Corriere della Sera - La Lettura

Che futuro puoi avere a vent’anni?

«Il laureando» è il romanzo d’esordio di Maurizio Amendola sul senso di solitudine, sul disorienta­mento dei giovani, sull’assenza di sogni. Lo studio notarile del padre lo aspetta ma, in un lustro, Livio ha dato soltanto tre esami...

- Di NICOLA H. COSENTINO MAURIZIO AMENDOLA © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Difficile non pensare alla tragedia, una volta finito di leggere Il laureando di Maurizio Amendola (66thand2nd). Un po’ perché il motore del romanzo è l’ineluttabi­lità del destino, specie in relazione alle aspettativ­e paterne (vedi Amleto). Un po’ perché questa ineluttabi­lità porta con sé una profonda alienazion­e (vedi Medea). Un po’ perché da giovani si è sempre soli e screditati (vedi Ippolito). Ma anche perché Livio, il protagonis­ta del romanzo d’esordio di Amendola, è affascinat­o dal concetto di capro espiatorio, da cui deriverebb­e la stessa parola «tragedia» (dal latino tragoedia, e prima ancora dal greco tragodía, che unisce trágos, «capro», e odé, «canto»). In diverse culture, il capro assumeva su di sé vizi, peccati e colpe degli esseri umani: sacrificat­o lui, boom: tutti innocenti.

Si potrebbe poi ragionare di eredità culturali a partire dal fatto che questo moderno «canto del capro» sia stato scritto da uno sceneggiat­ore di Crotone, ovvero una creatura più che prossima ai drammaturg­hi dell’antica Grecia. Ma incasellar­e Amendola e il suo libro nella tabella delle influenze su base territoria­le significa appiattirn­e il lavoro e l’ispirazion­e, che invece hanno un respiro molto ampio, e guardano anche a John Fante, alla Bibbia, al cinema di Marco Bellocchio e di François Truffaut, nonché, ovviamente, a René Girard. E ai quotidiani.

Quella raccontata ne Il laureando, infatti, è una storia il cui calco dal reale è sempre più comune, sempre più triste, e collocato non tanto in un luogo quanto in un tempo interiore, che è l’oggi-senzafutur­o dei ventenni, dei trentenni e del loro senso di inadeguate­zza.

Livio Maiorano è prossimo alla laurea in Giurisprud­enza. Figlio dei più eminenti notai di Crotone — è notaio solo il padre, in verità; la madre ha adottato il titolo come per via nobiliare — studia a Pisa, dove vive con Alessia, amica di sempre. Nei mesi in cui lo conosciamo sta scrivendo la tesi in Filosofia del diritto, dopo la discussion­e della quale subentrerà, come tutti si aspettano, nello studio di famiglia. La sua sorte è così limpida, e la strada così platealmen­te in discesa, che lamentarsi è fuori discussion­e. E nessuno, infatti, chiede a Livio come stia. Solo Alessia ha delle perplessit­à, ma lui svicola, minimizza, la allontana, e lei si arrende, dando la colpa una generica malinconia.

Invece il problema è che non esiste alcuna laurea, perché Livio, in oltre cinque anni di università, ha dato solo tre esami, e ogni giorno che passa rende la sua omissione più grave, il conto alla rovescia più ingestibil­e, e le conseguenz­e dello schianto più drammatich­e. Ma come si trova la forza di dire la verità se le persone a cui senti di dover rendere conto — mamma, papà — non sembrano interessat­e ad ascoltarti?

Il laureando costringe a confrontar­si con l’angoscia che ipotizziam­o, e da cui ci schermiamo, ogni volta che emerge una storia simile. In quei casi, che la fonte sia il giornale, la tv, un post sui social o

Il laureando 66THAND2ND Pagine 144, 15

Calabrese, nato nel 1985, Maurizio Amendola è cresciuto a Crotone. Ha cosceneggi­ato il film Babylon Sisters di Gigi Roccati. Collabora come docente presso la Scuola Holden di Torino. Nel 2020 il suo editore, 66thand2nd, insieme alla rivista «Effe» ha selezionat­o un suo racconto per l’antologia Per rabbia o per amore, storie di sport in dodici racconti. Nato come soggetto per un film, Il laureando è uscito lo scorso mese di luglio L’immagine Natura meraviglio­sa il bisbiglio di un parente, si è spesso incapaci di immedesima­rsi, di credere che la negazione abbia pareti tanto solide e, soprattutt­o, di comprender­e perché una persona giovane trovi così difficile chiedere aiuto. Leggendo questo libro, invece, ci è tutto dolorosame­nte chiaro, specie il senso d’impotenza, per osmosi romanzesca. E perché Amendola è molto abile nella costruzion­e dell’ambiente, oltre che della psiche, in cui è incastrato il protagonis­ta: Livio non ha appigli, non ha interlocut­ori, non ha gusti o desideri definiti, non ha un rapporto consapevol­e con i luoghi e con gli spazi, né con gli altri corpi o con le proprie azioni; non sa chi è in relazione al mondo che lo circonda, e quindi non riesce a immaginare un posto (cioè un futuro) per sé. Credersi soli, evidenteme­nte, significa soprattutt­o questo: sentirsi senza forze, senza sogni, senza direzione.

L’autore non dà consigli, né sguinzagli­a un deus ex machina travestito da dialogo intenso. Anzi, si dimostra un crociato della cronaca e del verosimile, al cui servizio schiera una buona prosa, asciutta ma piena di poesia, e un equilibrio influenzat­o dal cinema — Il laureando nasce come soggetto per un film.

L’unica pecca, smascherat­a proprio dall’essenziali­tà che vige sul resto, riguarda due personaggi che entrano in scena inutilment­e, e che avremmo voluto fossero più incisivi, sia per la storia che per Livio.

Ma a parte questo, Il laureando èun esordio ammirevole, profondo e illuminant­e. Intercetta uno dei più grandi drammi del nostro tempo e lo sveste dell’eccezional­ità e della alterità che, per non sentirsi coinvolti, si tende ad attribuirg­li. Invece, che sia per gli studi, la famiglia, il lavoro o il concetto di «casa» siamo tutti intossicat­i da quello stesso veleno, che ci rende confusi, fermi, indefiniti; sempre -andi e mai -ati.

Alzi la mano chi, in almeno un campo, non è stato Livio Maiorano. Alzi la mano chi è certo di volerlo davvero, questo suffisso delle cose esaudite che sembra l’obiettivo di tutti ma il sogno di nessuno.

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(2023, olio su tela, particolar­e), in mostra fino al 17 settembre alla Casa Museo Giovanni Pascoli di Castelvecc­hio Pascoli (Lucca) per Ut pictura poësis. Dialoghi tra Ciro Palumbo e Giovanni Pascoli,
A cura di Lucia Morelli Ciro Palumbo (1965), (2023, olio su tela, particolar­e), in mostra fino al 17 settembre alla Casa Museo Giovanni Pascoli di Castelvecc­hio Pascoli (Lucca) per Ut pictura poësis. Dialoghi tra Ciro Palumbo e Giovanni Pascoli,
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