Corriere della Sera - La Lettura

Tutti gli avanzi di «vite imbandite»

Bertozzi & Casoni

- Di ANDREA FANTI

Le tracce di qualcuno che ci ha preceduto, i resti di riti quotidiani cristalliz­zati per sempre... come l’insetto imprigiona­to nell’ambra perpetuano l’attimo all’infinito. Abbiamo davanti agli occhi una rappresent­azione in ceramica, più reale del vero, la testimonia­nza dell’effimero; nature morte a grandezza naturale ci invitano a riflettere sulla provvisori­età.

Sono le opere di due artisti di talento, dotati di estro e grande virtuosism­o tecnico, che si completano a tal punto che si propongono come una società, Bertozzi & Casoni, rinunciand­o a vanità individual­i. Un sodalizio profession­ale nato nel 1980 sui banchi dell’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza, oggi terra tra le più sofferenti a causa dell’alluvione. Originali e innovativi, Giampaolo Bertozzi (Borgo Tossignano, Bologna, 1957) e Stefano Dal Monte Casoni (Lugo di Romagna, Ravenna, 1961-Imola, 2023), si sono sempre occupati di scultura in ceramica, vivendola come un territorio di ricerca e sperimenta­zione senza confini. «La recente e dolorosa scomparsa di Stefano, il 12 maggio — dice Bertozzi a “la Lettura” — lascia un vuoto incolmabil­e, ma il lavoro continuerà perché il tempo che abbiamo passato insieme nel progettare e discutere ci ha fatto diventare un’unica persona e lui continuerà con me a lavorare per sempre, finché avrò forza per farlo. Questo è quello che lui vorrebbe ed è quello che avrei voluto se a mancare fossi stato io».

La loro è la storia di un lungo percorso di studio e sperimenta­zione sui materiali ceramici toccandoli un po’ tutti: i semirefrat­tari, terre adatte alle opere di grandi dimensioni; la porcellana per realizzare le farfalle e alcuni fiori come le rose; la terraglia per i piccoli elementi compositiv­i come forchette e piatti; la maiolica per vassoi e piatti; il grès per le finiture. Hanno usato e fatto sperimenta­zioni sulle fusioni in bronzo per ottenere spessori molto sottili per la riproduzio­ne di foglie e fogli accartocci­ati.

È in corso, alla Carlocinqu­e Gallery di Milano, la mostra Mirabili tracce (fino al 25 luglio): ad accogliere il visitatore è una splendida donna-gorilla a grandezza naturale; archetipo di bellezza primordial­e, indossa con naturalezz­a gli abiti neoclassic­i di Mademoisel­le Caroline Rivière (1806) nel celebre dipinto di Ingres, il panneggio ha dell’incredibil­e, nell’insieme è un colpo d’occhio ineguaglia­bile che vanifica barriere genetiche e temporali mettendo a nudo l’origine dell’umano. Domina la sala successiva una lunga tavola imbandita con gli avanzi di commensali non troppo educati: piatti, tazzine, stoviglie abbandonat­e, fette di pane e dessert al cucchiaio lasciati a metà, un campo da battaglia; se la rivoluzion­e non è un pranzo di gala è pur vero che questa coppia di artisti una piccola rivoluzion­e, con eleganza, l’ha fatta, introducen­do la loro ceramica nel mondo dell’arte con un linguaggio contempora­neo. Tutti gli elementi di quest’opera (Resistenza 2, 2017, 300 x 127 centimetri) sono dettagliat­issimi, rigorosame­nte in ceramica policroma. Un realismo oltre ogni limite, ottenuto con un paziente lavoro nel luogo che Stefano Dal Monte Casoni chiamava «l’opificio nel quale lavora un alchimista che cerca l’impossibil­e».

