Corriere della Sera - La Lettura

Tristano e Isotta tra i suoni delle Ande

«Harawi. Canto d’amore e di morte», teatro musicale in prima assoluta a Spoleto, è una composizio­ne di Olivier Massiaen che mescola Wagner alle sonorità native. Lo porta in scena Silvia Costa: «Scongiuri di un’anima in pena»

- Di LAURA ZANGARINI

Harawi. Canto d’amore e di morte

Con il ciclo di liriche Harawi. Canto d’amore e di morte (1945), il compositor­e francese Olivier Messiaen (1908-1992) inaugurò la realizzazi­one di un trittico di lavori nati sotto l’ispirazion­e del mito di Tristano e Isotta, mito che esprime il legame oscuro e inconfessa­bile tra passione d’amore e morte. Poeta della musica, Messiaen amò la natura e in particolar­e il canto degli uccelli, che considerav­a «i più importanti musicisti creati da Dio sulla terra»: girò il mondo per ascoltare suoni che poi trascrisse in composizio­ni memorabili.

In Harawi le canzoni d’amore delle popolazion­i andine alle quali l’opera si ispira — nel regno Inca, gli harawi erano canzoni sull’amore tragico, accompagna­te dai suoni del flauto — si intreccian­o con l’opera di Richard Wagner sull’amore impossibil­e tra il cavaliere Tristano e la principess­a Isotta, in un linguaggio tonale unico, multicolor­e. Al tempo della loro composizio­ne, i dodici canti che compongono l’opera hanno un particolar­e significat­o per il musicistao­rnitologo: la sua prima moglie, la violinista e compositri­ce Claire Delbos (musa del precedente ciclo di canti Poèmes pour Mi), subì un intervento chirurgico a seguito del quale iniziò a perdere la memoria. Ricoverata in un ospedale psichiatri­co, lì rimase fino alla morte nel 1959. Impossibil­e pensare che ciò non abbia avuto un profondo impatto sulla creatività di Messiaen.

Prodotto dal Festival dei Due Mondi di Spoleto, questo straordina­rio ciclo di lieder sarà in scena negli spazi dell’ex chiesa di San Simone (24 e 25 giugno; 1 e 2 luglio) da Silvia Costa, artista, performer e regista, autrice di un teatro visivo e poetico, attraversa­to da una profonda ricerca sul ruolo dell’immagine e sul suo potere sullo spettatore. «Questi canti — osserva Costa — sono il delirio di una solitudine, enigmi di un’anima in pena, preghiere e scongiuri magici per riportare in vita il proprio amore. La dimensione teatrale segue questa navigazion­e nel mare oscuro del dolore, estrapolan­do dal materiale musicale gli elementi per un rito funerario amoroso, fatto di memorie, odori, passioni notturne e sogni, perché l’amore trova la sua eternità nella morte: la sua realizzazi­one vera non è nella vita, ma in un aldilà incorporeo e atemporale».

In che modo la sua ricerca teatrale ha incrociato l’opera di Messiaen?

«Da tempo navigo tra opera e teatro, due strade del mio percorso artistico che si incrociano continuame­nte. Harawi è una creazione apparentem­ente leggera, composta solo da una voce soprano e un pianoforte, ma dal contenuto musicale complesso. Mi è sembrata una proposta interessan­te per Spoleto, che mi consente di lavorare sia sulla musica che sull’aspetto teatrale performati­vo».

La ricchezza e l’eterogenei­tà degli stimoli culturali che innervano la ricerca di Messiaen sono presenti in «Harawi»: il canto degli uccelli, il colore musicale, la ricerca ritmica, l’interesse per tradizioni extra-europee come la teoria musicale nativa...

«Harawi è un lavoro ricco di influenze, in cui si riverbera molta parte della ricerca etnografic­a di Messiaen. Il mito di

Tristano e Isotta si ibrida con il canto d’amore peruviano yaravì, originato da canti ancestrali in lingua quechua, lingua ufficiale dell’impero Inca, che il compositor­e trasforma in succession­i di suoni onomatopei­ci per dare voce a una sofferenza che diventa voce cosmica. Altro elemento interessan­te è il pianoforte, usato a volte in modo percussivo, altre in modo melodico».

Che ambientazi­one ha pensato?

«Ospita il lavoro la Chiesa di San Simone, in piazza Campello. L’edificio, non più dedicato al culto, conserva un’atmosfera di abbandono, ma restano visibili le forme classiche. Il mio ruolo è stato quello di nascondere la scenografi­a. Non ci saranno strutture all’interno della chiesa, così da preservare l’estrema semplicità di questo spazio magico. Ci sarà un grande lavoro di luci ma la parte tecnica sarà nascosta. Penso che il Festival sia un’occasione preziosa per fare conoscere al pubblico un nuovo “oggetto” musicale».

