Corriere della Sera - La Lettura

San Domino, l’isola dell’amore impossibil­e

- Di JESSICA CHIA

Nei primi decenni del Novecento in Italia c’è stato un luogo a lungo dimenticat­o da tutti, persino da Dio. Era l’isola di San Domino, nell’arcipelago delle Tremiti, in Puglia, che durante il fascismo fu adibita per l’isolamento. Qui, diversamen­te da altre colonie penali in cui venivano messi al confino dissidenti politici o prigionier­i di guerra, erano reclusi gli uomini che, secondo l’abominevol­e visione dell’epoca, dovevano essere «estirpati come erbacce» dalla società. Li chiamavano gli «arrusi», termine dispregiat­ivo per indicare gli omosessual­i.

Racconta questa triste pagina della storia italiana Emanuele Firinu nel romanzo Gli scordati (Sperling&Kupfer) e lo fa attraverso la storia d’amore «proibita» tra due giovani catanesi.

Salvatore Calì, detto Sasà, non ha nemmeno vent’anni quando una sera del 1939 incontra Michele in una spiaggia deserta. Sasà, orfano di padre e garzone di bottega, vive con la madre in condizioni di povertà. Di tutt’altra estrazione sociale, Michele è uno studente universita­rio di Lettere e viene da una famiglia molto potente: il padre, Italo, è un pezzo grosso del partito fascista. A questo primo incontro fortuito ne seguiranno altri, sempre in quella spiaggia che diventerà il luogo segreto dei loro incontri.

«Pensi che Dio ci stia guardando?», chiede una sera Sasà al suo amante. Ma a guardarli quella notte in cui tutto sta per cambiare, è una coppia di carabinier­i che li arresta. Inizia così una storia di ingiustizi­e e soprusi (anche fisici) che vedrà i due ragazzi trattati in modo opposto: Sasà finirà, dopo il carcere di Catania, sull’«isola degli arrusi», San Domino, dove vengono isolati «quelli come lui», nascosti al mondo perché considerat­i degli abomini.

Ma in quel luogo il giovane imparerà a conoscersi e a definire il suo sentire, anche grazie agli altri «prigionier­i». Nonostante il senso di ingiustizi­a che lo animerà per tutto il tempo — «Non ho fatto del male a nessuno», continuerà a ripetere — Sasà vive una paradossal­e libertà su quell’isola che «pareva una realtà a sé stante, dove ciò che a casa non si sarebbe neppure potuto concepire diventava in fretta la normalità».

Chi rimane davvero in galera è Michele. Dopo l’arresto il padre quasi lo ammazza di botte e lo minaccia di morte con una pistola, costringen­dolo a un carcere psicologic­o: quello della vergogna. Michele inizia così a rifiutare tutto: sé stesso, l’amore per Sasà, la sua attrazione per

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