Corriere della Sera - La Lettura
Mentre racconta la scoperta da parte dell’artista, che ne resta folgorato, di Giulio Romano. E per suo tramite del Rinascimento
Diverrà ricco, ricchissimo, imparerà a parlare e scrivere in quasi tutte le lingue europee, ricoprirà anche incarichi di altissima diplomazia, arrivando a relazionarsi direttamente — caso unico nella storia dell’arte — con tutti i sovrani del tempo, suoi collezionisti: Maria de’ Medici di Francia, Filippo II di Spagna, Carlo I d’Inghilterra... (oltre alla folta schiera di banchieri e aristocratici d’ogni dove). Arriverà ad avere duecento collaboratori, con botteghe attive in diversi Paesi («Tutto il mondo per me è casa», ebbe a scrivere in una lettera), producendo, da solo o più spesso con aiuti, un numero ancora imprecisato di opere che va comunque oltre le tremila... Ma è nella raffinata corte del duca di Gonzaga che il Rubens dei record compie i primi passi come artista internazionale, in quella Mantova dove arrivò nell’agosto del 1600 dopo un altrettanto fondamentale soggiorno veneziano. E a Mantova Rubens scopre, rimanendone folgorato per sempre, l’opera di Giulio Romano. E per suo tramite il Rinascimento.
È questo il tratto distintivo della mostra Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà ,a cura di Raffaella Morselli, va da sé ospitata — dal 7 ottobre al 7 gennaio — nella celebre magione ducale, proprio la grande palestra dove il «colto umanista universale» Pieter Paul, così lo definisce Morselli in apertura di saggio, visse, elaborando in loco un nuovo linguaggio «né fiammingo, né italiano ma potentemente fiammingaliano o italianingo».
Dodici le sezioni in cui è suddivisa l’esposizione, realizzata con una campagna di prestiti provenienti da grandi musei internazionali — Louvre, Prado, Boijmans di Rotterdam, Statens Museum for Kunst di Copenaghen
— e italiani (Musei Capitolini di Roma e Musei Reali di Torino). Opere scelte in funzione del dialogo diretto con i miti e con l’interpretazione che ne diede Giulio nelle varie Stanze delle meraviglie e dove Rubens torna a distanza di più di quattro secoli. Un obiettivo, questo del dialogo, rimarcato anche da scenografiche sottolineature luministiche nell’allestimento, a evidenziare le precise rispondenze tra i motivi decorativi e iconografici giulieschi che contraddistinguono gli ambienti del Te e le opere del fiammingaliano.
Un peculiare punto di vista dunque, elaborato con un percorso paradigmatico che dimostra inoltre quanto queste suggestioni rinascimentali, elaborate poi negli anni, siano comunque continuate, evolvendosi, anche nella pittura della maturità di Rubens, fino a trasmettersi nell’eredità, intellettuale e artistica, lasciata agli allievi. Tra questi sodali anche Jacob Jordaens (1593-1678), che in Italia non verrà mai ma gli basterà la lectio trasmessa dal maestro per dare vita a una delle sue opere più complesse: lo straordinario soffitto della sua casa di Anversa, mutuato, per il tramite di Rubens, dalla Camera di Amore e Psiche. L’intera decorazione del salone, con operazione spettacolare (aggettivo che a Rubens non sarebbe dispiaciuto) viene ora riproposta nella Camera dei Capitani di Palazzo Te. Non mancano in mostra gli straordinari disegni a quattro mani: quelli che Giulio Romano vergò e che Rubens — acquistandoli per sé anni e anni dopo — collezionò riutilizzandoli come modelli e ritoccandoli direttamente di suo pugno, in un processo che è al tempo stesso studio, rielaborazione creativa e appassionata appropriazione.