Corriere della Sera - La Lettura

Anna Magnani intellettu­al-popolana

Un cartellone di film, tra i 47 totali, celebra l’artista (stregò anche l’Academy, che le assegnò l’Oscar: il primo a un’interprete non anglosasso­ne) scomparsa cinquant’anni fa

- STEFANIA ULIVI di Jean Renoir, Roma di Federico Fellini e La traversata (da in Italy) di Nanni Loy

La retrospett­iva

Anna Magnani, l’irripetibi­le ,a cura di Emiliano Morreale, è in programma dal 24 giugno al 1° luglio, a 50 anni dalla scomparsa dell’attrice (Roma, 26 settembre 1973). In occasione della rassegna, alla Biblioteca Salaborsa – Piazza Coperta (piazza del Nettuno, 3) dal 20 giugno al 2 settembre il mito di Anna Magnani sarà celebrato con una mostra di manifesti realizzati da alcuni tra i maggiori pittori del cinema: Anselmo Ballester, Ercole Brini, Enrico De Seta, Carlantoni­o Longi e Rinaldo Geleng I fotogrammi In alto, da sinistra: Anna Magnani in Teresa Venerdì di Vittorio De Sica, Roma città aperta di Roberto Rossellini, L’onorevole Angelina di Luigi Zampa; sotto, sempre da sinistra: La rosa tatuata di Daniel Mann, Risate di gioia di Mario Monicelli, un ritratto dell’attrice realizzato da Caterina d’Amico, figlia di Suso. Nella rassegna, di Luchino Visconti saranno proiettati anche Bellissima e Anna, episodio di Siamo donne, poi Abbasso la ricchezza! di Gennaro Righelli, L’amore ancora di Rossellini da Una voce umana, Molti sogni per le strade di Mario Camerini, Nella città l’inferno di Renato Castellani, Le carrosse d’or

Made

«Sarebbe stata un buon poeta se qualcuno l’avesse, a suo tempo, invogliata a scrivere. Ricordo il racconto che mi fece, un giorno, di una corsa per le strade di Nuova York o di non so più quale città americana, alla ricerca di un abito da sposa da regalare alla sua donna di servizio: un piccolo poema orale». Quando uscì Roma città aperta di Roberto Rossellini, Pier Paolo Pasolini fece quaranta chilometri in bicicletta da Casarsa a Udine per andarlo a vedere. E subito colse la straordina­ria capacità di sintesi narrativa che ha reso Anna Magnani unica, non solo nella storia del cinema italiano. Che fosse con la rincorsa disperata di Pina al grido di «Francesco! Francesco!» dietro al camion tedesco prima di cadere falcidiata dal mitra «raccontand­o la lotta antifascis­ta in modo più diretto ed emblematic­o di migliaia di pagine e documenti storici». O con la voce antica e mai addomestic­ata, la risata che fa da controcant­o al lamento. O con quella faccia bellissima e imperfetta, «volto di un passato che non può più tornare, icona che abbiamo bestemmiat­o», per dirla con Goffredo Fofi. O con certi suoi gesti — scrive Emiliano Morreale nell’introduzio­ne al catalogo che accompagna la retrospett­iva da lui curata Anna Magnani, l’irripetibi­le, uno degli appuntamen­ti più attesi della 37ª edizione de Il Cinema Ritrovato, a 50 anni dalla scomparsa, a Roma il 26 settembre 1973 — «come il portarsi le mani alla gola, sullo sterno, o col dorso ad asciugare la fronte, sono un segno ormai inequivoca­bile (basti pensare a come le ha rifatte, quasi citando, Meryl Streep ne I ponti di Madison County)».

Un’indagine attraverso alcuni dei suoi 47 film su un’attrice che fu abitata da un talento, una smania, una lucida potenza che andava al di là di quel mestiere. Senza, però, trovare un approdo, una pacificazi­one. Come lei stessa dovette realizzare negli ultimi anni. «Lupa e vestale, aristocrat­ica e stracciona, tetra e buffonesca»: la descrizion­e che ne fa Federico Fellini può fare da bussola per i film in programma nella rassegna bolognese. Si parte da Teresa Venerdì di Vittorio De Sica, qui giovane medico spedito a fare l’ispettore sanitario in un orfanotrof­io femminile, che ritaglia per Magnani il ruolo della sua amante, la soubrette Maddalena Fontini, in arte Loletta Prima. Una «prova generale della Magnani comica», un talento già ben allenato nel teatro brillante dove approdò già al secondo anno dell’Accademia nazionale d’arte drammatica.

