Corriere della Sera - La Lettura
Figlia e madre, due mestieri diversi. Troppo
Dà conto di un rapporto difficile nutrito dalle scorie dell’infanzia
Una bambina sballottata fra un padre e una madre sposati troppo giovani che, in tempo record, hanno capito di non voler più condividere nulla. Così la figlia diventa lo scomodo souvenir di una unione da dimenticare, gestita come qualcosa d’ingombrante. Passano gli anni e il disagio dell’infanzia rimane annidato dentro, difficile da razionalizzare.
Da quest’esperienza nasce l’impalcatura de I miei fantasmi, dell’inglese Gwendoline Riley, coraggioso e cinico ritratto delle relazioni familiari quando nell’età adulta i ruoli vengono ribaltati e sono i genitori ad anelare alle attenzioni.
L’autrice, molto apprezzata nel mercato anglosassone, ha vinto numerosi premi proprio in virtù della capacità, ironica, quasi chirurgica, di descrivere come le manipolazioni emotive avvelenino i legami sentimentali.
Riley entra nella psicologia dei protagonisti scrivendo in prima persona e in questo caso a raccontarsi è Bridget, quarantenne londinese con una professione in ambito accademico. Ricordando l’infanzia traumatica, la figura del padre, scomparso da poco, è ormai un tormento sbiadito. Ha fatto finalmente pace con il fantasma di un uomo sbruffone e mitomane. Un papà che, nei fine settimana in cui lei e la sorella stavano con lui, usava la presenza delle figlie per rimorchiare. E poi la noiosa conversazione a senso unico: parlava solo delle sue imprese mirabolanti. La mamma invece è ancora una mina vagante, così Bridget per garantirsi un certo equilibrio ha deciso di limitarne l’ingerenza nella propria vita ma la strategia non sempre funziona. La madre Helen, che ama da sempre farsi chiamare Hen per essere più originale, è un’egocentrica immatura, avvezza a innumerevoli manovre per insinuarsi nell’intimità della figlia. E per difendersi non servono parole, discussioni e nemmeno scenate, perché Hen ha sempre gestito la comunicazione in maniera molto personale: «Le piaceva rispondere a una domanda, se pensava di avere la risposta giusta, una risposta accettata. Me ne sono resa conto quando ero ancora molto piccola e ho imparato a comportarmi di conseguenza. Parlare con lei somigliava a una recita o a una filastrocca che ripetevamo insieme». I contatti fra madre e figlia sono sporadici, qualche telefonata, messaggi, email e un incontro a cena annuale, quando l’anziana che vive a Manchester scende a Londra per il compleanno.
L’autrice è bravissima nei dialoghi, fulminanti e precisi