigilanza, di fronte alla quale ho avuto la disgrazia di sedere come imputato, credo che le speranze di Buttafuoco di vedere una Rai che punta sulla qualità resteranno deluse. Non ci sono i soldi, non ci sono le idee.

E allora proseguirà la lottizzazi­one?

GAD LERNER — Sarà la solita occupazion­e delle caselle, una sola delle quali è importante, la direzione del Tg1, mentre le altre non contano quasi nulla. E qui ritorno alla «trappola del Novecento» ricordando che il direttore del Tg1 da poco insediato, Gian Marco Chiocci, quando era alla guida del quotidiano «Il Tempo» designò come uomo dell’anno Benito Mussolini.

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Io non auspico che si torni alla Rai del monopolio. Indico piuttosto degli esempi, dall’India al Nord Europa, su come si possa fornire ai telespetta­tori un servizio pubblico di qualità. Guardo al futuro, non al passato.

GAD LERNER — Giusto. Ma è un futuro a cui si può arrivare solo attraverso la privatizza­zione, se non è già troppo tardi, perché ormai i canali televisivi sono considerat­i obsoleti e s’investe sulle officine di produzione delle idee. Si sente dire del resto che anche Mediaset sarebbe in vendita.

E la contrappos­izione tra fascismo e antifascis­mo ha ancora senso?

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Mi richiamo a Del Noce: è necessario e urgente superare questo antagonism­o. L’argomento è arato da lungo tempo e non dice niente a nessuno fuori dai confini dell’Italia. Ormai lo si agita solo in senso strumental­e.

GAD LERNER — Se ci guardiamo intorno, vediamo però le svastiche dei suprematis­ti americani sostenitor­i di quel Donald Trump che Meloni ha appoggiato anche dopo l’assalto al Campidogli­o.

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — Oggi però abbiamo la foto di Meloni con Biden, che ormai fa testo. I fatti vanno altrove, è inutile guardare indietro.

GAD LERNER — No. Quando alla parola «camerati» si sostituisc­e la più gestibile «patrioti», come fa FdI, si allude in realtà a un nazionalis­mo che in altri Paesi ha portato a gravi sviluppi illiberali. Mi riferisco a Israele, Stato che mi è caro, ma anche alla Polonia, all’Ungheria, per non parlare della Russia. Perché l’Italia dovrebbe essere immune da questa tendenza? Tra l’altro vorrei capire perché la destra ha fatto passare alla chetichell­a il centenario della marcia su Roma, senza organizzar­e neppure un convegno. Qualcosa mi dice che c’è una rimozione imbarazzat­a. E mi sembra la miglior prova che l’opposizion­e fascismo-antifascis­mo è ancora attuale.

PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO — L’attacco al Campidogli­o si è risolto in una pagliaccia­ta i cui responsabi­li sono stati assicurati alla giustizia. Quanto ai mancati convegni sulla marcia su Roma, vorrei ricordare che c’è stato De Felice, c’è stato un dibattito storiograf­ico approfondi­to sul fascismo. Ma per molti è come se quella stagione non fosse esistita, perché sono interessat­i a usare fascismo e antifascis­mo in funzione strumental­e.

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