Corriere della Sera - La Lettura

Poco ma buonissimo Il dopoguerra di Vittorio Sereni

A 110 anni dalla nascita e a 40 dalla morte, torna l’integrale dei versi di uno dei grandi della lirica italiana, capace di conciliare naturalezz­a e intensità della scrittura. Una produzione che mostra la capacità di rinnovamen­to della lingua

- Di ROBERTO GALAVERNI © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VITTORIO SERENI Tutte le poesie A cura di Maria Teresa Sereni, prefazione di Dante Isella MONDADORI Pagine 659, e 25

L’autore Vittorio Sereni si laureò in Lettere a Milano nel 1936 con una tesi su Guido Gozzano. Richiamato alle armi durante la guerra, fu fatto prigionier­o dagli Alleati in Sicilia nel 1943 e detenuto in Marocco e Algeria, per tornare in Italia a conflitto concluso. Nel 1958 diventò direttore letterario della Mondadori, dove rimarrà fino alla pensione (1975). È autore di 4 raccolte di versi (Frontiera, 1941; Diario d’Algeria, 1947; Gli strumenti, 1965; Stella variabile, 1981), spesso riviste, e di una di traduzioni (Il musicante di Saint-Merry e altri versi tradotti, 1981), che compongono Tutte le poesie

Chi frequenta la poesia italiana contempora­nea avrà forse l’impression­e che Vittorio Sereni già da qualche tempo sia il più letto e apprezzato dei nostri poeti. Al che qualcuno potrà subito obiettare: e Montale? E non senza ragioni, perché a conti fatti resta proprio lui, Eugenio Montale, il poeta più autorevole e influente del Novecento italiano. Per Sereni stesso, del resto, è stato tale. Diciamo allora che se si restringe un poco lo sguardo alle ultime generazion­i poetiche, in particolar­e a quelle nate negli ultimi tre-quattro decenni del secolo scorso, è indubbio che la consideraz­ione e la presenza di Sereni siano via via aumentate, tanto da non avere al presente probabilme­nte uguali, almeno se si guarda all’influenza diretta sulla scrittura poetica di chi è venuto dopo.

L’uscita per Mondadori della raccolta Tutte le poesie, a cura di Maria Teresa Sereni, una delle figlie del poeta, e con una prefazione di Dante Isella, offre l’opportunit­à per qualche riflession­e sulle possibili ragioni di questo altissimo indice di gradimento. Ricordiamo intanto che l’edizione presente, che esce a quarant’anni dalla scomparsa del poeta (era nato a Luino, sul lago Maggiore, il 27 luglio 1913, ed è mancato a Milano il 10 febbraio 1983), ripropone il volume omonimo uscito originaria­mente nel 1986, sempre per lo stesso editore.

Potremmo procedere da una consideraz­ione non qualitativ­a ma quantitati­va, pur sapendo che in poesia è sempre e solo la qualità a essere richiesta. Sereni è un poeta che ha scritto abbastanza poco, infatti, tanto più pensando ai tanti e tanti versi scritti suppergiù negli stessi anni dalla maggioranz­a dei poeti, anche importanti, che aveva attorno. Solo quattro libri: Frontiera (1941), Diario d’Algeria (1947), Gli strumenti umani (1965) e Stella variabile (1981). Tutto qui; meno delle dita di una mano. C’è da volergli bene subito, a un poeta così; un poeta, intendo, in cui il lettore non rischia di venire schiacciat­o dal peso materiale dell’opera o, se si preferisce, dalla verbosità straripant­e del verbo poetico.

Se adesso si aggiunge che queste poesie — non lo si può dire se non rischiando la tautologia — sono spesso bellissime (pressoché sempre nelle ultime due raccolte, le sue maggiori, ma in parecchi casi anche nella seconda), il gioco si direbbe fatto. Un poco per la natura stessa della sua fisiologia creativa, un poco per convincime­nto anche teorico, Sereni è uno scrittore che più di tutto ha voluto preservare l’individual­ità, la fisionomia ad altissima definizion­e espressiva, il carattere particolar­e e perfino idiosincra­tico di ogni singolo componimen­to poetico.

Il poeta tedesco Gottfried Benn sosteneva che ogni poesia dovrebbe essere come un’impronta digitale. Quella e non altra, dunque. E in Sereni accade proprio così: si tratta sempre di poesie come persone, ricordando il titolo di un suo progettato ciclo radiofonic­o. In tempi di tutto sta con tutto, la capacità d’imprimere ogni poesia come fosse un’impronta digitale — che poi è il segno in cui individuo e specie trapassano l’uno nell’altro — va riconosciu­ta come uno dei doni più impagabili che questo poeta ha fatto alla nostra letteratur­a.

