Corriere della Sera - La Lettura
Insegniamo il teatro nelle scuole
Il regista è direttore artistico del Parioli di Roma dal settembre 2021
Ho sempre creduto nell’eclettismo e ci ha sempre creduto anche il pubblico che premia la diversità e la pluralità delle proposte. Naturalmente, una formazione del pubblico fin dall’ambito scolastico sarebbe auspicabile. In altri Paesi europei contribuisce al successo delle offerte, in ambito classico e nella drammaturgia contemporanea. In italia, la conoscenza della drammaturgia è appannaggio quasi esclusivo dei teatranti, se si escludono poche cattedre universitarie, mentre l’educazione teatrale dovrebbe iniziare dalle scuole dell’obbligo.
Eppure, nonostante questo, il teatro riesce ancora a essere un’agorà. Le presenze record di quest’estate nella stagione dell’Inda lo testimoniano; come lo dimostrano i numeri di molti teatri nazionali o quelli di vere «caseteatro» come il Parenti o l’Elfo a Milano, ma anche di molti teatri municipali sparsi nel nostro meraviglioso Paese. Roma ha perso molte case — Eliseo, Piccolo Eliseo, Valle — ma altre resistono: il Parioli riaperto solo due stagioni fa con la mia direzione sta cercando di definire sempre meglio il suo pubblico. La nostra prossima stagione si chiamerà Ridere, Pensare, Emozionarsi. Poi penso all’Ambra Jovinelli, al Vascello, a piccole sale come l’Off Off o il Basilica o a grandi teatri per musical come il Brancaccio o il Sistina — spazi diversi con programmazioni diverse ma tutti con una loro identità.
Mi sono sempre dedicato al teatro di parola; ho lavorato molto sulla drammaturgia contemporanea: Giuseppe Manfridi, Roberto Cavosi, Rosa Menduni, Roberto De Giorgi, Luigi Squarzina, Tullio Kezich, Carlo Longo, Stefano Ricci e Gianni Forte, Florian Zeller, Thomas Bernhard, Joe Orton, Tom Stoppard, Javier Semprún, Savyon Liebrecht, Sarah Kane. Ma ho anche commissionato scritture per la scena: Due partite di Cristina Comencini, L’infinito tra parentesi di Marco Malvaldi, Agnello di Dio di Daniele Mencarelli, Fuoriusciti o Il caso Kaufmann di Giovanni Grasso e ora Paolo Malaguti per un adattamento di La casa nova di Carlo Goldoni... cercando di coinvolgere narratori che non si erano mai cimentati con la drammaturgia. I risultati hanno premiato un teatro plurale e vivo; è un peccato che i giornali italiani abbiano ridotto drasticamente lo spazio per la sua conoscenza critica.
Ho vissuto molti anni da regista nella felice attesa delle recensioni che fino a un decennio fa venivano offerte giornalmente ai lettori. La pluralità delle opinioni critiche era occasione di conoscenza per il pubblico e di gioia (o delusione) per gli artisti. Ricordo Franco
Cordelli, intellettuale stimatissimo, presente ogni giorno sulle testate per cui scriveva; questo voleva dire che aveva ogni giorno la possibilità di verificare lo stato di salute del teatro italiano. Un confronto con la pluralità delle posizioni critiche era salutare per noi e permetteva a volte anche riflessioni personali. Inoltre i critici più autorevoli venivano seguiti dal pubblico.
Credo — al di là dei grandi maestri come Giorgio Strehler, Luca Ronconi, Massimo Castri, Giancarlo Cobelli — che il teatro di prosa non sia mai stato vivo come ora nella presenza di giovani attori e attrici preparatissimi, come mai prima, e di registi come Filippo Dini, attentissimo alla parola, o Emma Dante o Leonardo Lidi. L’elenco sarebbe lunghissimo — nel campo della tradizione e in quello della sperimentazione — e i nomi citati sono solo indicativi dell’eclettismo delle proposte. Inoltre: molti direttori artistici sono attenti alla drammaturgia contemporanea — Roberto Andò, Andrée Ruth Shammah, Valerio Binasco... E il teatro di intrattenimento non è meno nobile del teatro cosiddetto impegnato. In tutta Europa il teatro di intrattenimento — il West End londinese, i Théâtres privés di Parigi — ha un posto nobile; da quei teatri sono nati Yasmina Reza e Florian Zeller, Tom Stoppard e Harold Pinter...
Il teatro può essere ben fatto, ben diretto e ben recitato; oppure mal fatto, mal diretto e mal recitato sia che si tratti di Samuel Beckett o Henrik Ibsen, di Georges Feydeau o Alan Bennet, di Marc Camoletti o Lars Norén.
Ma di una cosa sono sempre più convinto: l’educazione al teatro nelle scuole sarebbe fortemente auspicabile e potrebbe costituire un grande aiuto per avvicinare il pubblico giovane. Qualsiasi studente inglese ha studiato Shakespeare, qualsiasi tedesco Goethe o Schiller, qualsiasi francese Racine e Molière... mentre pochissimi studenti italiani conoscono o studiano Vittorio Alfieri o Gabriele d’Annunzio o Luigi Pirandello. Per questo la strada è un po’ più in salita per noi. Senza tenere conto dell’annoso problema della convenzionalità della lingua italiana e della ricchezza e spontaneità dei dialetti che sono, loro sì, immediatamente comunicanti: basta pensare all’immenso Eduardo De Filippo o al Grammelot padano di Dario Fo o all’immediata comunicazione della lingua dei Legnanesi, unico fenomeno di teatro nazional-popolare secondo Alberto Arbasino. Nonostante questo ci sono stati grandi autori — Franco Brusati, Giuseppe Patroni Griffi, Giovanni Testori, Natalia Ginzburg, Alberto Moravia, Dacia Maraini, Luigi Squarzina, Ennio Flaiano, Enzo Siciliano, Pier Paolo Pasolini, Tullio Kezich — purtroppo poco rappresentati.
L’unica certezza è che il teatro si fa per il pubblico, vero terminale della comunicazione, e che senza il pubblico non esisterebbe il teatro.