Corriere della Sera - La Lettura
La musica del XXI secolo
Un oratorio con le voci ri-create di donne vittime delle guerre, un giardino pensile sonoro, un «concerto» di cellule neuronali: le sfide della prossima Biennale Musica esplorano suoni e tecnologie del futuro (in gran parte già presente). «La Lettura» ne
In che direzione si muove la musica contemporanea? Quali sono i temi che sceglie in un mondo in metamorfosi continua, evolutiva e involutiva? Una parte della risposta viene dalla prossima edizione della Biennale Musica di Venezia, una delle manifestazioni internazionali che da sempre ha indicato la strada, anticipando il futuro. In questa edizione, diretta dalla compositrice Lucia Ronchetti (1963), intitolata Micro-Music e incentrata sul suono digitale (16-29 ottobre), si trovano già alcune risposte. Dai progetti che affrontano il cambiamento climatico a quelli di ri-creazione virtuale di voci spente dalla guerra fino alle sfide dell’intelligenza artificiale, il programma è ricchissimo. «La Lettura», oltre alla stessa Ronchetti, ha coinvolto altre tre grandi compositrici internazionali della stessa generazione — ma agli antipodi per nascita, cultura e attività — per confrontarsi proprio sulla musica del futuro, sui temi emergenti da affrontare e riversare nelle loro partiture. Sono la greca Konstantia Gourzi (1962), la coreana Unsuk Chin (1961) — vivono entrambe in Germania — e la estone Helena Tulve (1972).
L’impegno dell’arte e nell’arte è un tema che non invecchia mai. O che, quanto meno, negli anni di crisi, riaffiora puntualmente, come un fiume carsico. Ritrovando slancio proprio in periodi bui come questo nostro, tra guerre, flussi migratori, cambiamenti climatici, pandemie... È il mondo che implode. Viene in mente un passaggio di Marinai perduti di Jean-Claude Izzo (edizioni e/o, 2001), dove uno dei personaggi dice lapidariamente: «Le cose cambiano, ma mai in meglio». Il risultato di questa conversazione? Punti di vista, opinioni e pensieri che per fortuna non sempre collimano. Segno (sano) delle diversità culturali e di un dialogo aperto.
In che modo secondo voi potrebbe essere possibile trasferire oggi in musica la visione e la previsione del mondo devastato dalla crisi climatica, dalle guerre, dalle migrazioni, dalle pandemie?
LUCIA RONCHETTI — I compositori e i musicisti attivi sulla scena mondiale non possono che operare nella musica, con il loro singolare linguaggio, coscienti del fatto che le loro impressioni non riusciranno a influire direttamente sul mondo politico ed economico; ma non per questo sono messaggi meno significativi.
UNSUK CHIN — Ogni compositore deve decidere da solo. La ragione d’essere della nuova musica, tuttavia, non è trattare certi argomenti, non importa quanto importanti. Per parafrasare Franz Kafka, le grandi opere d’arte sono «un’ascia per il mare ghiacciato dentro di noi»: poliedriche, scuotono le certezze e sfidano la percezione stanca e offuscata che è in noi, attraverso le loro qualità estetiche astratte.
LUCIA RONCHETTI — Mediante la musica si può sensibilizzare un pubblico speciale senza rinunciare alla propria estetica e alla propria ricerca compositiva. Non c’è bisogno di usare megafoni, dal momento che la musica opera per il presente e rappresenta al tempo stesso una testimonianza profonda e radicata per il futuro.
Quali sono i temi più attuali che (s)muovono maggiormente il vostro fare musica?
KONSTANTIA GOURZI — I temi che mi toccano di più e che hanno a che fare con la mia musica sono, e lo sono già da molto tempo, il rispetto per la natura (Melodies From The Sea, «Melodie dal mare», e Wind Whispers, «Sussurri del vento», sono due suoi lavori del 2020, ndr), la migrazione, il razzismo, le guerre.
HELENA TULVE — Penso che la musica possa toccare tutti questi argomenti, tuttavia è un’arte più astratta e allo stesso tempo più diretta e legata all’interiorità. Non serve che sia sempre razionale ed esplicativa.
Ronchetti, in veste di direttrice della Biennale Musica, per questa prossima edizione ha commissionato fra l’altro due lavori particolarissimi, uno alla compositrice tedesca Brigitta Munterdorf e l’altro al «sound artist» e geologo Louis Braddock Clarke.
LUCIA RONCHETTI — Il primo è un oratorio frutto della ricostruzione deep learning di voci di donne uccise nei recenti conflitti, generate dal collettivo informatico
ucraino Respeecher. È un’opera virtuale documentaristica. Una particolarità di questo lavoro è che si tratta di un’opera elettronica che non è più multimediale, come si potrebbe pensare in un primo momento, ma è virtuale. In scena ci sarà solo la compositrice al mixer che genera e controlla le diverse voci con l’uso di testi che spiegano ciò che è accaduto. È l’esempio di un nuovo lavoro che nasce dalla ricerca tecnologica — il collettivo ucraino è iper-specializzato in informatica, non è composto da musicisti — e dalle emergenze attuali, sociali e politiche, ma che genera progetti di rara bellezza sonora, dove il pubblico vive situazioni di ascolto più libere e più interattive con gli esecutori rispetto alla formalizzazione del concerto classico. Un altro progetto avveniristico è Music for surrogate performer del collettivo australiano di Guy Ben-Ari, dove cellule neuronali donate dal compositore Alvin Lucier (1931-2021, ndr) prima della morte sono coltivate in vitro e ingegnerizzate per creare musica generativa attraverso un macchinario che ne decodifica gli impulsi elettrici.
E invece il lavoro sulla natura del geologo Clarke? LUCIA RONCHETTI — È un’installazione, Weather Gardens, ispirata ai cambiamenti climatici, attraverso la creazione di giardini pensili sonori, li chiamo io così, creati dai suoni naturali del vento. Clarke crea inediti paesaggi sonori che si fondono con frequenze basse, gravi, mutuate dagli studi delle risonanze e frequenze emesse dal nostro pianeta, per una nuova ed esaltante ricerca di quella che gli antichi chiamavano «armonia delle sfere». Uno di questi giardini è originato dall’esperienza che ha fatto Clarke andando in barca in mezzo all’Oceano, vicino ai grandi impianti eolici, dove si viene a creare un mix fra il suono del vento e dell’acqua, ma che non è solo natura, perché ci sono le pale eoliche. È l’evoluzione del paesaggio sonoro.
Konstantia Gourzi parlava anche di migrazioni, razzismo...
HELENA TULVE — Temi giustissimi. Aggiungo che, per me, in alcuni casi, la musica deve anche affrontare il tempo che viene dopo e lo spazio intorno. Ad esempio piangere le perdite, come sopravvivere, mantenere la speranza, ristrutturare noi stessi e il mondo. Non è necessario il linguaggio del cervello, ma il linguaggio dell’anima che ci connetta gli uni con gli altri, perché tutti i processi partono dall’interno. E l’ascolto è la chiave.
KONSTANTIA GOURZI — Il mio obiettivo è trasformare questi temi in musica e dare all’ascoltatore lo spazio per pensare a sé stesso in relazione ad essi. In ogni brano il linguaggio e i mezzi compositivi sono diversi.
LUCIA RONCHETTI — Nel mio caso, non sono gli eventi della realtà in cui viviamo, anche quando drammaticamente travolgenti, a influire sul mio percorso compositivo, piuttosto le riflessioni scritte intorno ad alcuni grandi temi e problemi contemporanei. È dal testo che si origina la scrittura musicale, che rappresenta un’amplificazione elaborata del significato. Gli eventi politici e sociali non possono influenzare direttamente il lavoro di un compositore: la musica è un linguaggio altro e non traslitterabile.
Qualche esempio?
LUCIA RONCHETTI — Dalla lettura del saggio di Walter Vandereycken e Ron van Deth, Dalle sante ascetiche alle ragazze anoressiche, è nato il progetto della mia opera corale sull’astinenza dal cibo, Inedia prodigiosa. Dalla lettura dello Zibaldone di Leopardi nella sua prima pubblicazione integrale curata da Giosue Carducci, ha avuto origine l’idea di un’opera corale sulla solitudine maschile giovanile, Chronicles of Loneliness. Ora sto lavorando con il librettista siriano Mohammad Al Attar per un progetto sulla distruzione di Palmira e sulla migrazione siriana verso la Germania e ho collaborato a stretto contatto con due performer siriani rifugiati a Berlino...
Quanto è importante secondo voi oggi per un compositore la propria origine geografica e la cultura musicale da cui proviene, in una situazione di attualizzazione costante delle informazioni e globalizzazione delle tendenze creative?
HELENA TULVE — Come esseri umani siamo fatti di relazioni e apparteniamo a una famiglia, a una comunità, a una cultura, a un paesaggio, a una luce; e lì ci sentiamo a casa. Certamente questo non esaurisce la nostra piena identità, ma penso che ci unisca e ci dia una connessione verso prospettive e visioni più ampie. Avere una connessione con una certa cultura e tradizione può aiutarci ad essere più flessibili e liberi nel guardarci intorno e accettare altri modi di fare, anche in musica.
UNSUK CHIN — L’arte è sempre stata creata attraverso mescolanze e scambi: nessuna società ha radici culturali completamente autentiche, non adulterate. C’è differenza se questo scambio avvenga liberamente o sia dirottato da interessi commerciali o politici. Si spera almeno però che la libertà di poter cambiare le proprie identità e affiliazioni culturali sia tollerata dalla società.
KONSTANTIA GOURZI — Quanto è importante per un italiano avere in tavola un olio d’oliva proveniente dall’Italia? Le origini non si possono negare. Viviamo in un’epoca di trasformazioni, ognuno di noi deve chiedersi e rispondere di nuovo a molte domande sul mondo e su sé stesso. Per me la globalizzazione è un aspetto positive per lo scambio artistico: facilita anche l’accesso all’informazione sulle altre culture. Non deve però servire a distruggere le proprie origini. Ogni compositore ha bisogno di un linguaggio chiaro, forte e autentico per comunicare con convinzione e in modo sincero le sfide di oggi. Tutti i compositori che si sono ispirati alle proprie origini sono importanti per me. Essere consapevoli della tradizione, espanderla nel presente attraverso le questioni sociali contemporanee è l’obiettivo che mi pongo come compositrice e come direttrice d’orchestra.
Quali sono i compositori di riferimento del passato
che sono riusciti a esprimere in musica le situazioni critiche generate da guerre, carestie o da eventi naturali catastrofici?
LUCIA RONCHETTI — Mi viene in mente Water Passion di Tan Dun (1957, ndr) che considera l’acqua «una metafora dell’unità tra l’eterno e l’esterno, oltre che un simbolo di battesimo, rinnovamento, ricreazione e resurrezione». Ha creato un lavoro meditativo ma sintomatico della nuova situazione esistenziale dell’uomo di fronte a una trasformazione dell’habitat naturale.
KONSTANTIA GOURZI — Dmitri Shostakovich e Benjamin Britten, ma anche altri, sono riusciti a parlare musicalmente della guerra, del sociale, dei conflitti.
E voi, oggi?
KONSTANTIA GOURZI — La paura permanente di catastrofi è segnalata ogni giorno dai media. Ecco perché noi compositori dobbiamo scrivere molto su questo tema e, nonostante tutte le turbolenze, che esistono, provare a fare risuonare la luce. È vero, vediamo cose terribili, ma non dobbiamo limitarci a osservare e vivere tutto ciò con la rassegnata stanchezza di una fine inevitabile. Il compositore e l’arte possono riportare i crolli psicologici, individuali o collettivi, verso altezze spirituali. Dobbiamo conservare e rafforzare consapevolmente questa verità.
HELENA TULVE — Ogni periodo ha una frequenza e risonanza che penetra nelle persone che lo vivono. Gli artisti tuttavia sono spesso un po’ più avanti rispetto alla conoscenza esterna di un’epoca, portano nuove visioni e immagini che a volte non sono subito intelligibili, ma esprimono cose dal mondo inconscio o invisibile o dal mondo a venire, dal futuro. Credo che testimoniare, elaborare, riflettere e rimanere fedeli alla propria visione interiore sia l’unico modo per dare un senso alla vita, che a volte è brutta, ma spesso è strana e bella.
Nell’era dell’ascolto digitale, della generazione di musiche mediate da tecnologie di realtà virtuale e aumentata, di «deep learning» (il metodo di intelligenza artificiale che insegna ai computer a elaborare i dati in un modo che si ispira al cervello umano), qual è il ruolo e la posizione dei compositori oggi?
UNSUK CHIN — Come accade sempre, gli sviluppi tecnologici possono aprire nuove sfaccettature alla creatività. Non sono però salvifici. Ci sono modi fruttuosi in cui alcuni compositori hanno impiegato tecniche di composizione algoritmica in maniera controllata e limitata, e i centri di ricerca sulla musica elettroacustica hanno aperto interessanti possibilità per i compositori per molti decenni. È più difficile per me vedere come il deep learning, l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata possano dare un contributo significativo alla produzione, distribuzione e ricezione di nuova musica. Se la pura esplosione di innovazioni tecnologiche nei computer e nella digitalizzazione portasse a progressi nell’arte, vivremmo nel bel mezzo di un’esplosione di creatività assistita da computer; ma non mi sembra che sia il caso. Non c’è da stupirsi: sviluppo tecnologico e artistico non vanno di pari passo, perché sono due cose diverse.
KONSTANTIA GOURZI — Guardo al mondo digitale con curiosità per capire se le nuove possibilità saranno un supporto per ciò che intendo esprimere. Ma non voglio diventarne schiava. Dipende da ogni compositore come usare le tecnologie di oggi. Rispetto al passato, abbiamo bisogno di grande consapevolezza per sapere esattamente cosa vogliamo esprimere in musica.
HELENA TULVE — Dipende davvero da come pensiamo alla musica e al suo scopo. Se prendiamo la musica come qualcosa da consumare, qualunque sia il suo contesto, attivo o passivo, probabilmente possiamo trovare parti interessanti qua e là e possiamo imparare attraverso l’intelligenza artificiale cose sul mondo e anche su noi stessi, poiché le macchine sono fondamentalmente diverse da noi. Credo che a tutti i livelli la musica sia uno strumento di comunicazione e scambio. Mi interessa ciò che gli esseri umani percepiscono nel loro mondo interiore in una comunicazione diretta, senza parole.
UNSUK CHIN — Un’opera musicale è di solito in uno stato di tensione tra la partitura annotata e il fatto che si ripresenta costantemente durante l’esecuzione. La disponibilità della tecnologia moderna non è necessariamente una benedizione. Soprattutto tra le giovani generazioni, alcuni compositori rimangono dietro gli schermi dei loro computer: questo aumenta il rischio di copia e incolla e non sempre favorisce il contenuto artistico.
LUCIA RONCHETTI — Sono convinta che le nuove tecnologie, applicate alla generazione sonora e all’elaborazione compositiva, e l’evoluzione dei sistemi di riproduzione e diffusione del suono ci permettano di controllare con profondità inedita il meccanismo dell’ascolto e renderlo un’esperienza sempre più unica, personalizzata ed emozionante. Molti compositori collaborano con centri di ricerca e ispirano l’evoluzione della tecnologia, partecipano a collettivi creativi dove musicisti, informatici, scienziati operano insieme, nuovi cenacoli della nuova scena musicale internazionale. Altri compositori utilizzano i risultati di queste ricerche come strumenti compositivi che allargano la loro palette timbrica e l’organizzazione formale dei loro lavori.