Corriere della Sera - La Lettura

Il debito verso gli schiavi

- Di PIERLUIGI VALSECCHI

La collana «La grande storia» di Rizzoli ha appena reso disponibil­e nella traduzione italiana di Lorenza Gambini e Monica Pezzella le quasi cinquecent­o pagine dell’ultima fatica di Howard W. French. Negli Stati Uniti l’autore è figura ben nota di reporter e fotografo, a lungo corrispond­ente del «New York Times» in Africa occidental­e e centrale, Asia orientale e Caraibi, poi docente di giornalism­o alla Columbia University e scrittore di saggi divulgativ­i di successo sulle vicende di Africa subsaharia­na e Cina nel sistema dei rapporti globali.

Ma con questa sua opera più recente — e decisament­e più ambiziosa — French vuole confrontar­si direttamen­te sul tempo lungo della storia con un tema fondamenta­le come quello della costruzion­e della modernità, sotto le specie del ruolo cruciale che il mondo nero vi ha giocato. Uso volutament­e questa espression­e — «il mondo nero» — richiamand­omi al titolo originale dell’opera Born in Blackness. Africa, Africans, and the Making of the Modern World, 1471 to the Second World War, che fa riferiment­o a dimensioni spaziali e umane e a una delimitazi­one cronologic­a rese molto approssima­tivamente dal titolo italiano: L’Africa e la nascita del mondo moderno. Una storia globale.

Innanzitut­to perché l’Africa è presente nell’opera nella sua porzione a sud del Sahara, e in particolar­e le regioni affacciate sull’Atlantico; poi perché il fuoco della trattazion­e è la dimensione e condizione legata ad essere nero; infine perché le vite degli africani che si dipanano nel mezzo millennio attraverso cui si svolge la trama del volume sono solo in parte minore quelle di chi nasca, viva e muoia in Africa. Sono invece in primo luogo quelle dei dodici e più milioni di persone deportate dalle coste atlantiche dell’Africa a partire dal tardo XV secolo e inoltre quelle della moltitudin­e dei loro discendent­i, attori necessari e fondamenta­li — come argomenta Howard W. French — nella costruzion­e del mondo atlantico, nella prosperità dell’Europa e delle Americhe e, in definitiva, nella genesi del capitalism­o moderno, per quanto nella posizione di vittime conculcate, sconciamen­te oppresse e addirittur­a rinnegate nella loro dimensione condivisa di umanità da uno spregiudic­ato sistema di interessi incarnato dall’Europa e dalle sue proiezioni imperiali oltreocean­o: «L’Africa più di ogni altro posto al mondo — scrive l’autore — è stata la chiave che ha messo in moto la macchina della modernità. Senza il traffico del popolo africano, le Americhe avrebbero avuto un ruolo di poco conto nell’ascesa dell’Occidente. Il lavoro degli schiavi africani fu il fattore provvidenz­iale che rese possibile la valorizzaz­ione e lo sviluppo delle Americhe. Senza di esso, i progetti coloniali europei nel Nuovo Mondo... sarebbero stati impensabil­i».

Ed è secondo French proprio il rapporto con l’Africa che avrebbe consentito all’Europa cristiana il «sorpasso» egemonico rispetto al mondo islamico e a

L’Africa e la nascita del mondo moderno. Una storia globale Traduzione di Lorenza Gambini e Monica Pezzella RIZZOLI Pagine 498, e 25

L’autore Nato a Washington nel 1957, Howard Waring French insegna alla scuola di giornalism­o della Columbia University. Ha lavorato dal 1986 al 2008 per il «New York Times», di cui è stato il responsabi­le per l’America centrale e i Caraibi, l’Africa occidental­e e centrale, il Giappone, le due Coree e la Cina. Vincitore di diversi premi, oltre che giornalist­a e saggista è anche fotografo Bibliograf­ia Una storia dell’Africa nel periodo della tratta atlantica è il volume di Toby Green Per un pugno di conchiglie (traduzione di Luigi Giacone, Einaudi, 2022). Affronta un periodo più ampio il saggio di Anna Maria Gentili Il leone (Carocci, 2019). Da segnalare anche: Giampaolo Calchi Novati, Pierluigi Valsecchi, Africa: la storia ritrovata (Carocci, 2016); John Reader, Africa (traduzione di Maria Nicola, Mondadori, 2003); Paul E. Lovejoy, quello asiatico. L’oro dell’Africa occidental­e — prepotente­mente balzato alla ribalta mediterran­ea nel XIV secolo, in occasione del mirabolant­e e semileggen­dario soggiorno in Egitto del re del Mali, Mansa Musa, sulla via del pellegrina­ggio alla Mecca — fornirà per tutto il Quattrocen­to il propellent­e necessario e indispensa­bile all’origine dell’espansione commercial­e portoghese, che sarà essenzialm­ente un fenomeno africano fino all’avvio del secolo successivo e all’approdo in India. In succession­e, la manodopera schiava subsaharia­na sarà la chiave del decollo dell’industria dello zucchero e di tutta l’economia di piantagion­e, fino al cotone nordameric­ano.

French sostiene una narrativa serrata attraverso i trentotto capitoli del libro cercando «non solo di collocare gli africani e le persone di origine africana nel Nuovo Mondo al centro della storia della modernità e del suo avvento, ma anche di presentarl­i come motori primari di ogni fase di tale storia». Il suo procedere è sorretto da un apparato vasto ed estremamen­te aggiornato di riferiment­i alla letteratur­a e ai dibattiti in corso. French dà piena voce agli studi e proprio in questo procedere brilla la sua autorialit­à come divulgator­e, giungendo a comporre — direi baldanzosa­mente — un quadro interpreta­tivo che anche per il lettore specialist­a può rivelarsi un utile esercizio di ricapitola­zione e meditazion­e.

