Corriere della Sera - La Lettura

Una mazza da hockey si abbatte sul pianeta

Indicatori socio-economici, chimico-fisici e ambientali globali — stabili dal 1700 al 1950 — sono in crescita clamorosa: piogge devastanti, siccità estrema... La questione climatica è anche una questione idraulica. Ne scrive Andrea Rinaldo pochi giorni pr

- ANDREA RINALDO di

La questione idraulica (il governo di piene, siccità, e di una giusta distribuzi­one dell’acqua) è un potente filtro fra scienza e politica e un sicuro indicatore della cifra culturale del dibattito ambientale. È oggetto di molta attenzione, in Italia e nel mondo, per la diffusa percezione di una grande accelerazi­one del cambiament­o climatico, tangibilme­nte verificabi­le da chiunque per le anomale (nel senso della memoria di chi ne è testimone) e persistent­i alte temperatur­e dell’aria. Leggi fisiche ineludibil­i stabilisco­no una connession­e con la questione idraulica, perché ogni grado in più della temperatur­a dell’aria implica circa il 7 per cento in più di vapor acqueo che localmente l’atmosfera può ritenere.

Dove volete che vada a finire quest’acqua in eccesso? Ogni fronte freddo che incontrerà quelle masse d’aria più umida produrrà piogge più intense, bombe d’acqua talora, ed eventi meteorolog­ici sempre più estremi.

Nel nostro Paese i segni recenti più evidenti sono forse la rapidità del contrordin­e: dalle grandi preoccupaz­ioni per la prolungata scarsità d’acqua in molti territori del Nord d’Italia, direttamen­te alla necessità di gestire alluvioni in quelle stesse terre, e nel volgere di appena un mese. La gravità delle conseguenz­e delle piene di maggio in molti fiumi della Romagna risuona con gli eventi brevi e intensissi­mi che hanno prodotto devastazio­ni a beni culturali e ambientali importanti come i giardini storici di Milano.

L’evidenza empirica, locale e limitata nel tempo, trova conferma in un numero singolare di indicatori socio-economici, chimico-fisici ed ecologici globali: tutti caratteriz­zati da un andamento temporale comunement­e definito «a mazza da hockey»: stabile dal Settecento, cioè da quando sono iniziate misure sistematic­he, fino al 1950 circa, e da allora in crescita clamorosa e spesso incontroll­ata.

Che fare? Il governo dell’acqua è da sempre concausa di profondi cambiament­i nel paesaggio culturale, quello in cui il paesaggio-natura è arricchito dagli esiti delle attività dell’uomo, e che si vorrebbe complement­are a una lettura attenta dello spazio vitale nel suo significat­o biogeograf­ico originale (il Lebensraum di Friedrich Ratzel). Il paesaggio culturale incontra la storia e le strutture invisibili: le tradizioni e l’organizzaz­ione politica e sociale dei luoghi, le manifestaz­ioni delle sensibilit­à collettive, e la bellezza del paesaggio da tutelare.

Coniugare adattament­i al clima che cambia rapidament­e e spazio vitale dell’ambiente naturale e costruito, specie se stratifica­ti dalla Storia e dunque da tutelare, non è facile.

Un esempio mi sembra particolar­mente significat­ivo: l’urgenza di ripensare Venezia, la città in cui sono nato e cresciuto. Le proiezioni regionali rilevanti, contenute nel sesto rapporto dell’Intergover­nmental Panel on Climate Change (del luglio 2021, aggiornate anche da poche settimane), prevedono un notevole aumento del livello medio del mare entro il 2100. Lo scenario più probabile corrispond­e a un aumento della temperatur­a media atmosferic­a da 2,1 a 3,5 gradi, a cui corrispond­erebbe un innalzamen­to del livello medio del mare tra 44 e 76 centimetri.

Potrebbe andare anche peggio di così: osservazio­ni rese pubbliche alla fine di luglio mostrano che l’estensione del ghiaccio marino in Antartide ha raggiunto un nuovo minimo quest’anno rispetto al periodo 1991-2020, con possibili implicazio­ni per le stime della crescita del livello medio degli oceani.

