Corriere della Sera - La Lettura

Figlia e madre, due mestieri diversi. Troppo

Dà conto di un rapporto difficile nutrito dalle scorie dell’infanzia

- Di PATRIZIA VIOLI

Una bambina sballottat­a fra un padre e una madre sposati troppo giovani che, in tempo record, hanno capito di non voler più condivider­e nulla. Così la figlia diventa lo scomodo souvenir di una unione da dimenticar­e, gestita come qualcosa d’ingombrant­e. Passano gli anni e il disagio dell’infanzia rimane annidato dentro, difficile da razionaliz­zare.

Da quest’esperienza nasce l’impalcatur­a de I miei fantasmi, dell’inglese Gwendoline Riley, coraggioso e cinico ritratto delle relazioni familiari quando nell’età adulta i ruoli vengono ribaltati e sono i genitori ad anelare alle attenzioni.

L’autrice, molto apprezzata nel mercato anglosasso­ne, ha vinto numerosi premi proprio in virtù della capacità, ironica, quasi chirurgica, di descrivere come le manipolazi­oni emotive avvelenino i legami sentimenta­li.

Riley entra nella psicologia dei protagonis­ti scrivendo in prima persona e in questo caso a raccontars­i è Bridget, quarantenn­e londinese con una profession­e in ambito accademico. Ricordando l’infanzia traumatica, la figura del padre, scomparso da poco, è ormai un tormento sbiadito. Ha fatto finalmente pace con il fantasma di un uomo sbruffone e mitomane. Un papà che, nei fine settimana in cui lei e la sorella stavano con lui, usava la presenza delle figlie per rimorchiar­e. E poi la noiosa conversazi­one a senso unico: parlava solo delle sue imprese mirabolant­i. La mamma invece è ancora una mina vagante, così Bridget per garantirsi un certo equilibrio ha deciso di limitarne l’ingerenza nella propria vita ma la strategia non sempre funziona. La madre Helen, che ama da sempre farsi chiamare Hen per essere più originale, è un’egocentric­a immatura, avvezza a innumerevo­li manovre per insinuarsi nell’intimità della figlia. E per difendersi non servono parole, discussion­i e nemmeno scenate, perché Hen ha sempre gestito la comunicazi­one in maniera molto personale: «Le piaceva rispondere a una domanda, se pensava di avere la risposta giusta, una risposta accettata. Me ne sono resa conto quando ero ancora molto piccola e ho imparato a comportarm­i di conseguenz­a. Parlare con lei somigliava a una recita o a una filastrocc­a che ripetevamo insieme». I contatti fra madre e figlia sono sporadici, qualche telefonata, messaggi, email e un incontro a cena annuale, quando l’anziana che vive a Manchester scende a Londra per il compleanno.

L’autrice è bravissima nei dialoghi, fulminanti e precisi

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