Corriere della Sera - La Lettura

I L’ultimo nativo Senza terra e senza famiglia

Poeta e poi romanziere del Montana, tribù dei Piedi Neri, James Welch morì esattament­e vent’anni fa. Viene ricordato con il ritorno di un suo romanzo (in Italia) e una festa (negli Usa)

- Di MARCO BRUNA

Jim Loney non interessa a nessuno. Non si sente neanche un indiano: lui è indiano solo per metà. Suo padre era un bianco. «Quando Loney pensava agli indiani, pensava alle famiglie della riserva, che vivevano tutte sotto lo stesso tetto, i vecchi che si tramandava­no la saggezza dei loro anni, degli anni della loro famiglia, degli anni della loro tribù, e i giovani che assorbivan­o la loro storia». Jim Loney è diverso, perché lui non ha mai avuto una famiglia.

È cresciuto per un po’ con una zia, che ha amato. Una sera il padre uscì a bere e non tornò, Jim aveva nove o dieci anni. Suo padre non sarebbe tornato per i successivi dodici. Si prese cura di lui la sorella Kate, all’epoca quindicenn­e. La madre di Jim Loney «era una donna indiana, forse una Westwolf. Kate crede sia impazzita qualche tempo dopo essersene andata. Non l’ho mai conosciuta».

Nel pantheon degli antieroi della letteratur­a americana — Stoner di John Williams è l’archetipo di una vita monotona negli Stati Uniti rurali — è tempo di riscoprire anche la creatura di James Welch (1940-2003), scrittore del Montana, appartenen­te alla tribù dei Piedi Neri e dei Gros Ventre. L’ultimo giorno di Jim Loney, uscito in edizione originale nel 1979, ora riproposto in Italia da Mattioli 1885, è il racconto di una crisi esistenzia­le, di una vita ai margini. Non solo i margini del Montana, una geografia remota, ma anche quelli del cuore. Loney non riesce a dare un peso alla propria esistenza. È diviso tra l’amore insicuro per Rhea, insegnante bianca arrivata ad Harlem, Montana, per rompere con il passato del natio Texas, e il complesso rapporto con la sorella Kate. Quest’ultima vuole che si trasferisc­a a Washington, dove lei ha fatto carriera; Rhea vorrebbe che la seguisse a Seattle. Jim, sempre sull’orlo del baratro, non vuole andare da nessuna parte. Lavora saltuariam­ente. La bottiglia, piaga delle comunità native, e le sigarette gli fanno compagnia.

Impariamo a conoscere Loney nell’arco di pochi mesi. Il suo nome ha un’assonanza per niente casuale con l’aggettivo lone, solitario. Jim Loney ha lo stesso «laconico bagliore» di James Welch. «Ogni lettore si aspetta che ci sia una connession­e tra un romanzo e la vita di chi lo ha scritto. È innegabile che qui ci sia: è un libro sul Montana, il mondo di James», dice a «la Lettura» la moglie di Welch, Lois, 87 anni, ex docente di Letteratur­e comparate che ha istituito all’Università del Montana un programma per scrittori nativi dopo la scomparsa del marito.

«Ha cominciato a scrivere questo libro nel 1975. Iniziò in prima persona, poi passò alla terza. Aveva visto troppi giovani indigeni intelligen­ti, campioni di basket al college, annegare nell’alcol. James voleva esplorare una di quelle vite. Niente lo accomuna a Jim Loney: James ha avuto un padre e una madre, due fratelli. La sua era una perfetta famiglia americana. Quella di Loney è spezzata».

Le pagine più struggenti sono dedicate al rapporto col padre. Un giorno, mentre il vento impetuoso soffia da nord, Jim si ferma davanti alla piccola roulotte verde di Harlem dove vive il suo vecchio. Gli grida di uscire ma lui non risponde. Loney fa una palla di neve e la tira verso la roulotte. Il silenzio è straziante. La porta non si apre, non arriva nessuna spiegazion­e, nessuna scusa, nessun abbraccio. «Cercò di guardare la roulotte, ma ora si confondeva con i campi bianchi, le praterie e il cielo di un giallo grigio. Era domenica. “Bastardo!” gridò».

Tra le pagine di Loney si annida una domanda dolorosa: che cos’è un uomo senza un padre? Per un nativo che ha già perso la madre, la terra, che cosa significa trovarsi senza un altro pezzo di anima? Un tema ricorrente: il grande autore indigeno canadese Richard Wagamese (19552017) narrò ne Le stelle si spengono all’alba il viaggio che un figlio intraprend­e a cavallo con il padre per accompagna­rlo verso la propria fine e verso il perdono. Loney è un senza patria, ma ha trovato in quella che abita l’unica via di uscita dal mondo. Anche il suo cane sordo Swipesy non ce la farà: muore nel Giorno del Ringraziam­ento, coincidenz­a macabra per un nativo americano. Ogni notte Loney vede un uccello, grande e scuro. Arriva sempre quando lui è stanco o ubriaco. Non l’ha mai visto nella vita reale ma pensa sia una visione inviata dalla famiglia della madre, un modo in cui gli antenati provano a parlargli.

«Il 4 agosto saranno vent’anni dalla morte di James. Darò una grande festa in giardino per ricordarlo», racconta emozionata Lois. «Tre giorni prima di morire disse che avrebbe voluto sentirsi abbastanza forte da organizzar­ne una con tutti i suoi amici».

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