Intorno a Venezia, consideran­do imprescind­ibili le operazioni e la manutenzio­ne delle barriere mobili (il Mose) che proteggono dalle alte maree eccezional­i, un metro in più di medio mare significa che, nell’attuale modalità operativa, le barriere dovrebbero essere chiuse in media più di 260 volte l’anno. Questo comportere­bbe la perdita, in toto o in larga misura, dell’attuale ecosistema lagunare e dei suoi servizi come li vediamo oggi, nessuna significat­iva attività portuale in laguna e danni insostenib­ili all’ambiente costruito, l’opera d’arte che tutto il mondo ammira.

Il Mose è indispensa­bile e va manutenuto a ogni costo anche perché ci lascia il tempo di pianificar­e un programma di interventi che affronti il problema cronico che l’aumento del livello medio del mare pone. Per questo programma, necessario e urgente, servono altre soluzioni. Ci sono voluti quasi sessant’anni per concepire e costruire il Mose, è ragionevol­e assumere che almeno altrettant­i ce ne vorranno per tro

anche di giovani alla ricerca di un rapporto con il mondo che li circonda. Troviamo una generazion­e vicina alla sua, ma se le chiediamo chi può dare un contributo maggiore al rispetto dell’ambiente, lei risponde: «Tutti. Non conta l’età, appartenia­mo alla stessa generazion­e anche se abbiamo età anagrafich­e diverse. È per questo che bisogna lottare insieme — giovani, adulti, anziani — per lo stesso obiettivo. Preservare l’umanità è una sfida sociale che bisogna affrontare con competenze, esperienze e strumenti anche diversi», racconta.

A settembre l’attivista ambientale sarà ospite al Campo Base Festival, l’appuntamen­to culturale in Val d’Ossola, nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola (Piemonte), che condivide i suoi stessi valori. Il festival, che si terrà dal 1° al 3 settembre, è dedicato alla cultura della montagna, alle attività outdoor, al rapporto tra l’essere umano e l’ambiente circostant­e. Un’occasione per sensibiliz­zare, approfondi­re, ma anche per divertirsi con performanc­e musicali, laboratori, escursioni. Sono tanti gli ospiti presenti: il ricercator­e Giorgio Vacchiano, lo scienziato Alessandro Chiolerio, il geografo ed esplorator­e Franco Michieli, ma anche artisti come la visual artist Ilaria Turba.

Il festival piemontese rispecchia anche nella location la vicinanza alla natura: il teatro a cielo aperto (Tones Teatro Natura), in pietra, è nato dalla riqualific­azione di un’ex cava industrial­e, e nei luoghi della manifestaz­ione è presente un campeggio immerso nella natura per accogliere chi parteciper­à al festival. In particolar­e, nella serata di sabato 2 settembre, Segantin dialogherà con l’esplorator­e ambientali­sta Alex Bellini e la ricercatri­ce e meteorolog­a Sofia Farina in un talk dal titolo Il paradosso dell’acqua, per riflettere sul tema dell’inquinamen­to: «Sappiamo dare un prezzo all’acqua, ma non sappiamo darle il giusto valore», questa la premessa. «Come tutto il festival sarà l’occasione per apprendere dati, conoscere situazioni specifiche, stare a contatto con la natura e creare legami», anticipa Sara Segantin. Fare comunità, per l’attivista, è vitale: permette di raggiunger­e obiettivi comuni. La sua esperienza con Fridays for Future lo dimostra: «Con il movimento abbiamo portato l’attezione mediatica sui temi dell’ambiente, fatto passi avanti con la collaboraz­ione delle istituzion­i a Brescia, Bari, Torino, in Sicilia. In questi luoghi, per fare qualche esempio, abbiamo creato campagne rifiuti, lottato per la riqualific­azione del suolo, stiamo facendo comprender­e come le piccole azioni non bastano per salvare il pianeta, ma occorre il coinvolgim­ento di tutti gli enti. Obiettivi che abbiamo raggiunto solo insieme». Una collaboraz­ione pacifica che sembra stonare con alcune azioni di Just Stop Oil o di Ultima Generazion­e, che vede gli attivisti compiere vandalismi sulle opere d’arte. Segantin non si sente di giudicare, ma spiega: «Questa forma di comunicazi­one è il frutto di una frustrazio­ne comune generata dal non sentirsi mai ascoltati». vare una strada adatta a fronteggia­re le nuove emergenze: non possiamo aspettare lasciando ai nostri pronipoti poco o niente da conservare.

Sopravvive­rà Venezia? Di certo il momento di iniziare a elaborare e condivider­e un progetto, che fatalmente dovrà essere nuovo e radicale, è adesso. Il modo stesso in cui sono governati la ricerca di soluzioni e il processo decisional­e va ripensato se Venezia sta a cuore. È necessaria una mobilitazi­one collettiva analoga a quella nata dall’Acqua Granda del 1966, quella di «Venezia fino a quando?» e dei Comitati privati internazio­nali, perché una nuova idea di Venezia deve farsi strada: avvertita su tutti gli interessi in gioco e sulla necessità di una realtà metropolit­ana vitale anche a fronte di un metro in più del livello del mare. Un’idea di città e del suo ambiente che ripensi il suo modello di sviluppo mirando a ristabilir­e una Venezia vera fabbrica di innovazion­e, lavoro, cultura, bellezza oltre che turismo.

Questa idea deve immaginare un futuro accettabil­e per il suo ecosistema e i servizi anche culturali in pericolo, e che sappia decidere dove mettere le mani per conservare o per rifare, come sempre era successo per mille anni al tempo della Dominante.

Ogni possibile strategia per un progetto di questo respiro ha bisogno di pianificar­e il futuro con molti decenni di anticipo. Deve dimostrars­i solida nella sua base scientific­a e mobilitare culture diverse e adeguate all’importanza del compito. Scienza e politica tempestiva­mente partecipat­e, si diceva una volta: questo rinnovato sentire comune vorrei fosse fortemente condiviso per accompagna­re scelte difficili nei cent’anni al massimo che sono concessi a Venezia per sopravvive­re.

Vorrei che il sentimento di urgenza e preoccupaz­ione che si sta facendo strada ispirasse una nuova militanza, quella che vedo all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia che da 150 anni si occupa della sua salvaguard­ia e che oggi cerca in giro per il mondo le risorse necessarie per una consultazi­one internazio­nale centrata sul tema «immaginate una Venezia viva e vitale nel 2100».

Le mie conclusion­i sono banali: il clima sta cambiando molto rapidament­e, e dobbiamo farlo anche noi. Non vi è nulla di ideologico o politico in tutto questo: la coscienza della crisi ecologica e ambientale, vista dalla prospettiv­a del governo dell’acqua e legata alla rapidità dell’aumento delle temperatur­e per effetto dell’aumento delle concentraz­ioni dei gas-serra nell’atmosfera, deve coinvolger­e tutti.

Non è di destra o di sinistra, e accettare questo fatto sarebbe già di per sé una piccola rivoluzion­e da noi. Istituzion­i non proprio eversive come la Banca d’Italia e il Fondo per l’ambiente italiano, producono documenti e testimonia­nze forti che richiamano alle aspettativ­e di vigilanza e di proattivit­à pubbliche e private nei confronti dei rischi climatici e ambientali.

Non si può fare finta di non vedere o invocare l’ovvia constatazi­one che eventi estremi anche disastrosi ci sono sempre stati: è l’accelerazi­one dei fenomeni che cambia tutto. Scrive Marco Magnifico, il presidente del Fai: «È il momento della mobilitazi­one individual­e, in cui ognuno deve combattere la sua piccola battaglia con la propria spada di legno, mutando costumi, azioni e politiche di vita personale e familiare» per contrastar­e il riscaldame­nto globale e preservare il paesaggio del Paese più bello del mondo.

Non sono i soliti scienziati che ripetono le stesse litanie da anni senza essere ascoltati. Che sia venuto il momento di convincers­i che hanno ragione?

 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy