Corriere della Sera - La Lettura
Mostro di Firenze Il mistero non è finito
È uscito il primo volume di una di Roberto Taddeo sulla catena di duplici omicidi avvenuti tra il 1968 e il 1985 nelle campagne toscane
La vicenda parte in sordina, accumulando ritardi nella comprensione del caso tanto surreali quanto irreversibili. Si tratta del mistero criminologico per antonomasia della storia del nostro Paese, anche se ce ne saremmo accorti in ritardo, una volta impantanati in un labirinto circolare senza uscita.
Una coppia viene uccisa in provincia di Firenze nel 1968: l’indagine imbocca la direzione del delitto passionale per chiudersi così.
Sei anni dopo, nel 1974, un’altra coppia uccisa, sempre nelle campagne intorno a Firenze. Strani arabeschi sono stati «disegnati» sul corpo della vittima femminile con la punta di un coltello; nessuno collega il delitto a quello del 1968. Passano sette anni e si precipita nel baratro narrato da Roberto Taddeo nel libro appena uscito per le edizioni Mimesis, La storia del mostro di Firenze. La sequenza dei delitti e la pista sarda, primo corposo volume di una trilogia dedicata al mondo, o meglio ai mondi, dell’assassino delle coppie.
Perché esistono tanti mondi quante sono le storie che si affastellano e si intersecano in questo libro, soprattutto da quando, all’inizio degli anni Ottanta, l’assassino inizia a colpire a cadenza annuale, turbando la tetra eleganza della notte, per poi scomparire nel 1985 nell’oscurità da cui era venuto. Si collegano i delitti — la pistola che spara è sempre la stessa — i corpi femminili vengono, in alcune occasioni, orrendamente mutilati; in otto duplici omicidi non si trova una sola traccia utile a placare la «schizofrenia» investigativa che, anziché fare chiarezza, diradando le progressive zone grigie e incertezze, le moltiplica esponenzialmente, lasciando l’assassino senza nome e senza volto. Un assassino anomalo si aggira per Firenze; non esiste un nome che lo possa definire nella nostra lingua, al punto da dover prendere in prestito un’espressione inglese: serial killer.
In Italia, con le «gesta» del mostro di Firenze si entra nell’era dell’omicidio seriale, con connotazioni sadico-sessuali in questo caso; il resto del mondo occidentale e contemporaneo vi era già entrato con i crimini del famigerato Jack lo Squartatore, che uccideva e sventrava prostitute nella cupa periferia di Londra sul finire dell’Ottocento. Se lo Squartatore — in una missiva inviata a Scotland Yard da alcuni attribuitagli — intendeva condurci alle porte del XX secolo, il mostro di Firenze ci ha accompagnati al suo crepuscolo. Negli anni in cui «Time» ribattezzava i serial killer come «una nuova razza di assassini».
Il libro di Taddeo è come un filo d’Arianna in questa storia di progressione di violenza, di ferocia, di precisione negli omicidi; o meglio, in questo coacervo di storie che si sovrappongono ad andature variabili e si intrecciano, scalzandosi spesso l’un l’altra, ognuna con il proprio ritmo, secondo temporalità disallineate che convergono nella circolarità frustrante dell’impasse, mentre l’assassino delle coppie prosegue a comporre il suo «affresco» scellerato e il frenetico valzer degli arresti dei sospettati, che annualmente si susseguono a partire dal 1981, porta gli inquirenti a guardare immancabilmente sempre là dove non c’è niente di concreto.
Alternando la narrazione ragionata alla ricostruzione cronachistica degli eventi, Taddeo attinge a una notevole quantità e varietà di fonti, coordinando dati e impressioni personali, ragionamenti, riflessioni esplicite o sussurrate al lettore tra le righe, con un linguaggio sempre chiaro e accessibile, meditato, senza mai indulgere al sensazionalismo che tanto ha caratterizzato negli anni il trattamento del caso.
In questo primo volume, in cui viene ricostruita la catena degli omicidi e delle indagini che animeranno il primo, fallimentare filone d’inchiesta sulla cosiddetta pista sarda, legata all’ambiente in cui molto probabilmente matura il delitto del 1968, l’autore costruisce una storia altrettanto «seriale», sullo sfondo di una ruralità mai così poco bucolica quanto violenta e arretrata: una storia-baule che lega le storie delle vittime, degli inquirenti, dei medici legali, di psichiatri, giornalisti e sospettati ai piedi di ciò che li sovrasta: una presenza «assente», disturbante, sinistramente tangibile.
Il mostro c’è, anche se non si vede, lascia cadaveri e mutilazioni al suo passaggio, cogliendo forze dell’ordine e magistratura impreparate a fronteggiare un simile fenomeno, storicamente, fino a quel momento, tipico del mondo anglosassone. E mentre l’autore si sforza di seguire un filo logico oltre che cronologico in grado di tenere insieme tutte queste storie, il lettore può cogliere quanto sia improprio e paradossale definire «mostro» un simile assassino, come se quest’in