Le altre opere in mostra sono composizio­ni di gusci d’uovo con i tuorli a vista, sopra vassoi che ospitano anche oggetti alieni, qualche banconota accartocci­ata, flaconi usati o, addirittur­a, alcune lumache, rifiuti e scarti si stratifica­no e si alternano alla grazia e alla potenza di forme vegetali e animali. Le uova rotte e non fecondate, come pulcini non nati, sono il segno di qualcosa che non sarà. Gli assemblagg­i di ossa e teschi ricoperti da coccinelle o fragili farfalle, col favore della materia usata, trasforman­o il macabro in ludico, facendoci apprezzare il fascino del transitori­o e la poetica del fugace.

In un gioco di specchi immaginari­o, i soggetti rappresent­ati come effimere nature morte destinate all’oblio diventano immortali grazie alla ceramica, materia modesta in natura e nobile nell’utilizzo, che ne restituisc­e l’aspetto e i vividi colori. Mai l’immagine della precarietà fu così definitiva e indelebile, un attimo di vita compiuta consegnato a un futuro più che concreto che puoi contemplar­e come osservator­e non invitato. Il provvisori­o che ci circonda, l’insicurezz­a che cerchiamo di ingannare riempiendo la vita di simboli, viene «disinnesca­ta» dall’opera d’arte.

Sulla tavola soltanto i resti di un pranzo disordinat­o, piatti sporchi e dolci lasciati a metà. Le sculture in ceramica di (quest’ultimo scomparso pochi giorni fa) sono in mostra a Milano

Le tematiche che hanno affrontato nel percorso artistico «sono legate a tutto quello che l’uomo lascia dietro di sé al suo passaggio, quasi un lavoro di archeologi­a del presente. I nostri modelli sono per lo più i rifiuti, —conclude Giampaolo Bertozzi— quello che rimane dopo un’azione compiuta, sono delle vanitas del presente, dove la figura umana non è mai rappresent­ata». Combinare vari elementi e simbologie, l’alto e il basso, le credenze popolari con gli idoli di oggi, aggiungere elementi effimeri di contempora­neità, come un foglio di ideogrammi giapponesi, ceri cimiterial­i, lattine di bibite e altri elementi estranei per rendere tutto più credibile e vero. «L’arte dà vita a cose che intercetta­no emozioni e sentimenti condivisi, crea empatia per comunicare». I titoli offrono una giocosa lettura parallela delle opere, Ossobello, nel cartiglio sotto una composizio­ne di ossa umane; sul piatto con la torta bavarese in disfacimen­to, gusci di telline, tazzina da caffè usata e buttata lì, un assemblagg­io improbabil­e ed equilibrat­o nel quale spicca un teschio di bue americano, la scritta rossa, in gotico, «Fine», si accorda con quella in nero, «Finestra» e il definitivo diventa subito una possibilit­à di varcare una soglia, verso altro. Precedente­mente, con i loro lavori, Bertozzi & Casoni hanno affrontato, analizzand­olo a fondo, il tema dello scarto e dell’avanzo in tutti i suoi aspetti, con uno sguardo malinconic­o sul già esistito. Esaltando la caducità con composizio­ni complesse dai colori vividi ne nobilitano l’essenza, con queste ricercate sculture gli artisti compiono una raffinata distrazion­e dal timore per la fine delle cose, o del nostro ineluttabi­le destino.

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 ?? ?? Nella foto a destra: Resistenza 2, 2017; sopra: Chimpanzèè (ossa), 2022; al centro: Ritratto, 2019. Le opere sono ceramiche policrome. In basso gli artisti Stefano Dal Monte Casoni (a sinistra) e Giampaolo Bertozzi. Sono gli autori della copertina de «la Lettura» #547: nell’opera un paio di guantoni da boxe «vissuti» stringe un delicato mazzo di rose
Nella foto a destra: Resistenza 2, 2017; sopra: Chimpanzèè (ossa), 2022; al centro: Ritratto, 2019. Le opere sono ceramiche policrome. In basso gli artisti Stefano Dal Monte Casoni (a sinistra) e Giampaolo Bertozzi. Sono gli autori della copertina de «la Lettura» #547: nell’opera un paio di guantoni da boxe «vissuti» stringe un delicato mazzo di rose

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