Corriere della Sera - La Lettura
Che futuro puoi avere a vent’anni?
«Il laureando» è il romanzo d’esordio di Maurizio Amendola sul senso di solitudine, sul disorientamento dei giovani, sull’assenza di sogni. Lo studio notarile del padre lo aspetta ma, in un lustro, Livio ha dato soltanto tre esami...
Difficile non pensare alla tragedia, una volta finito di leggere Il laureando di Maurizio Amendola (66thand2nd). Un po’ perché il motore del romanzo è l’ineluttabilità del destino, specie in relazione alle aspettative paterne (vedi Amleto). Un po’ perché questa ineluttabilità porta con sé una profonda alienazione (vedi Medea). Un po’ perché da giovani si è sempre soli e screditati (vedi Ippolito). Ma anche perché Livio, il protagonista del romanzo d’esordio di Amendola, è affascinato dal concetto di capro espiatorio, da cui deriverebbe la stessa parola «tragedia» (dal latino tragoedia, e prima ancora dal greco tragodía, che unisce trágos, «capro», e odé, «canto»). In diverse culture, il capro assumeva su di sé vizi, peccati e colpe degli esseri umani: sacrificato lui, boom: tutti innocenti.
Si potrebbe poi ragionare di eredità culturali a partire dal fatto che questo moderno «canto del capro» sia stato scritto da uno sceneggiatore di Crotone, ovvero una creatura più che prossima ai drammaturghi dell’antica Grecia. Ma incasellare Amendola e il suo libro nella tabella delle influenze su base territoriale significa appiattirne il lavoro e l’ispirazione, che invece hanno un respiro molto ampio, e guardano anche a John Fante, alla Bibbia, al cinema di Marco Bellocchio e di François Truffaut, nonché, ovviamente, a René Girard. E ai quotidiani.
Quella raccontata ne Il laureando, infatti, è una storia il cui calco dal reale è sempre più comune, sempre più triste, e collocato non tanto in un luogo quanto in un tempo interiore, che è l’oggi-senzafuturo dei ventenni, dei trentenni e del loro senso di inadeguatezza.
Livio Maiorano è prossimo alla laurea in Giurisprudenza. Figlio dei più eminenti notai di Crotone — è notaio solo il padre, in verità; la madre ha adottato il titolo come per via nobiliare — studia a Pisa, dove vive con Alessia, amica di sempre. Nei mesi in cui lo conosciamo sta scrivendo la tesi in Filosofia del diritto, dopo la discussione della quale subentrerà, come tutti si aspettano, nello studio di famiglia. La sua sorte è così limpida, e la strada così platealmente in discesa, che lamentarsi è fuori discussione. E nessuno, infatti, chiede a Livio come stia. Solo Alessia ha delle perplessità, ma lui svicola, minimizza, la allontana, e lei si arrende, dando la colpa una generica malinconia.
Invece il problema è che non esiste alcuna laurea, perché Livio, in oltre cinque anni di università, ha dato solo tre esami, e ogni giorno che passa rende la sua omissione più grave, il conto alla rovescia più ingestibile, e le conseguenze dello schianto più drammatiche. Ma come si trova la forza di dire la verità se le persone a cui senti di dover rendere conto — mamma, papà — non sembrano interessate ad ascoltarti?
Il laureando costringe a confrontarsi con l’angoscia che ipotizziamo, e da cui ci schermiamo, ogni volta che emerge una storia simile. In quei casi, che la fonte sia il giornale, la tv, un post sui social o
Il laureando 66THAND2ND Pagine 144, 15
Calabrese, nato nel 1985, Maurizio Amendola è cresciuto a Crotone. Ha cosceneggiato il film Babylon Sisters di Gigi Roccati. Collabora come docente presso la Scuola Holden di Torino. Nel 2020 il suo editore, 66thand2nd, insieme alla rivista «Effe» ha selezionato un suo racconto per l’antologia Per rabbia o per amore, storie di sport in dodici racconti. Nato come soggetto per un film, Il laureando è uscito lo scorso mese di luglio L’immagine Natura meravigliosa il bisbiglio di un parente, si è spesso incapaci di immedesimarsi, di credere che la negazione abbia pareti tanto solide e, soprattutto, di comprendere perché una persona giovane trovi così difficile chiedere aiuto. Leggendo questo libro, invece, ci è tutto dolorosamente chiaro, specie il senso d’impotenza, per osmosi romanzesca. E perché Amendola è molto abile nella costruzione dell’ambiente, oltre che della psiche, in cui è incastrato il protagonista: Livio non ha appigli, non ha interlocutori, non ha gusti o desideri definiti, non ha un rapporto consapevole con i luoghi e con gli spazi, né con gli altri corpi o con le proprie azioni; non sa chi è in relazione al mondo che lo circonda, e quindi non riesce a immaginare un posto (cioè un futuro) per sé. Credersi soli, evidentemente, significa soprattutto questo: sentirsi senza forze, senza sogni, senza direzione.
L’autore non dà consigli, né sguinzaglia un deus ex machina travestito da dialogo intenso. Anzi, si dimostra un crociato della cronaca e del verosimile, al cui servizio schiera una buona prosa, asciutta ma piena di poesia, e un equilibrio influenzato dal cinema — Il laureando nasce come soggetto per un film.
L’unica pecca, smascherata proprio dall’essenzialità che vige sul resto, riguarda due personaggi che entrano in scena inutilmente, e che avremmo voluto fossero più incisivi, sia per la storia che per Livio.
Ma a parte questo, Il laureando èun esordio ammirevole, profondo e illuminante. Intercetta uno dei più grandi drammi del nostro tempo e lo sveste dell’eccezionalità e della alterità che, per non sentirsi coinvolti, si tende ad attribuirgli. Invece, che sia per gli studi, la famiglia, il lavoro o il concetto di «casa» siamo tutti intossicati da quello stesso veleno, che ci rende confusi, fermi, indefiniti; sempre -andi e mai -ati.
Alzi la mano chi, in almeno un campo, non è stato Livio Maiorano. Alzi la mano chi è certo di volerlo davvero, questo suffisso delle cose esaudite che sembra l’obiettivo di tutti ma il sogno di nessuno.