Corriere della Sera - La Lettura
Abraham Verghese L’umanità dell’acqua
Americano, nato in Etiopia, medico di professione, lo scrittore si sta imponendo con una saga ambientata in India, nel Kerala dei suoi genitori. «È una terra di fiumi e lagune, di cristiani. Ispirato dalle mie nonne, credo nella forza dei legami»
Il patto dell’acqua Traduzione di Luigi Maria Sponzilli NERI POZZA Pagine 734, 22 In libreria dal 20 giugno
PDi genitori indiani, l’americano Abraham Verghese (Addis Abeba, Etiopia, 1955; a fianco nella foto), dopo il diploma in scrittura creativa allo Iowa Writers’ Workshop nel 1994, ha pubblicato i romanzi My er Abraham Verghese, professore Own Country e The Tennis di Medicina a Stanford e Partner. Il suo La porta delle scrittore nato ad Addis Abeba lacrime (Mondadori, 2009) nel 1955, i conflitti politici sono negli Stati Uniti è stato per secondari rispetto ai legami con 107 settimane in classifica e gli amici, i compagni, i parenti o i colleghi. ha venduto oltre un milione I suoi genitori si sono conosciuti una e mezzo di copie. Verghese decina d’anni dopo la sconfitta delle ha ricevuto la National truppe di Mussolini in Etiopia. Entrambi Humanities Medal e insegna facevano parte di un gruppo di giovani alla Stanford University indiani che Hailé Selassié aveva reclutato School of Medicine per le nuove scuole in costruzione: durante Gli appuntamenti una visita di Stato nel Kerala, India Verghese sarà a Roma meridionale, la vista di file ordinate di venerdì 7 luglio dove alle scolari in uniforme aveva colpito il negus 17.30 interverrà con un al punto che i primi 400 insegnanti del discorso alla cerimonia di suo nuovo impero giunsero proprio da laurea della facoltà di questa regione, una terra ricca d’acqua e Medicina. Inoltre lo scrittore abitata da comunità di cristiani. parteciperà dal vivo al Le famiglie unite e i luoghi della sua vita Bookclub Neri Pozza lunedì sono costanti nei romanzi di Verghese. 10 luglio alle 18 alla libreria Se il primo successo, La porta delle lacrime Trittico di Milano (Mondadori, 2012), è la storia di due (iscrizione obbligatoria: gemelli nati della relazione tra una giovanissima marketing@neripozza.it; suora indiana e un impenetrabile diretta Zoom con iscrizione chirurgo inglese in un ospedale missionario al link); sempre a Milano, di Addis Abeba, il suo nuovo romanzo l’indomani, martedì 11, alle Il patto dell’acqua, in uscita per 18 sarà alla Milanesiana, Neri Pozza, racconta una famiglia cristiana ideata e diretta da Elisabetta proprio del Kerala. Un’epopea attraverso Sgarbi (Fondazione Corriere diverse generazioni dalla trama fitta della Sera, sala Buzzati, via e dalla prosa travolgente che ha inizio Balzan 3) con Mario Botta, una notte dell’anno 1900, con una ragazzina Stefano Mancuso e di 12 anni «povera e priva di dote» Venanzio Postiglione (recital terrorizzata perché deve sposare un vedovo della violinista Hildegard quarantenne, proprietario di una tenuta De Stefano e del pianista chiamata Parambil. «La ragazza che Davide Ranaldi) tremava davanti all’altare e ora giace acnosciute. canto a suo marito in attesa di un figlio non può sapere che un giorno sarà la matriarca rispettata della famiglia di Parambil»: è Grande Ammachi, una donna il cui cuore è aperto a tutti, non importa se portatori di conforto o dolore.
Un personaggio simile è atipico nella letteratura degli Stati Uniti d’America. «Le madri sono troppo spesso ritratte come eccentriche o addirittura malvagie, ma io avevo in mente le mie nonne», racconta Verghese a «la Lettura». Cioè «donne che hanno vissuto in modo dimesso, ma dotate di un eroismo che il mondo riconosce solo di rado. Entrambe hanno vissuto la propria fede senza ostentarla. Entrambe hanno perso un figlio, eppure sono riuscite ad andare avanti e crescere gli altri in modo meraviglioso, a essere amorevoli e riconciliarsi con l’arbitrarietà e la crudeltà della vita, senza perdere la fede. Sono stato fortunato ad averle coMan mano che il libro si sviluppava, ho capito che la personalità di Grande Ammachi era il centro della narrazione, la bussola morale del romanzo, l’ancora che teneva in orbita i rami meno stabili della famiglia».
Anche l’acqua ha un ruolo fondamentale. Lei scrive: «L’acqua in cui è entrata pochi minuti fa è fluita lontano, eppure è ancora lì, passato, presente e futuro inesorabilmente allacciati, come tempo fatto persona».
