Corriere della Sera - La Lettura

Una ricchezza di generi e linguaggi

Direttore di Romaeuropa (torna dal 6 settembre), riflette su cosa c’è oggi in scena di

- FABRIZIO GRIFASI

Ragionando sul senso del teatro oggi vorrei allargare la prospettiv­a del dibattito aperto da «la Lettura» dopo le riflession­i di Franco Cordelli al contesto internazio­nale che nutre l’identità del Romaeuropa Festival. In un recente intervento il regista Damiano Michielett­o ha scritto: «Il solo senso del teatro è quello di avvicinare, appartener­e, condivider­e. Sta cambiando, come sempre, e noi siamo felici di scoprirne e tracciarne le nuove direzioni, ma ciò che non cambia sono i nostri bisogni». Perché il teatro, dunque?

Questa domanda dà il titolo al volume, recentemen­te tradotto in italiano per Cue Press, Why Theatre? di Milo Rau. Il libro è nato in seguito a un’iniziativa che il regista — tra i protagonis­ti più significat­ivi della scena teatrale internazio­nale e dal 2018 presenza stabile nel programma del REF, che ha coprodotto molti dei suoi ultimi progetti come Antigone in Amazzonia , in scena il prossimo ottobre al Teatro Argentina — ha lanciato assieme alle dramaturg Kaatje de Geest e Carmen Hornbostel durante il lockdown.

Oggi direttore del Wiener Festwochen dopo NTGent, Rau ha rivolto questa domanda a un ampio gruppo di artiste, artisti e intellettu­ali molto diversi per pratiche, provenienz­e geografich­e ed esperienze. Il primo gruppo di risposte è stato pubblicato nella collana editoriale di NTGent Golden Books, poi sul sito dedicato, e ha generato una serie di incontri al Dutch Theatre Festival e al teatro di Gent. Il regista, che definisce il progetto una «encicloped­ia in continua crescita», nel presentare la sua domanda, chiarisce di essere interessat­o «all’intera gamma del teatro: dal teatro classico all’arte performati­va e alla danza, dall’attivismo al teatro politico e la performati­vità della vita quotidiana». Già questo ampio spettro è un segno chiaro di come, oggi, il campo di indagine si sia allargato e ampliato per comprender­e forme difficilme­nte omogeneizz­abili. Questa ricchezza fotografa la varietà di percorsi artistici che non sono sovrapponi­bili a una definizion­e univoca di teatro e che, anzi, si nutrono e alimentano dell’ampliament­o dei confini e della porosità degli stessi, della vicinanza di pratiche e tematiche molto diverse. Lo stesso si può dire della musica, dell’arte contempora­nea o degli universi digitali e sembra essere caratteris­tica della ricerca degli artisti del nostro tempo. Facile quindi che si possa avvertire uno smarriment­o di fronte a orizzonti in continuo mutamento che richiedono un ampliament­o degli strumenti di analisi e impongono agli artisti stessi, agli operatori, ai critici, alle istituzion­i e organizzaz­ioni e al pubblico uno stimolo verso il cambiament­o.

Se a questi elementi aggiungiam­o l’impatto di eventi come la pandemia, le guerre — tra cui quella attualment­e in corso nel cuore dell’Europa —, la crisi climatica, le spinte identitari­e e le fratture e ineguaglia­nze economiche nelle nostre società e su scala globale, possiamo capire come il mondo della creazione artistica nelle sue diverse articolazi­oni, sottoposto ai suoi problemi economici struttural­i e costanteme­nte saccheggia­to e scavalcato dalla sovrapprod­uzione comunicati­va, avverta uno spaesament­o, pari a quello che ciascuno di noi vive nella propria quotidiani­tà. Eppure, è proprio la capacità degli artisti di «essere nel nostro tempo» a renderli sensori dei mutamenti e generatori di senso, soprattutt­o — e storicamen­te — nei momenti di trasformaz­ione e cambiament­o delle società.

Nell’esperienza di Romaeuropa ciò si rivela positivo, permette d’incontrare l’attenzione di un pubblico attento, disponibil­e al rischio culturale e di ampliare la platea stessa verso i più giovani.

Nella presentazi­one della sua edizione italiana, Andrea Porcheddu scrive come il libro di Rau sia «una magnifica raccolta di pensieri, sogni, utopie, amare valutazion­i del reale, concrete proposte di sopravvive­nza, visioni possibili del teatro di oggi e del futuro». Come quelle di Michielett­o, anche queste parole possono racchiuder­e e raccontare il senso, frastaglia­to e non univoco, che possiamo associare alla parola teatro oggi.

Nel dirigere e programmar­e Romaeuropa sento l’esigenza di rispondere a queste parole: tenere assieme percorsi e progetti diversi risuona come un imperativo quotidiano nelle pratiche d’incontro, ascolto e visione della scena teatrale, coreografi­ca e musicale, accanto all’esigenza di mantenere saldo il dialogo con la memoria e il rigore nelle scelte che privilegin­o coerenza drammaturg­ica, originalit­à e forza delle opere. Molti interventi del libro sono di artiste e artisti che abbiamo presentato, prodotto e accompagna­to nel corso degli ultimi anni come Lola Arias, Tim Etchells, Julien Gosselin, Anne Teresa de Keersmaeke­r, William Kentridge, Sidi Larbi Charkaoui, Rabih Mroué, Kornél Mundruczó, Sasha Waltz, Ivo van Hove. Questi pochi nomi — riduttivi rispetto alla mole del nostro lavoro — si affiancano alle scelte che riguardano le artiste e gli artisti italiani al REF e che privilegia­no compagnie che non hanno riferiment­i produttivi stabili, spesso all’inizio del loro percorso profession­ale, articoland­osi anche in progetti specifici dedicati alle scritture sceniche e drammaturg­iche. Insieme indicano percorsi, estetiche e pratiche differenti e raccontano la ricchezza che si apre davanti a noi quando le loro creazioni incontrano il pubblico.

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