Corriere della Sera - La Lettura
La nuova era dei vaccini più resistenti
La scoperta di un pool cinese apre sorprendenti prospettive su prevenzione e cura
Quante sono le stelle dell’universo? Cento miliardi, contando solo quelle della Via Lattea però. E i neuroni che abitano la nostra scatola cranica? Cento miliardi, proprio come le stelle della Via Lattea. E quanti sono i virus e i batteri che abitano in ciascuno di noi? Migliaia di miliardi, la maggior parte si trova nell’intestino.
Noi uomini, a differenza degli animali, pensiamo e abbiamo coscienza. Ma nemmeno quello lo facciamo da soli; sono loro, i virus e i batteri che abbiamo addosso, e che hanno mescolato e mescolano il loro materiale genetico con il nostro, a consentirci di fare tutto quello che facciamo. Da certi altri virus, invece, e da certi altri batteri ci dobbiamo difendere e a questo ci pensa il sistema immune, che è comparso molto presto nella scala evolutiva. Ce l’hanno persino le spugne e poi ragni, crostacei e insetti. Si tratta di un’immunità che i medici chiamano «innata», si attiva immediatamente, nel giro di secondi addirittura, per attaccare patogeni che vengono dall’esterno.
Ma nei vertebrati c’è un tipo di immunità aggiuntiva, l’hanno chiamata «adattativa», è più potente, più mirata e dotata di memoria, ricorda ciò che ha già visto in passato ed è organizzata per rispondere non solo a virus e batteri, ma a qualunque sostanza «estranea» nel caso la incontri di nuovo. La memoria immunologica è un po’ come la nostra, qualche volta si perde, ma può anche durare per tutta la vita. Molti di noi hanno imparato a conoscere i segreti del sistema immune un po’ anche per via di Sars-CoV-2, abbiamo capito come sia proprio grazie al sistema immune che siamo capaci di far fronte all’infezione con la produzione di anticorpi che il nostro organismo forma quando incontriamo il virus o se siamo esposti al vaccino.
Quello l’abbiamo avuto in soli dieci mesi, è un vaccino efficacissimo, che protegge dalla malattia grave nel 90 per cento dei casi, ma gli anticorpi a cui è affidata la capacità di prevenire la malattia si riducono progressivamente settimana dopo settimana, e dopo quattro mesi dall’ultimo richiamo la maggior parte di noi — inclusi coloro che all’inizio avevano avuto una risposta estremamente efficace — di anticorpi non ne hanno più e possono ammalarsi di nuovo.
Ma è nozione ormai comune, anche fra i laici, che la protezione indotta dal vaccino non dipende solo dagli anticorpi, ci sono certe cellule, i linfociti T o linfociti B (fanno parte della grande famiglia dei globuli bianchi) e sanno aggredire direttamente il virus. Questi linfociti T riconoscono certe proteine di Sars-CoV-2 e sarebbero capaci di liberarci dal virus anche quando non abbiamo formato abbastanza anticorpi neutralizzanti o quando quelli che c’erano se ne sono andati.
Varianti Omicron di Sars-CoV-2, per esempio, che quasi sempre sfuggono agli anticorpi, possono essere contrastate efficacemente dalle cellule T — a essere precisi si tratta di una risposta CD8+ T — indotta anche lei da infezioni precedenti o dai vaccini che abbiamo oggi.
Uno studio pubblicato su «Cell» fa vedere che un particolare vaccino a mRna è capace di indurre una risposta mediata da cellule T molto efficace e diversa da quella indotta dai vaccini, sempre a mRna, che abbiamo conosciuto finora.
Ma c’è molto di più: un lavoro ancora più recente di «Nature» ha dimostrato, con un approccio diverso, che è possibile utilizzare i vaccini a mRna per stimolare le cellule T a indurre una risposta forte e conservata alle diverse varianti di Sars-CoV-2. Questo nuovo vaccino protegge gli animali da laboratorio dal contrarre l’infezione quando li si esponga al virus, e lo fa indipendentemente dai ceppi virali che si somministrano; è un fatto che per quanto si sia provato con tutte le varianti che conosciamo, gli animali non si infettano. E adesso sappiamo anche perché: quel particolare vaccino è capace di far formare all’organismo cellule T specifiche per proteine virali capaci di eliminare il virus più e meglio di quanto non facciano gli anticorpi da soli. Questa risposta T non è rivolta contro la cosiddetta «spike protein», che ormai anche il pubblico ha imparato a conoscere, ma contro diversi altri determinanti proteici altamente conservati nelle diverse varianti di Sars-CoV-2.
Questo ci induce a sperare che avremo una prossima generazione di vaccini capaci di indurre una risposta cellulare contro ogni forma di Coronavirus — quelle che abbiamo oggi e quelle che avremo in futuro — e che dovrebbe durare nel tempo per periodi molto più lunghi di quanto non succeda con la risposta immune basata sugli anticorpi. Questo di «Nature», di cui stiamo scrivendo, è un lavoro fatto da ricercatori cinesi frutto della collaborazione fra vari istituti di ricerca (Pechino, Guangzhou, Shanghai) che hanno lavorato anche con gli immunologi dell’Università del Connecticut a Farmington. È un lavoro estremamente sofisticato e molto, molto importante. Questi nuovi vaccini potrebbero rappresentare l’inizio di una nuova era; può darsi che il nostro approccio a tante malattie infettive — che finora hanno avuto bisogno di vaccini nuovi ogni anno — come l’influenza ed eventualmente Sars-CoV-2, cambi radicalmente, e non è nemmeno detto che di questa tecnologia si possano avvantaggiare altre gravi malattie infettive per le quali finora è stato molto difficile avere a disposizione vaccini veramente efficaci e a prezzi ragionevoli: Ebola, Hiv e Marburg, per fare qualche esempio, ma ce ne sono molti altri.