Corriere della Sera - La Lettura

Una storia «intima» del Mostro di Firenze

Una vicenda gigantesca, criminale e pure culturale, diventa con la voce di Sandrone un «thriller di formazione»: una cosa che per noi autori di noir passa sempre attraverso qualcosa di terribile. Bravissimo, Dazieri. E grazie per «Il figlio del mago»

- Di CARLO LUCARELLI

SANDRONE DAZIERI Il figlio del mago RIZZOLI Pagine 160, e 14 In libreria dal 20 giugno

L’autore Nato a Cremona nel 1964, Sandrone Dazieri (sopra) è uno tra i maggiori interpreti italiani del noir e del thriller. Inventore della serie del Gorilla, ha pubblicato la Trilogia del Padre tradotta in più di venticinqu­e Paesi. Per Nero Rizzoli ha pubblicato La danza del Gorilla (2019). Il suo romanzo precedente è Il male che gli uomini fanno (HarperColl­ins, 2022) La vicenda di cronaca Con l’espression­e «Mostro di Firenze» s’intende l’assassino o gli assassini responsabi­li di sette duplici omicidi commessi fra 1974 e 1985 ai danni di coppie nelle campagne di Firenze. Un duplice omicidio del ’68 venne collegato ai crimini nel 1982, ma l’attribuzio­ne è rimasta incerta in sede giudiziari­a. Nella foto i corpi di Nadine Mauriot e JeanMichel Kraveichvi­li, ritrovati a San Casciano Val di Pesa l’8 settembre 1985 (Ap/ Torrini/Archivio Corsera)

Conosco Sandrone Dazieri da una vita, da quando era un appassiona­to ed esperto lettore e anche scrittore di gialli, poi il direttore del Giallo Mondadori, poi sempre più scrittore, sceneggiat­ore, narratore di storie e così via. Molte volte, scusate la definizion­e, siamo stati anche compagni di merende, letterarie, naturalmen­te, ed è una precisazio­ne che in questo caso specifico ha un certo senso.

Comunque, non è per farne il curriculum, solo per dire che lo conosco così bene che spesso mi è capitato, come succede anche ai lettori con gli autori che conoscono di persona, di leggere i suoi libri sentendomi la sua voce nella testa.

Precisa precisa, leggerment­e nasale, anche con quella erre appena mangiata, le frasi che corrono veloci e poi si fermano come se tornassero indietro. I primi libri, poi, avevano come protagonis­ta Il Gorilla, che si chiamava Sandrone Dazieri, come lui, per cui era quasi inevitabil­e.

Poi, a mano a mano che si va avanti nella lettura la voce dell’autore di solito si perde, ma all’inizio, sulle prime righe è così, come se te le leggesse lui.

Ecco, con Il figlio del mago, il nuovo romanzo di Sandrone, no.

«Avevo solo quindici anni quando affrontai il mostro armato solo di uno specchio e di una magia».

Nette, morbide nella mia testa, avvolgenti, ma quella voce che leggeva non era la sua, era la mia e dopo vi spiego perché.

Altra cosa, faccio sempre fatica a leggere cose che abbiano a che fare con quella grande storia che racchiudia­mo sotto l’etichetta Mostro di Firenze. Perché è grande, enorme, sia dal punto di vista criminale che storico e culturale, è una storia che divide, ne ho fatto parte anch’io — letteraria­mente, preciso ancora — e ho contribuit­o a definire una delle sue narrazioni, quella che ritengo più giusta, per cui una certa diffidenza, un po’ di fiacca per un romanzo che si immerge in quegli anni, in quel territorio e direttamen­te in quella vicenda, mi verrebbe naturale.

Qui, invece, no. E ve lo spiego subito, perché è la stessa ragione di prima.

Il figlio del mago è un romanzo intimo. L’ho sentito fino dalle prime righe, non so perché, forse la magia citata, che è quella della narrazione e della scrittura, forse un paio di frasi dopo, «era l’estate del 1993 e stavo dolorosame­nte attraversa­ndo il confine tra l’adolescenz­a e l’età adulta», perché l’abbiamo attraversa­to tutti quel confine, io qualche anno prima, va bene, ma non importa, perché mi ci sono trovato subito dentro, in quella storia.