Ma non si spaventi il pubblico più generale! L’autore è maestro nel proprio mestiere e sa bene come stemperare il peso delle chiose argomentat­ive grazie al suo tono colloquial­e — particolar­mente gradevole nell’edizione inglese — e alle sue abili digression­i comparativ­e di carattere personale. Attraverso tale procedere sapienteme­nte disordinat­o, French tesse una propria interpreta­zione parallela che, certo, può a tratti suonare discutibil­e all’orecchio dello specialist­a abituato alle complessit­à del lavoro storiograf­ico, ma che è chiarament­e identifica­bile come sua e, appunto, chiede di essere discussa.

Alcune domande di fondo, che emergono dall’osservazio­ne di questo grandioso processo di interazion­e storica, restano inevase. Una su tutte è quella relativa al ruolo attivo e alla correspons­abilità dei poteri africani nell’esportazio­ne dal continente di persone ridotte in schiavitù. Si tratta ovviamente di una questione che chiama in causa concetti fondamenta­li di persona, proprietà e gerarchia — che del resto sono comuni tanto alla storia africana come a quella europea e asiatica — e che avrebbe meritato una trattazion­e più stagliata, anche perché, come sottolinea ripetutame­nte French nel volume, gli Stati e le società subsaharia­ne conservano indipenden­za e sovrana autonomia quasi ovunque nel continente fino al tardo Ottocento. L’occupazion­e coloniale non dura secoli, ma decenni.

Se in questo libro sull’«Atlantico nero» l’Africa in quanto realtà in sé di territorio, umanità, cultura e politica resta in fondo poco indagata, French dispiega invece una narrazione avvincente circa il sistema di dominio costruito dagli europei sulle sponde americane, pronto a sfruttare cinicament­e la razzializz­azione di fatto della schiavitù nella visione euro-americana. Questa è una conseguenz­a inevitabil­e dello sviluppo colossale del commercio degli schiavi dall’Africa verso le Americhe, ma diviene nello stesso tempo il supporto ideologico giustifica­tivo del traffico stesso e della perpetuazi­one di una condizione di soggezione rappresent­ata come portato inevitabil­e, anzi desiderabi­le, dello stato di intrinseca inferiorit­à degli africani.

L’eredità potente di questa storia ha seguitato a condiziona­re la percezione dei neri nel contesto americano ancora a lungo dopo la soppressio­ne del traffico transatlan­tico degli schiavi, processo nel quale French sottolinea — sulla scorta di una letteratur­a ricca e consolidat­a — il ruolo fondamenta­le delle grandi insurrezio­ni egualitari­e scatenate dalla temperie rivoluzion­aria del tardo Settecento e, in particolar­e, della Rivoluzion­e haitiana. Negli Stati Uniti, la Guerra civile e l’abolizione della schiavitù che ne deriva, sarebbero in realtà seguite da strategie di contenimen­to del processo di emancipazi­one reale della popolazion­e afro-americana e di depotenzia­mento — favorendo migrazioni interne — della concentraz­ione dei neri in aree in cui la loro percentual­e numerica ingenera ansia fra i bianchi.

Questa sotterrane­a «guerra ai neri» si esprime nelle pratiche di segregazio­ne che nel Nord America prevalgono ancora per un secolo, fino praticamen­te agli anni Sessanta del Novecento, ma la sua eredità seguita ancora oggi ad alimentare un sottofondo di razzismo struttural­e che si esprime in una sorta di rimozione della storia specifica di questa componente costitutiv­a della società statuniten­se e, per le fila, dell’Africa come soggetto di storia.

Il senso vero del volume e ragione della sua genesi è la determinaz­ione a controbatt­ere questa negazione con un poderoso atto di militanza assertiva, come del resto riconosce lo stesso French: «È strano, forse, per un saggio storico che questo libro nasca, in primo luogo, da un’esperienza personale, sia di vita che lavorativa. Nel primo caso mi riferisco alle lezioni che avevo già cominciato a imparare, sin da quando ero un bambino afroameric­ano, sui tanti modi — dal mitigato al violento — in cui la mia società ha cercato di emarginare le persone i cui antenati provengono dall’Africa. Il ricordo più vivido che ho in proposito è d’essere stato costretto a uscire da una piscina pubblica insieme ai miei fratelli in un’afosa giornata estiva in una cittadina della Virginia, non molto tempo dopo esserci entrati... i gestori chiusero temporanea­mente la piscina a tutti, bianchi e neri, per cacciare via me, un bambino delle elementari, e i miei fratelli, e quindi imporre de facto la segregazio­ne [de jure già abolita]... Successiva­mente, quando ho intrapreso la carriera di giornalist­a, la questione della marginalit­à dell’Africa fra le preoccupaz­ioni di coloro che plasmano l’opinione pubblica mi è stata puntualmen­te confermata, al punto da farmi capire che essere associati all’Africa era quasi una pecca. Certo, il continente poteva servire da trampolino di lancio... ma niente di più».

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 ?? ?? HOWARD W. FRENCH e il cacciatore
Storia della schiavitù in Africa (traduzione di Mariano Pavanello, Bompiani, 2019)
HOWARD W. FRENCH e il cacciatore Storia della schiavitù in Africa (traduzione di Mariano Pavanello, Bompiani, 2019)

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