«Ho sempre pensato che l’acqua influenzi il carattere dell’intero Stato del Kerala, i gesti e il linguaggio dei suoi abitanti. In quella terra di tanti fiumi, stagni, canali, laghi e lagune, l’acqua è il collegamento più importante: l’autostrada. E collega anche le persone tra un’epoca e l’altra. Quando sono sulla riva di un grande fiume, che sia il Mississippi o il Pamba, sento che quel fiume collega il passa
to al presente, perché ha attraversato e superato molte generazioni. Eppure, come si suol dire, “non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume”. Il fiume è sempre lo stesso, ma costantemente nuovo».
La storia raccontata nel libro riguarda l’India dal 1900 al 1970 e parla di comunità molto forti, però non troviamo grossi segnali di resistenza contro i colonizzatori britannici.
«Tradizionalmente, il Kerala è stato in qualche modo protetto dalle commozioni cerebrali e gli tsunami che hanno colpito il resto dell’India. Parte del merito è della catena montuosa dei Ghati occidentali, che per i vari invasori ha rappresentato un ostacolo considerevole. Ma prima di tutto, secoli di commerci con marinai e mercanti del Golfo Persico e persino dell’Estremo Oriente, tutti venuti per le spezie, hanno dato al Kerala una prospettiva più ampia. I maharaja che governavano quello che poi è diventato il Kerala erano illuminati, promossero l’istruzione con la conseguenza che la popolazione era molto alfabetizzata. Oggi l’alfabetizzazione è al 99%. Per questi motivi, il Kerala e la sua gente hanno reagito in modo diverso. Nel corso del dominio coloniale, gli inglesi fecero un patto con il maharajah e gli permisero di governare in cambio di una tassa. Sebbene fosse sotto il dominio coloniale, il Kerala fu dunque risparmiato dalla vista di soldati e amministratori britannici ovunque».
E la religione cristiana? Nel libro la comunità dei cristiani di San Tommaso ha un ruolo fondamentale.
«Ci rammenta che la fede conta e in passato ha contato davvero tanto. Anche ora, quando vedo pazienti che hanno una fede forte, so che resisteranno meglio alle sfide mediche o che avranno più risorse cui attingere. Penso che oggi, nel nostro mondo, siamo troppo cinici: pensiamo che la scienza contraddica la fede. Sono del parere che tantissime cose ci siano sconosciute. E cos’è la fede se non credere in assenza di prove? Sono affascinato dall’antica fede dei miei antenati e dal modo in cui la generazione dei miei genitori l’ha praticata in modo tanto inconsapevole. Sono affascinato anche dal modo in cui in Kerala la fede cristiana sia ancora cosparsa di reminiscenze di rituali indù».
Lei, americano, è nato in Etiopia, che fu occupata dagli italiani. «La porta delle lacrime» è ambientato lì. Vorrebbe dire qualcosa ai lettori italiani?
«Quand’ero ragazzo, ad Addis Abeba gli italiani erano molti, lo era anche il mio migliore amico. Il lascito della breve occupazione dell’Etiopia da parte dell’Italia è stato immenso, in termini di popolarità del cibo, del caffè espresso e persino dell’architettura. Molti in Etiopia (specialmente chi proveniva dall’Eritrea, che quando sono cresciuto faceva parte dell’Etiopia ed è stata colonia italiana più a lungo) sapevano parlare un po’ di italiano. Anche io ho imparato qualche frase. Ho sempre pensato che per i lettori italiani La porta delle lacrime avesse una risonanza particolare. Benché gli italiani siano stati colonizzatori per anni e la guerra di liberazione sia stata a volte brutale, con la fine del conflitto tantissimi scelsero di rimanere. Nel dopoguerra le condizioni in Italia erano disastrose, ma era raro che un ex soldato potesse restare senza essere linciato o fucilato. Gli italiani sono stati accolti anche grazie alla loro personalità calorosa ed estroversa. Si sono stabiliti, hanno sposato ragazze etiopi, si sono messi a gestire alberghi o stazioni di servizio non solo in città importanti come Addis Abeba o, in Eritrea, l’Asmara, ma anche nei centri più piccoli».
Sembra non aver mai perso fiducia nel genere umano.
«L’alternativa è triste. Ogni giorno vedo o sento di straordinari atti di coraggio, fede, perseveranza e generosità di fronte alle avversità che mi rendono orgoglioso di essere umano».
«La porta delle lacrime» in Etiopia. «Il patto dell’acqua» in Kerala. Ci aspetta un libro ambientato negli Usa?
«Direi di sì. Ora vivo negli Stati Uniti da più tempo di quanto abbia mai vissuto in qualsiasi altro posto. Il prossimo romanzo sarà ambientato qui».