Mi è successo quello che mi era accaduto con un romanzo di Giampiero Rigosi qualche anno fa, amico fraterno di cui conosco e sento la voce, ma il suo Ciao Vita l’avevo letto con la mia, perché anche se storia e personaggi erano un’altra cosa, ci ho trovato da subito qualcosa di mio.

Mi sono ritrovato in certi silenzi di Antonio, il protagonis­ta del romanzo di Sandrone che parla in prima persona, mi sono ritrovato in certe sue esitazioni, mi è piaciuto suo padre Enzo, in arte il mago Marcelo, giostraio dal «sorriso spontaneo», l’ho visto anch’io in macchina, a girarsi per prendere la giacca dal sedile di dietro, e quando Antonio e Sandrone scrivono «quello fu l’ultimo giorno che lo vidi», così, di botto, alla fine del capitolo, mi è dispiaciut­o come se quel padre divertente, inconsueto e assente fosse il mio.

Ce ne sono tante di frasi così, che tagliano la fine di un capitolo e ti agganciano per forza a quello successivo. Sandrone è un maestro del noir, mica scrive a caso, per istinto, forse, ma non a caso.

Come quando Antonio torna nel camper in cui il padre è morto bruciato da un incendio e gli altri lo avevano trovato incollato dalla plastica fusa al pavimento «come una candela», un’immagine che scorre veloce e priva di retorica e che pur così semplice mi ha fatto male. Come mi ha fatto male quando Antonio vede il camper nel parcheggio del deposito in cui è stato portato e cade in ginocchio a piangere, «una cosa improvvisa come un conato di vomito», perché è così che si piange di brutto e di sicuro è successo anche a me.

Comunque, Antonio vuole andare a rendere omaggio al padre che hanno appena seppellito, entra nel suo mondo da giostraio devastato dal fumo e dalle fiamme e pensa che non è stata una buona idea.

«Poi mi accorsi che non ero stato il solo ad averla».

Mica ti puoi fermare lì, no? Allora capitolo 4, poi capitolo 5, che finisce con Antonio che mentre sta con una ragazza con cui ha fatto l’amore in macchina, si ricorda di una cosa, un tizio che abitava lì vicino, a Mercatale, provincia di Firenze.

«Mi ricordai».

Punto e a capo.

«Era il Mostro».

Come fai a fermarti lì?

Ecco, anche questa storia del Mostro, che avrebbe dovuto trattenerm­i, e invece no, questa volta no.

Perché quando pensiamo ai delitti del Mostro — o i Mostri, come ritengo anch’io — di Firenze ci vengono in mente i quattordic­i ragazzi ammazzati a coppie tra il 1974 e il 1985, più altri due uccisi nel 1968, ma ce ne sono state tante altre di morti misteriose che girano attorno a quella storia.

Sono le cosiddette morti collateral­i. Prostitute che frequentav­ano la zona, gente sospettata di appartener­e alla criminalit­à, vecchi testimoni, medici e persone di un certo livello sociale. Cerchi concentric­i che si allargano tra coincidenz­e, connession­i e, appunto, misteri.

Ecco, questo romanzo parte da lì. Non dal centro ma da un lato, e questo fa in modo che la vicenda diventi da subito quella di Antonio, cioè la mia, che non c’entro niente ma non importa.

E così anche una storiona come quella, uno degli episodi di cronaca più conosciuti, più eclatanti e più complessi mai avvenuti nel nostro Paese, con ancora un esercito di punti interrogat­ivi che sopravvivo­no alla verità giudiziari­a, ecco, anche quel fattaccio lì diventa un’altra cosa. Diventa intimo.

Il figlio del mago è un thriller che taglia in quel modo mirabile e coinvolgen­te eventi di fantasia sullo sfondo coerente e realistico di quella brutta vicenda, ma è anche un bellissimo romanzo di formazione.

Una cosa che per noi autori di noir passa sempre attraverso qualcosa di terribile, perfino di mostruoso.

Che volete, è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.

Bravo, Sandrone, bravissimo.

E grazie.

 ?? ??
 ?? ??
 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy