Corriere della Sera - La Lettura
Anche il pianista si mette a danzare
Abbiamo visto a Lione «Unstill Life» che avrà in Umbria il debutto italiano. Il coreografo Benjamin Millepied, marito di Nathalie Portman, coinvolge il musicista Alexandre Tharaud e dice: «Torno a ballare dopo 13 anni, sfido il mio corpo»
(in alto, il passo a due tra il pianista e il danzatore, foto di Paul Bourdrel) intreccia brani di Jean-Philippe Rameau, Erik Satie, Johann Sebastian Bach, Franz Schubert e Ludvig van Beethoven ed è atteso in prima nazionale domenica 25 giugno al Teatro Romano di Spoleto per il Festival dei Due Mondi, dove Millepied torna 10 anni dopo l’esibizione della compagnia la lui fondata, il L.A. Dance Project
«Torno a ballare dopo 13 anni, nonostante senta i limiti di un corpo che si avvicina ai cinquanta. Ho lasciato la scena presto, ma sentivo il desiderio di tornare sul palco per salutare il pubblico, dopo tutte le esperienze che ho avuto, tra teatro e cinema. Perciò, apro un nuovo capitolo della mia vita, un’esistenza peraltro sfaccettata: dopo Los Angeles, di nuovo Parigi. In fondo, sono il prodotto di due culture, americana ed europea, e rappresento ciò che mi abita. Non è solo una sfida ma una necessità». A 46 anni, Benjamin Millepied torna a puntare su sé stesso, con scaltra autoironia, e vira di nuovo verso l’Europa, dopo la contrastata direzione del Ballet dell’Opéra de Paris, dal 2014 al 2016.
Occhi blu e sguardo prensile di chi sa sedurre, il fascinoso coreografo e regista francese, divenuto divo hollywoodiano grazie al successo planetario di Black Swan, pellicola psicopatologica sul mondo del balletto di Darren Aronofsky del 2009, Millepied ricomincia da Benjamin con Unstill Life, delizioso duetto tra danza e musica, in coppia con il pianista Alexandre Tharaud, esponente di punta della scuola francese. Dopo il debutto assoluto ai Théâtres Romains di Lione per les Nuits de Fourvière martedì 13 giugno, lo spettacolo è atteso in prima nazionale al Festival dei Due Mondi di Spoleto, domenica 25 al Teatro Romano. A Lione è spuntata al fianco di Millepied, con i due figli Aleph e Amilia, l’attrice Natalie Portman, conosciuta sul set del Cigno nero e sposata con clamore mediatico: secondo la stampa internazionale, la coppia da red carpet sarebbe in crisi per il presunto tradimento di lui con l’ambientalista venticinquenne Camille Étienne. «Che cosa pensa Natalie del nuovo capitolo parigino della mia vita? Chiedetelo a lei», risponde sfuggente Benjamin. Certo è che con Unstill Life, Millepied sembra tornare sui propri passi, scavando nell’essenza stessa del primo amore, la danza, ora che la sua compagnia L.A. Dance Project ha compiuto 10 anni e, grazie al finanziamento di Van Cleef & Arpels, si proietta verso un futuro garantito di altri 4.
Nato a Bordeaux nel 1977 ma cresciuto a Dakar, in Senegal, «in mezzo a percussionisti africani», ha studiato al Conservatoire National supérieur de musique e de danse di Lione prima di volare negli States e diventare principal dancer del New York City Ballet sotto l’ala di Jerome Robbins. In Unstill Life, in cui si intrecciano partiture di Rameau, Satie, Bach, Schubert e Beethoven, Millepied calca nuovamente le tavole del palcoscenico nelle vesti essenziali di danzatore e di regista munito di una videocamera con cui riprende in diretta le mani ipnotiche di Tharaud sulla tastiera, proiettate su uno schermo sul quale appaiono, nell’ora di spettacolo, anche i filmini d’infanzia dei due (idea già proposta da Millepied nel solo Years Later per Baryshnikov del 2007), in un gioco di specchi che incrocia i sogni mancati del danzatore e del pianista: Benjamin voleva fare il pianista, Alexandre il ballerino e, difatti, a tratti abbandona il pianoforte per raggiungere l’amico in leggiadri passi a due, in cui viene sollevato e fatto roteare da Millepied.
«In questa serata — ammette il pianista — Benjamin ha dimostrato che può far danzare chiunque. Ho studiato danza classica con mia madre fino ai 13 anni ma evidentemente non sono un danzatore. Credo, però, sia interessante veder danzare un pianista, perché quello del musicista è un corpo strano, senziente. Chiudiamo lo spettacolo sulla musica di Beethoven, compositore che si è allontanato dal mondo per la sua sordità. Sfioriamo così il tema dell’età, cruciale sia per un danzatore classico sia per un pianista, perché la tecnica cambia, come molte altre cose nella vita. Beethoven ci ricorda che l’età è importante quando, a cinquant’anni, il corpo comincia a essere affaticato e a funzionare peggio. Ma quando guardo Benjamin con i suoi occhi blu, vedo in lui il bambino, mi accorgo che non ha mai lasciato veramente la sua infanzia e mi sento molto vecchio accanto a lui. Stavolta mi ha insegnato a tornare all’infanzia e a giocare, mentre un pianista classico è portato a estraniarsi nel suo strumento. Per me questa è una sorta di omeopatia», afferma Tharaud, non nuovo a esperienze trasversali tra le arti. Sicuramente per Millepied Unstill Life è un abbraccio al pubblico con incursioni nelle gradinate dei Teatri Romani, in una coreografia tra virtuosismi e improvvisazioni, alla vigilia dell’uscita nei cinema francesi del suo primo film, Carmen, trasposizione contemporanea dell’opera di Bizet e della novella di Mérimée in una fuga dal cartello della droga messicano verso la California, protagonisti Melissa Barrera e Jamie Dorman, con la musa di Almodóvar, Rossy de Palma.
Millepied, è il suo esordio da regista cinematografico. Il film sarà distribuito in Italia?
«Non lo so ancora. Amo il cinema italiano, da L’albero degli zoccoli di Olmi, a L’eclisse di Antonioni, ai film di Visconti, naturalmente. Adoro l’immagine, la fotografia. Carmen è stata un’esperienza breve, per quanto di un’intensità folle, molto creativa. Ho riunito l’équipe in una visione comune, condivisa».
Torna a Spoleto dopo 10 anni: il Festival è legato al nome di Jerome Robbins che fu suo mentore al New York City Ballet. Qual fu la sua lezione?
«Iniziai a coreografare a 14 anni sulla musica di Mozart: una danza molto naturale, con un gioco di sguardi tra i danzatori molto spontaneo, perché arrivavo dall’Africa. Conobbi Robbins alla Scuola dell’American Ballet a New York quando creò 2 & 3 Part Inventions su Bach, avevo 16 anni e mi scelse dopo avermi chiesto di mostrargli come mi esprimevo. Quando entrai al New York City Ballet danzai i suoi titoli tra cui Les Noces di Stravinskij. Provo per lui una profonda riconoscenza. Grazie al suo amico Aidan Mooney che aveva casa nei pressi di Spoleto, arrivai da voi a 18 anni. Sono felice di tornare. L’Italia e il Giappone sono i Paesi che preferisco al mondo. L’anno prossimo il Balletto dell’Opera di Roma presenterà due miei titoli, On the other side e Closer».
«West Side Story» di Robbins è una rilettura di «Romeo e Giulietta». Lei ha presentato da poco «Romeo & Juliet Suite» ispirata alla fluidità gender, con tre varianti di amanti, al maschile, al femminile ed etero, in cui scava nel dietro le quinte con una videocamera.
«Ho seguito l’idea di mescolare cinema e teatro per esprimere i momenti più drammatici, come la morte dei personaggi, incrociando le due dimensioni per far entrare il pubblico nella storia. Non ha più senso che oggi la coppia di protagonisti debba essere per forza etero. Che sia, dunque, una storia d’amore universale a tutti gli effetti».
Come si vede tra dieci anni?
«Continuerò a ruotare intorno a Parigi e Los Angeles, due poli istituzionali ricchi di opportunità per far vivere la danza. Spero di potermi concentrare su spettacoli specifici. E continuare a creare, viaggiare, dirigere film».