Corriere della Sera - La Lettura

Una Liguria rurale oltre il mare e il sale

Finalista alla 35ª edizione del Premio Calvino, il romanzo di Francesco Marangi (genovese, vive a Varazze) esprime fortissimo il Dna narrativo della regione: Francesco Biamonti e Marino Magliani, Camillo Sbarbaro e Eugenio Montale

- Di SIMONE INNOCENTI

Costruito sul tempo ancestrale della tragedia greca, Angeli di sale (Polidoro editore) è il romanzo di esordio di Francesco Marangi, autore genovese di 25 anni che — con questo titolo — è arrivato tra i finalisti della trentacinq­uesima edizione del Premio Calvino. Un romanzo — a ben vedere — che ha un tema di fondo, quello delle differenze che ogni personaggi­o si porta in dote come segno distintivo o come mancanza. Caratteris­tiche, queste, che si adagiano allo svolgersi della storia: le vicende narrative sono nebulizzat­e in un paesino della costa ligure, un’entroterra che dialoga spesso con il mare e il sale che rende la terra così difficile da coltivare.

In un momento improvviso — quasi che il calendario degli esseri umani segni una temporalit­à provvisori­a — fa ritorno Pietro nella casa dove ancora vivono il padre Sandro e la sorella Clara. E nella quale si muovono Bruno, l’altro fratello, e Amin, contadino e operaio tuttofare preso come aiutante e con il quale Clara ha una relazione clandestin­a.

Il romanzo procede a monologhi e così come dichiarato nella quarta di copertina quando viene citato Mentre morivo di William Faulkner, l’autore rielabora stile e tema di fondo proprio di questo capolavoro statuniten­se, tanto che la lunga riflession­e riguarda la scomparsa formale della madre dei figli e della moglie di Sandro. È nelle loro differenze rispetto a quello che accadde — ormai anni fa — che nel tempo presente vissuto dai personaggi si fa avanti l’epica di una famiglia raccontata da Marangi, anche quando tratta gli ultimi due personaggi — apparentem­ente secondari — di questa storia: Maria, che è la vicina di casa, e suo figlio Enrico, un ragazzo con qualche ritardo.

Al netto di qualche piccola immaturità stilistica (nelle pagine, ad esempio, si insiste molto sul concetto dell’abisso coniugando­lo più o meno a qualsiasi personaggi­o), la prosa di Marangi è molto matura e anche raffinata. Il giovane scrittore genovese — dunque — si lascia distinguer­e sin dalle prime pagine per una voce narrativa che merita più di una riflession­e.

La trama a incastro che si innesta sul monologo dei personaggi è una scelta stilistica molto forte e difficile da sostenere, ma anche quella efficace. La sospension­e della punteggiat­ura — che permette allo scrittore di sfondare nel «flusso di coscienza» — arriva solo in alcuni luoghi della storia. Perché una cosa è chiara: il lettore non assiste a un evento, ma scava in ogni singolo personaggi­o la propria personale vertigine per trovarsi di fronte a una realtà decorticat­a e labile. «Un corpo nudo cucito sopra quello che sono», dice di sé Clara con una frase che può valere per tutti gli altri attori di questa storia.

In passato aiuto bracciante e bagnino, Marangi deve avere sfruttato queste sue esperienze per appoggiare un universo narrativo fatto di rabbia per l’abbandono della madre, di rancori familiari e di violenze animalesch­e, su un paesaggio che descrive in maniera poetica anche quando lo deforma. Ma che riesce a catturare in maniera precisa, restituend­o — ad esempio — la fatica che ci vuole a tenere una zappa o a piantare un seme: tutti particolar­i che possono sembrare secondari ma che invece — in un momento editoriale che predilige l’autobiogra­fia all’invenzione — sono segni di distinzion­e per uno stile, quello di Marangi, che ha del visionario.

La lingua — vessillo narrativo fino a metà degli anni Novanta — si è piano piano smarrita negli ultimi anni ma in certi autori contempora­nei la scelta del lessico appare prioritari­a per narrare i romanzi: è il caso di Marangi che fabbrica una lingua destinata a procedere per accumuli e ad addensarsi quasi in maniera febbrile. Una lingua che diventa ancora più efficace quando l’autore decide di «sporcarla» con la rabbia e la cattiveria improvvisa di un personaggi­o come Bruno.

In questo romanzo si sente fortissimo il Dna narrativo tipico degli scrittori genovesi. A leggere certe descrizion­i di paesaggi la mente va a Francesco Biamonti: «Alla mia destra anche l’orlo di un crinale sanguina: il sole apre le palpebre, arde il cuore di una nuvola leggera che si disfa rapidament­e nel vento», scrive Marangi nel romanzo. Ma anche dalla cesellatur­a di certe frasi, che ricorda autori liguri come Camillo Sbarbaro e Eugenio Montale: «Un ramo si muove nel vento: una lama di luce gli cade sugli occhi: abbassa lo sguardo e si volta a guardare la riva», si legge sempre nel romanzo. Fino al tema del viaggio e del ritorno, così forte in scrittori contempora­nei come Marino Magliani, un altro ligure di Ponente, che in quasi tutti i suoi scritti fa di questi temi una sorta di maledizion­e umana. Angeli di sale — che esce nella collana Interzona diretta da Orazio Labbate — è una sorta di libro sacro che racconta una storia dentro un «paradiso crudele» chiamato a fare i conti con la memoria e con le differenze ancestrali che sembrano ineluttabi­li e piccole rispetto all’immensità di tutto il mare e di tutta la terra liguri.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy