Corriere della Sera - La Lettura
Il lusso di diventare madre
Più donne senza figli o con figli dopo i 40 anni. La demografa Alessandra Minello
Non è un Paese per madri. Alessandra Minello, ricercatrice in Demografia al dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Padova, allarma già dal titolo. Nel libro, pubblicato da Laterza nel 2022, analizza la crisi demografica in Italia, indagando le ragioni che inducono le donne a diventare madri sempre più tardi (dopo i 40 anni) o a non diventarlo nonostante lo desiderino. Per comprendere la situazione e trovare possibili soluzioni, «la Lettura» ha raggiunto al telefono l’autrice.
Nel suo libro scrive: «La maternità è un percorso che crea oggettivi svantaggi nella vita lavorativa». Alla luce della sua esperienza di studio, quali sono gli svantaggi più comuni e limitanti che le donne italiane sperimentano nella vita lavorativa?
«I dati ci dicono che le donne non istruite lasciano il lavoro alla nascita del secondo figlio. Questo avviene di solito perché le donne percepiscono uno stipendio più basso rispetto agli uomini, ma anche per una questione culturale. In tante famiglie la gestione della casa viene ancora riservata alle donne e il 40 per cento delle famiglie italiane è ancora composto dal modello tradizionale che prevede l’uomo come unico responsabile del reddito e la donna casalinga e dedicata alla cura. La diffusione capillare di questo modello è soprattutto al Sud».
È possibile uscire da questa situazione stagnante?
«Adottare misure come l’aumento dei congedi parentali può essere d’aiuto: oggi il congedo di paternità è di soli dieci giorni, quello di maternità di cinque mesi; incrementarli potrebbe essere una soluzione. Basta guardare i nostri vicini: in Stati europei come la Germania e la Francia queste misure sono già attive. Negli ultimi quindici anni, in Germania, per aumentare la fecondità hanno adottato una flessibilità oraria che permette di gestire la vita privata e l’organizzazione dei figli. Anche servizi per l’infanzia e contratti di lavoro stabili con salari più alti, raggiungibili in tempi minori rispetto a un giovane italiano istruito, sono fondamentali. Poi però bisogna intervenire a livello culturale ed educativo: l’esempio in famiglia gioca un ruolo chiave».
L’Italia, più degli altri Stati europei, soffre del cosiddetto «fertility gap», la differenza tra il numero di figli desiderati e la fecondità realizzata. Lo statistico Roberto Volpi ha avanzato su «la Lettura» una proposta. Assegnare alle coppie con il secondo figlio una somma di 500 euro al mese fino alla maggiore età può essere utile?
«Mi sembra discriminatoria. Ci sono tante persone nel nostro Paese che vorrebbero ma non riescono ad avere nemmeno il primo figlio. Dobbiamo prima cercare di appagare il desiderio di quella fetta di popolazione che vuole diventare genitore, anche di un solo figlio, e poi dobbiamo anche pensare a tutte quelle donne che non desiderano avere figli. È importante infatti che la società sostenga anche chi decide di non mettere al mondo dei bambini. Chi abbraccia questa scelta non deve sentirsi giudicato».
Guardiamo ora al futuro, che cosa ci aspetta?
«Fortunatamente le nuove generazioni ci offrono una visione di speranza per il futuro: i dati ci dicono che le nuove coppie si considerano alla pari a livello di genere, sia per la cura della casa che per l’impegno lavorativo. Anche la visione del tempo è diversa rispetto alle generazioni precedenti: include sì il lavoro, ma vuole anche lasciare spazio al tempo libero. Questa tendenza è stata anche influenzata dal Covid, che ha portato a ripensare il proprio tempo, con un’attenzione alle priorità personali. Non è tutto roseo però...».
Che cosa intende?
«I ragazzi hanno alcuni timori sul futuro, paure che li portano a pensare di non fare figli. La crisi climatica che stiamo attraversando ha un ruolo centrale. Di fronte alle problematiche epocali che il riscaldamento globale ci pone è difficile per loro pensare di mettere al mondo dei figli: che prospettiva di vita potrebbero garantire loro? A tutto questo si aggiungono anche, ovviamente, le incognite lavorative, il welfare e le esperienze vissute che possono frenare il desiderio di fare un figlio».
Le esperienze vissute?
«Sì. Mi è rimasta impressa la domanda che una ragazza mi ha posto a una conferenza. Mi ha chiesto come poteva pensare di fare dei figli quando, di fronte alla promessa di un amore eterno, ha visto i suoi genitori divorziare. Quella domanda mi ha portata a una profonda riflessione. Una risposta forse non c’è, ma questo ci fa capire quanto siano importanti l’esempio, l’educazione e l’esperienza che viviamo, condizioni che ci orientano verso le scelte».
Problemi vecchi si sommano a quelli nuovi. Troveremo mai una soluzione ai tempi che cambiano?
«Per trovare nuove risposte, insieme alle professoresse associate Livia Elisa Ortensi del dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Bologna e Alessandra Decataldo dell’Università Bicocca di Milano, entro fine anno inizieremo un progetto di lavoro sul perché si ricorra sempre di più alla fecondità tardiva, su quanto influiscano gli aspetti culturali e le esperienze pregresse (anche con il primo figlio) nella crisi demografica, come si stanno sviluppando le relazioni e così via. Sarà uno studio importante finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca che durerà due anni e ci permetterà di capire meglio i nostri tempi, le aspettative e le esigenze delle coppie di oggi».