Un «oggetto» che avrà vita oltre Spoleto?

«È un lavoro site specific, ancora non sappiamo se potrà essere replicato oltre Spoleto».

Lavora molto più all’estero che in Italia. Come mai?

«All’estero è più facile, vale per me quanto per i miei colleghi, riuscire a costruire con continuità un percorso artistico. Il mio è sfociato in un susseguirs­i di opportunit­à, fino a una collaboraz­ione stabile con l’ensemble artistique della Comédie de Valence, in Francia: se ho un’idea o loro hanno bisogno di lavorare per la città, mi sostengono rendendo possibile la realizzazi­one dei miei progetti. In Italia condizioni simili si sono verificate in passato con il Festival delle Colline Torinesi e con il Teatro Triennale di Milano. Resta il fatto che in Italia è molto difficile produrre, e ogni progetto non getta le fondamenta di un futuro».

Ha lavorato a lungo con Romeo Castellucc­i. Cosa le è rimasto di quella esperienza?

«Vengo da Treviso, una piccola città di provincia. Non conoscevo il teatro contempora­neo, un mondo in cui sono entrata come una bambina che scopre nuove forme e linguaggi. Con Romeo, con cui ho lavorato per quindici anni, ho imparato che in realtà non s’impara mai. Non essere mai “maestri” vuol dire porsi nella condizione di inventare ogni volta qualcosa di nuovo; mettersi in ascolto dell’inconosciu­to, guardare le cose da un punto di vista differente. Ogni esperienza precedente non lascia traccia. Il fuoco della creazione continua così ad ardere».

Che cosa cerca nel teatro?

«Ogni volta è un incontro, non so cosa farà scattare la scintilla. Ho da poco messo in scena alla Comédie-Française, adattandol­o, Mémoire de fille, libro in cui Annie Ernaux torna all’estate del suo diciottesi­mo compleanno, alla ricerca della “ragazza del 1958” che era allora. Un pretesto per parlare di un percorso di formazione in un’età turbolenta come l’adolescenz­a, quando è il giudizio dell’altro a forgiare la nostra identità. Mémoire de fille (uscita per L’orma con il titolo Memoria di ragazza, ndr) non è però un libro di rimpianti ma di denuncia, forse quello in cui Ernaux denuncia più direttamen­te la società patriarcal­e, la condizione della donna. Un altro progetto per la Comédie de Valence mi ha messo sulle tracce della compositri­ce russa Galina Ustvol’skaja (1919-2006, ndr): allieva, la sola, di Dmitri Shostakovi­ch, decise di condurre una radicale ricerca compositiv­a personale, in totale rottura con lo stile del maestro, la cui opposizion­e fu una delle ragioni per le quali la sua musica è, ancora oggi, raramente eseguita in Russia. Amo cercare oggetti, intesi come opere d’arte, per principio antiteatra­li con cui nutrire le mie creazioni. La lettura è uno straordina­rio esercizio per l’immaginazi­one».

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 ?? ?? La regista Silvia Costa (Treviso, 1984; qui sopra) si diploma nel 2006 in Arti visive e dello Spettacolo all’Università Iuav di Venezia. Artista, performer, dal 2007 si è affermata tra le registe più interessan­ti in Italia e in Europa. A lungo collaborat­rice di Romeo Castellucc­i, dal 2020 fa parte dell’ensemble artistico della Comédie de Valence Lo spettacolo
(1945), del compositor­e francese Olivier Messiaen, debutterà in prima assoluta negli spazi dell’ex chiesa di San Simone il 24-25 giugno, e l’1-2 luglio, nell’ambito del Festival dei Due Mondi di Spoleto che lo produce. Il scena il soprano Katrien Baerts e, al pianoforte, Costanza Principe (a destra e a sinistra della foto in alto, con Silvia Costa). Nelle immagini: figurini e bozzetti
La regista Silvia Costa (Treviso, 1984; qui sopra) si diploma nel 2006 in Arti visive e dello Spettacolo all’Università Iuav di Venezia. Artista, performer, dal 2007 si è affermata tra le registe più interessan­ti in Italia e in Europa. A lungo collaborat­rice di Romeo Castellucc­i, dal 2020 fa parte dell’ensemble artistico della Comédie de Valence Lo spettacolo (1945), del compositor­e francese Olivier Messiaen, debutterà in prima assoluta negli spazi dell’ex chiesa di San Simone il 24-25 giugno, e l’1-2 luglio, nell’ambito del Festival dei Due Mondi di Spoleto che lo produce. Il scena il soprano Katrien Baerts e, al pianoforte, Costanza Principe (a destra e a sinistra della foto in alto, con Silvia Costa). Nelle immagini: figurini e bozzetti
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