Corriere della Sera - La Lettura
Tutti gli avanzi di «vite imbandite»
Bertozzi & Casoni
Le tracce di qualcuno che ci ha preceduto, i resti di riti quotidiani cristallizzati per sempre... come l’insetto imprigionato nell’ambra perpetuano l’attimo all’infinito. Abbiamo davanti agli occhi una rappresentazione in ceramica, più reale del vero, la testimonianza dell’effimero; nature morte a grandezza naturale ci invitano a riflettere sulla provvisorietà.
Sono le opere di due artisti di talento, dotati di estro e grande virtuosismo tecnico, che si completano a tal punto che si propongono come una società, Bertozzi & Casoni, rinunciando a vanità individuali. Un sodalizio professionale nato nel 1980 sui banchi dell’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza, oggi terra tra le più sofferenti a causa dell’alluvione. Originali e innovativi, Giampaolo Bertozzi (Borgo Tossignano, Bologna, 1957) e Stefano Dal Monte Casoni (Lugo di Romagna, Ravenna, 1961-Imola, 2023), si sono sempre occupati di scultura in ceramica, vivendola come un territorio di ricerca e sperimentazione senza confini. «La recente e dolorosa scomparsa di Stefano, il 12 maggio — dice Bertozzi a “la Lettura” — lascia un vuoto incolmabile, ma il lavoro continuerà perché il tempo che abbiamo passato insieme nel progettare e discutere ci ha fatto diventare un’unica persona e lui continuerà con me a lavorare per sempre, finché avrò forza per farlo. Questo è quello che lui vorrebbe ed è quello che avrei voluto se a mancare fossi stato io».
La loro è la storia di un lungo percorso di studio e sperimentazione sui materiali ceramici toccandoli un po’ tutti: i semirefrattari, terre adatte alle opere di grandi dimensioni; la porcellana per realizzare le farfalle e alcuni fiori come le rose; la terraglia per i piccoli elementi compositivi come forchette e piatti; la maiolica per vassoi e piatti; il grès per le finiture. Hanno usato e fatto sperimentazioni sulle fusioni in bronzo per ottenere spessori molto sottili per la riproduzione di foglie e fogli accartocciati.
È in corso, alla Carlocinque Gallery di Milano, la mostra Mirabili tracce (fino al 25 luglio): ad accogliere il visitatore è una splendida donna-gorilla a grandezza naturale; archetipo di bellezza primordiale, indossa con naturalezza gli abiti neoclassici di Mademoiselle Caroline Rivière (1806) nel celebre dipinto di Ingres, il panneggio ha dell’incredibile, nell’insieme è un colpo d’occhio ineguagliabile che vanifica barriere genetiche e temporali mettendo a nudo l’origine dell’umano. Domina la sala successiva una lunga tavola imbandita con gli avanzi di commensali non troppo educati: piatti, tazzine, stoviglie abbandonate, fette di pane e dessert al cucchiaio lasciati a metà, un campo da battaglia; se la rivoluzione non è un pranzo di gala è pur vero che questa coppia di artisti una piccola rivoluzione, con eleganza, l’ha fatta, introducendo la loro ceramica nel mondo dell’arte con un linguaggio contemporaneo. Tutti gli elementi di quest’opera (Resistenza 2, 2017, 300 x 127 centimetri) sono dettagliatissimi, rigorosamente in ceramica policroma. Un realismo oltre ogni limite, ottenuto con un paziente lavoro nel luogo che Stefano Dal Monte Casoni chiamava «l’opificio nel quale lavora un alchimista che cerca l’impossibile».
Le altre opere in mostra sono composizioni di gusci d’uovo con i tuorli a vista, sopra vassoi che ospitano anche oggetti alieni, qualche banconota accartocciata, flaconi usati o, addirittura, alcune lumache, rifiuti e scarti si stratificano e si alternano alla grazia e alla potenza di forme vegetali e animali. Le uova rotte e non fecondate, come pulcini non nati, sono il segno di qualcosa che non sarà. Gli assemblaggi di ossa e teschi ricoperti da coccinelle o fragili farfalle, col favore della materia usata, trasformano il macabro in ludico, facendoci apprezzare il fascino del transitorio e la poetica del fugace.
In un gioco di specchi immaginario, i soggetti rappresentati come effimere nature morte destinate all’oblio diventano immortali grazie alla ceramica, materia modesta in natura e nobile nell’utilizzo, che ne restituisce l’aspetto e i vividi colori. Mai l’immagine della precarietà fu così definitiva e indelebile, un attimo di vita compiuta consegnato a un futuro più che concreto che puoi contemplare come osservatore non invitato. Il provvisorio che ci circonda, l’insicurezza che cerchiamo di ingannare riempiendo la vita di simboli, viene «disinnescata» dall’opera d’arte.
Sulla tavola soltanto i resti di un pranzo disordinato, piatti sporchi e dolci lasciati a metà. Le sculture in ceramica di (quest’ultimo scomparso pochi giorni fa) sono in mostra a Milano
Le tematiche che hanno affrontato nel percorso artistico «sono legate a tutto quello che l’uomo lascia dietro di sé al suo passaggio, quasi un lavoro di archeologia del presente. I nostri modelli sono per lo più i rifiuti, —conclude Giampaolo Bertozzi— quello che rimane dopo un’azione compiuta, sono delle vanitas del presente, dove la figura umana non è mai rappresentata». Combinare vari elementi e simbologie, l’alto e il basso, le credenze popolari con gli idoli di oggi, aggiungere elementi effimeri di contemporaneità, come un foglio di ideogrammi giapponesi, ceri cimiteriali, lattine di bibite e altri elementi estranei per rendere tutto più credibile e vero. «L’arte dà vita a cose che intercettano emozioni e sentimenti condivisi, crea empatia per comunicare». I titoli offrono una giocosa lettura parallela delle opere, Ossobello, nel cartiglio sotto una composizione di ossa umane; sul piatto con la torta bavarese in disfacimento, gusci di telline, tazzina da caffè usata e buttata lì, un assemblaggio improbabile ed equilibrato nel quale spicca un teschio di bue americano, la scritta rossa, in gotico, «Fine», si accorda con quella in nero, «Finestra» e il definitivo diventa subito una possibilità di varcare una soglia, verso altro. Precedentemente, con i loro lavori, Bertozzi & Casoni hanno affrontato, analizzandolo a fondo, il tema dello scarto e dell’avanzo in tutti i suoi aspetti, con uno sguardo malinconico sul già esistito. Esaltando la caducità con composizioni complesse dai colori vividi ne nobilitano l’essenza, con queste ricercate sculture gli artisti compiono una raffinata distrazione dal timore per la fine delle cose, o del nostro ineluttabile destino.