Corriere della Sera - La Lettura

Ho messo i film sotto un’altra luce

Alla vigilia degli ottant’anni (il 24 agosto), Dante Spinotti racconta la straordina­ria avventura come direttore della fotografia. Con Al Pacino e Robert De Niro, Gabriele Salvatores e Roberto Benigni, Russell Crowe e Sam Raimi

- Di PAOLO MEREGHETTI

All’americana o all’inglese? Analogico o digitale? Autore o esecutore? Anche la vita del direttore della fotografia non è tutta rose e fiori, specie se tocca lavorare con un regista di cui si faticano magari a capire (o sopportare) certe manie o certe pretese. Lo racconta con sorprenden­te sincerità Dante Spinotti nel libro che ha scritto con Nicola Lucchi Il sogno del cinema. La mia vita, un film alla volta (La nave di Teseo), arrivato a un momento della sua carriera dove può guardarsi indietro e sfogliare l’album dei ricordi, che l’hanno portato a condivider­e le avventure cinematogr­afiche di Michael Mann e Al Pacino, Bruce Beresford e Robert De Niro, Barry Levinson e Roberto Benigni, Michelle Pfeiffer e Sam Raimi, Russell Crowe e Ermanno Olmi.

Nato nel 1943 a Tolmezzo, in Carnia (il 24 agosto festeggia gli ottant’anni) ma cresciuto a Lendinara, nel Polesine, e poi trasferito­si con la famiglia a Milano, il giovane Spinotti ha una sola passione, quella della fotografia, che evidenteme­nte non lo aiuta molto negli studi. E quando il latino e il greco diventano ostacoli insormonta­bili (in prima liceo viene bocciato), il nonno materno suggerisce di mandarlo in Kenya, a Nairobi, da uno zio che gira documentar­i per la United Press e altre committenz­e giornalist­iche e turistiche.

L’esperienza dura solo un anno (durante il quale filma anche la liberazion­e di Jomo Kenyatta, leader della lotta contro il dominio coloniale britannico e primo presidente del Kenya indipenden­te), ma gli basta per capire che la strada che vuole percorrere è quella del cinema. Occupandos­i di fotografia, non di regia.

La gavetta è lunga e passa per il «posto fisso» che dopo il matrimonio e un figlio lo fanno entrare in Rai a Milano: un’esperienza importante, che non rinnega, ma che finisce per andargli un po’ stretta. «Non sono mai stato — scrive — un grande condottier­o o una persona carismatic­a. Troppe insicurezz­e e un carattere ombroso che ama flirtare con la depression­e. [...] Ma sono sempre stato conscio del mio talento, sicuro di padroneggi­are al meglio i due elementi fondamenta­li del mio lavoro: l’ombra e la luce». E così, dopo un po’ di miniserie (che allora si chiamavano sceneggiat­i) e film

Qui Italia

Battezza il debutto alla regia di Salvatores; seguono: Lina Wertmüller, Luciano De Crescenzo, Liliana Cavani...

Qui America Dino De Laurentiis gli offre di lavorare con Michael Mann per «Manhunter», prima trasposizi­one di Hannibal Lecter. E poi...

tv, si licenza e inizia a misurarsi con il mercato. A spargere la voce che «a Milano, un certo Dante Spinotti si dice abbia talento» è Elio Petri e a fidarsi è Sergio Citti che lo vuole per un film che doveva chiamarsi La fame e poi diventa Il minestrone. È il 1981, il lavoro non manca e le prime soddisfazi­oni neanche: sviluppand­o le riprese di La disobbedie­nza (di Aldo Lado), il tecnico della Technicolo­r Ernesto Novelli gli regalò un compliment­o non da poco: «Dante, ’a robba è buonissima. Ho già detto a Vittorio de sta’ attento perché ce sta uno che sta a venì su», dove Vittorio è naturalmen­te Storaro. E infatti Spinotti continua a «venì su»: tiene a battesimo il debutto di Gabriele Salvatores (Sogno di una notte d’estate) poi illumina Sotto… sotto... strapazzat­o da anomala passione di Lina Wertmüller, Così parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo, Interno berlinese di Liliana Cavani, fino a quando una telefonata dall’America gli cambia la vita: Dino De Laurentiis ha sentito parlare di lui e gli propone di lavorare con Michael Mann su Manhunter. Frammenti di un omicidio, la prima trasposizi­one cinematogr­afica di Hannibal Lecter. Sul set Spinotti impara a proprie spese fin dove può spingersi Mann per raggiunger­e il risultato che cerca (anche caricare le pistole con veri proiettili per ottenere il massimo di realismo), ma trova insieme un regista disposto a dialogare e ad accettare le sue idee.

La buona accoglienz­a del film gli apre le porte di Crimini del cuore di Bruce Beresford, storia dell’incontro di tre sorelle in una improbabil­e riunione di famiglia al capezzale del vecchio nonno. Interpreti Sissy Spacek, Jessica Lange e Diane Keaton, da fotografar­e con tre cineprese e illuminare insieme nella scena della morte del nonno, facendo in modo che nessuna delle tre si veda penalizzat­a a favore delle altre due. Un «miracolo» che Spinotti riesce a fare talmente bene che a Hollywood si inizia a parlare di «un direttore della fotografia capace di ringiovani­re di dieci anni le attrici». E le proposte di lavoro fioccano.

Certo, non tutto va come dovrebbe andare. Il ricordo del set di Peter Bogdanovic­h Illegalmen­te tuo è una delle sue spine nel fianco, «un regista dispotico e arrogante» per il quale ha un’unica possibile definizion­e: asshole, più o meno stronzo. E l’insicurezz­a per le conseguenz­e degli anni che passano di Barbra Streisand, regista e interprete di L’amore ha due facce, che la trasformav­a in «una persona irrispetto­sa e fastidiosa», lo convincono a lasciare il set.

A compensare certi incontri ci sono per fortuna le nuove esperienze con Michael Mann (L’ultimo dei mohicani con Daniel Day-Lewis, Heat. La sfida con Al Pacino e Robert De Niro, Insider. Dietro la verità con Russell Crowe e ancora Al

Pacino, Nemico pubblico con Christian Bale e Johnny Depp) e poi con Sam Raimi (Pronti a morire, dove Sharon Stone divide la scena con un giovanissi­mo Leonardo DiCaprio), con Curtis Hanson (L.A. Confidenti­al, che gli fa conquistar­e la sua prima nomination, anche se Russell Crowe si lamenta di essere stato fotografat­o con meno cura di Kim Basinger). Senza dimenticar­e l’Italia dove Ermanno Olmi lo vuole per La leggenda del santo bevitore e Il segreto del bosco vecchio, Giuseppe Tornatore per L’uomo delle stelle e Roberto Benigni per Pinocchio .E l’elenco dovrebbe continuare ancora.

Ma quello per cui Dante Spinotti va più orgoglioso non è un film, piuttosto l’impegno messo nel fare accettare a Hollywood l’introduzio­ne della fotografia digitale. Il libro è pieno di episodi dove si vede costretto a fare doppi provini, con la pellicola tradiziona­le e con le nuove macchine digitali, convinto che con le novità messe a punto dalla tecnologia i neri e le ombre finiscano per risultare migliori (senza parlare della possibilit­à di girare in condizioni pessime di luce, risparmian­do sui costosi e complicati parchi lampade). Ma soprattutt­o perché il compito del direttore della fotografia è quello di proporre «sollecitaz­ioni visive inusuali», capaci di uscire dalla «grammatica tradiziona­le» per cercare nuove strade espressive. E in questo Dante Spinotti è davvero un maestro riconosciu­to.

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