Corriere della Sera - La Lettura
LA DISPUTA TEOLOGICA ESPLOSA A BISANZIO
«Non avrai altro Dio all’infuori di me»: poiché i popoli antichi raffiguravano i propri dèi in dipinti o statue, il primo comandamento venne applicato dagli ebrei a ogni forma di rappresentazione, specie se antropomorfa. L’atteggiamento dei cristiani fu differente; dapprima limitate all’uso di simboli (il pesce, l’ancora), dopo l’editto di Costantino le immagini invasero la pratica religiosa, assumendo un rilevante peso sociale ed economico. Questioni politiche e teologiche si intrecciano così nella decisione dell’imperatore bizantino Leone III Isaurico (ritratto nella moneta qui sopra) nel 730 di rimuovere e distruggere le immagini sacre sulla base del comandamento biblico: unica ammessa, la croce. Per i suoi critici, l’incarnazione di Cristo legittima invece l’uso delle immagini, giacché lo stesso Figlio di Dio ha assunto forma umana.
Dopo aspri conflitti, il Concilio di Nicea del 787, promosso da Irene, madre e tutrice dell’imperatore bambino Costantino VI, condanna l’iconoclastia e distingue la legittima venerazione delle immagini (iconodulia) dalla loro adorazione (iconolatria), proibita in quanto riservata a Dio solo.
L’iconoclastia conosce una ripresa tra l’815 e l’843, sotto gli imperatori Leone V l’Armeno e Teofilo; da allora, l’immagine sacra è parte del cristianesimo orientale. In Occidente, Papa Gregorio Magno (540604) aveva aperto una nuova prospettiva: le immagini sono la Biblia pauperum, che rende accessibili i racconti sacri agli analfabeti.
La critica protestante al culto dei santi e della Vergine, tra i soggetti più rappresentati, trascinò con sé le immagini, sino alla drastica iconoclastia promossa dalle chiese calviniste nel XVI secolo.