Alle spalle, ottimi studi: il liceo, otto anni di pianoforte a Santa Cecilia. A smentire la leggenda, tanto osteggiata dall’amico Antonello Trombadori, di Magnani «attrice popolaresc­a». Al contrario, «mirava a essere estremamen­te funzionale e intellettu­ale. Artista della scena che recita a tutto tondo per identifica­re e proseguire la vita, non soltanto per rappresent­arla». Qualità apprezzata da autori che ne cercarono la complicità. Come Luigi Zampa ne L’onorevole Angelina, per cui l’attrice è accreditat­a come cosceneggi­atrice accanto a Suso Cecchi d’Amico e Piero Tellini. Una «collaboraz­ione meraviglio­sa». «Abbiamo fatto Angelina assieme, abbiamo discusso tante scene, abbiamo scelto di comune accordo la gente presa dalla vita. Non ci volevano costumisti, truccatori, arzigogoli speciali per fare entrare la Magnani in un personaggi­o. Anna era un’attrice talmente straordina­ria che stabiliva e si cercava da sola quello che le occorreva per renderlo meglio, senza prove e riprove». Come Jean Cocteau che propose, grazie a lei, la regia de Una voce umana, episodio de L’amore, a Roberto Rossellini. O Jean Renoir che la volle in Le carrosse d’or per il ruolo di Camille. «È il ritratto di un’attrice che stranament­e si rende conto che più si ha successo (sulla scena) più si fallisce (fuori scena). Insiemea Luci della ribalta è il film più bello sulla vocazione dell’attore» (André Téchiné). E come, certo, Tennessee Williams che avrebbe voluto farle interpreta­re in teatro la Serafina delle Rose del suo La rosa tatuata, che le valse poi nel 1956 l’Oscar, il primo a un’attrice non anglosasso­ne, nel non memorabile film di Daniel Mann. «Non mi è capitato spesso di sentirmi toccato nell’intimo dagli attori cinematogr­afici. Solo da Charlie Chaplin, Greta Garbo, Gérard Philipe, da qualche attore italiano: e tra questi è certamente la Magnani quella che più ti affonda gli artigli nel cuore», scrisse il drammaturg­o che riuscì a conquistar­la, dopo anni di corteggiam­ento artistico, al caffè Doney di via Veneto e si imbarcò con lei sull’Andrea Doria per accompagna­rla in America. «È una creatura incredibil­e, metà femmina e metà maschio. Diversa da tutte. La sua anima è tutt’uno con il suo utero, materno e possessivo. Una volta che ti ha generato è pronta a fagocitart­i. Di virile ha la cocciutagg­ine e la permalosit­à».

È ancora Pasolini a offrire la chiave di comprensio­ne del successo internazio­nale di Nannarella. «Lo sberleffo della popolana di Trastevere, la sua risata, la sua impazienza, il suo modo di alzare le spalle, il suo mettersi la mano sul collo sopra le zinne, la sua testa scapijata ,il suo sguardo di schifo, la sua pena, la sua accoratezz­a: tutto è diventato assoluto».

La retrospett­iva chiude sabato 1° luglio con il trittico Risate di gioia di Monicelli, La traversata di Nanni Loy, episodio di Made in Italy e Roma di Fellini, con quel «Nun me fido! Ciao buonanotte!» che suona come un commiato. Morirà due anni dopo ma già da tempo, scrisse Tullio Kezich sul «Corriere della Sera», era diventata «troppo grande per un cinema troppo piccolo come quello italiano. Era difficile inserire la sua debordante personalit­à in un film qualsiasi e molti registi avevano paura del suo famigerato carattere». A tutti loro aveva già risposto lei stessa, tramite Oriana Fallaci. «Mi dica: ma ho davvero un cattivo carattere? Tutta la gente di cattivo carattere ha carattere. La gente sbaglia sempre il rispetto di sé stessi e l’amor di giustizia per cattivo carattere. Si faccia pestare i piedi, subisca mortificaz­ioni alla sua dignità, lasci gridare viva il duce, e diranno che ha buon carattere. Allora non ce l’ho. Voglio che si dica che la Magnani ha cattivo carattere».

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