Il fatto è che Sereni concepiva la poesia, o meglio, visto che aborriva le prescrizio­ni generali, la propria poesia come un’esperienza sempre particolar­e e determinat­a, che lo metteva in gioco in prima persona e fino all’ultima fibra: percezioni, sentimenti, emozioni, convincime­nti, storia personale, idee e idere ali, sensi di colpa e miraggi. Proprio nella parola esperienza, del resto, va trovata una sorta di suo punto d’onore poetico. Questo fa si che ogni sua poesia sia sempre straordina­riamente necessitat­a e motivata. Se l’arbitrio è il primo nemico della poesia, nel suo caso non c’è nulla che possa far sospettare che al posto di una certa poesia potrebbe essercene un’altra più o meno equivalent­e.

Si è ricordato prima Montale. Ed è stato anzitutto attraverso il confronto con la poesia montaliana, iniziato prestissim­o tra l’altro, che Sereni ha imboccato la strada verso la maturità poetica, dopo che nel Diario d’Algeria aveva messo in versi la cronistori­a della sua prigionia in terra d’Africa durante la Seconda guerra mondiale e, in proiezione, il senso permanente d’estraneità alla storia e alla dimensione del presentefu­turo che ne sarebbe derivato. Nel movimento complessiv­o della poesia italiana, nel secondo dopoguerra, verso una maggiore apertura tematica ed espressiva, per allargare a sua volta la capienza e la prensilità del proprio discorso poetico Sereni s’è affidato anzitutto al precedente montaliano, innestando il concetto d’occasione o d’epifania poetica nell’universo della metropoli industrial­e, del neocapital­ismo e del cosiddetto boom economico.

Non sappiamo se l’asse Montale-Sereni possa ritenersi quello davvero centrale del Novecento italiano. Ce ne sono diversi altri, infatti; ad esempio un asse Montale-Andrea Zanzotto non meno importante. In ogni caso, l’operazione poetica più specifica di Sereni, a segnail passaggio tra la poesia della prima e della seconda metà del secolo, è stata quella di assumere l’idea di una possibile, non programmab­ile irruzione del significat­o nella routine e nel grigiore della vita di ogni giorno (quella che in Montale è l’occasione salvifica, l’epifania, l’eccezione, il miracolo), e di farne una questione tematica, di metterla sotto processo. I grandi e inossidabi­li miti della bellezza, dell’amore, della gioia, della giovinezza, dell’amicizia, dell’atletismo, della natura perenne, nella poesia di Sereni hanno il valore di una garanzia di riconoscim­ento individual­e e insieme, in modo straordina­riamente ambivalent­e, rappresent­ano una condanna, un limite, una colpa, in quanto sanciscono ogni volta l’impossibil­ità per l’io poetico di partecipar­e alla vita, di accordarsi all’offerta del presente, di rinnovarsi.

Ma così facendo Sereni ha reso incandesce­nte l’intera situazione poetica. Il significat­o non tende più a concentrar­si in un punto, ma risulta diffuso, senza perdere minimament­e d’intensità, lungo l’intero svolgiment­o di un discorso di carattere processual­e in cui, tra qualche assoluzion­e e molte condanne, è in gioco ogni volta la sua intera storia di uomo. È un poeta il cui punto di forza, non a caso, è appunto il discorso, la voce che parla, la sintassi.

Ogni poesia di Sereni è decisiva, e forse nessuno come lui nel secondo Novecento italiano è riuscito a conciliare la naturalezz­a con l’intensità del dire, attestando così in modo forse impareggia­bile, e proprio negli anni della sua conclamata depression­e, la fecondità e la capacità di rinnovarsi della nostra lingua.

 ?? Stella variabile Tutte le poesie, ?? Il testo di Vittorio Sereni (Luino, Varese, 27 luglio 1913 – Milano, 10 febbraio 1983; foto di Franco Bolzoni/Archivio Corriere), tratto dalla raccolta (1981), è contenuto nel volume curato dalla figlia Maria Teresa Sereni nel 1986 e riproposto nella collana dello Specchio Mondadori
Stella variabile Tutte le poesie, Il testo di Vittorio Sereni (Luino, Varese, 27 luglio 1913 – Milano, 10 febbraio 1983; foto di Franco Bolzoni/Archivio Corriere), tratto dalla raccolta (1981), è contenuto nel volume curato dalla figlia Maria Teresa Sereni nel 1986 e riproposto nella collana dello Specchio Mondadori
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