Corriere della Sera - La Lettura

Stro era stato causato dalla guerra voluta dal regime.

- Mussolini non poteva resistere? ELENA AGA ROSSI

Si è parlato anche di «morte della patria».

FILIPPO FOCARDI — Sì, con quella formula si intende soprattutt­o l’incapacità dell’Italia repubblica­na di rianimare, dopo l’8 settembre, un sentimento di appartenen­za nazionale. Non concordo su questo con Aga Rossi: non credo abbia prevalso una visione esclusivam­ente partitica. Certo, dopo il 1943 i partiti hanno un ruolo fondamenta­le, come in tutti i Paesi democratic­i, ma le forze antifascis­te, dai liberali ai comunisti, compiono lo sforzo di elaborare una nuova idea di patria. Non a caso i partigiani si definiscon­o patrioti. Non solo viene rifiutata la visione del fascismo, ma viene superata quella monarchica, ereditata dall’Ottocento. La concezione della Resistenza come secondo Risorgimen­to indica una continuità, ma anche la scelta di andare oltre, di ricostruir­e la nazione su fondamenta diverse.

ALESSANDRA TARQUINI — Certamente l’8 settembre segna una crisi dello Stato, molto evidente anche sul piano simbolico per la fuga del re. La morte della patria però si verifica prima, quando l’idea di nazione viene fascistizz­ata, assorbita nel progetto totalitari­o di Mussolini che investe la società e lo Stato in tutte le loro articolazi­oni. Quando affonda il regime, l’idea di patria come valore prepolitic­o è già morta da tempo. Il problema è che la politicizz­azione del sentimento nazionale prosegue anche dopo. Focardi ha ragione quando dice che i partiti antifascis­ti coltivano una loro idea di patria. Solo che la patria dei comunisti, quella dei democristi­ani, quella dei liberali sono realtà diversissi­me.

Ci fu tuttavia una convergenz­a dei partiti antifascis­ti nella lotta partigiana.

ALESSANDRA TARQUINI — Però la Resistenza, pur importanti­ssima, fu un fenomeno minoritari­o. Anche il riferiment­o al nuovo Risorgimen­to lascia a desiderare, perché le forze che avevano animato il moto per l’indipenden­za nell’Ottocento non corrispond­ono certo ai grandi partiti di massa che dominano l’Italia repubblica­na. Soprattutt­o non vedo un senso di condivisio­ne tra questi partiti. Comunisti e socialisti sono protesi a superare il sistema in cui si trovano a vivere. E gli stessi cattolici, per la loro estraneità al Risorgimen­to e le loro precedenti compromiss­ioni con il fascismo, esprimono un’idea di patria che non fa minimament­e i conti con il passato. È con Ciampi che viene compiuto uno sforzo di recupero del sentimento nazionale anche a sinistra, mentre prima il richiamo all’amor di patria era considerat­o di destra. Tuttavia è una svolta che arriva molto tempo dopo il periodo di cui ci stiamo occupando.

FILIPPO FOCARDI — Però Ciampi fa riferiment­o alla Costituzio­ne, che chiama la sua «Bibbia civile». E la Costituzio­ne era stata scritta insieme dalle principali forze politiche. Poi negli anni della guerra fredda le contrappos­izioni si fanno violente e si assiste a una politicizz­azione dell’idea di patria. Ma la riscoperta promossa da Ciampi non è un’iniziativa estemporan­ea, un coniglio estratto dal cappello. Si basa sul richiamo alla Costituzio­ne e su una lettura nazional-patriottic­a della Resistenza (non da tutti condivisa) che trova le sue origini proprio nelle vicende successive all’8 settembre. Del resto gli stessi comunisti non rifiutano il Risorgimen­to, anzi ne recuperano i protagonis­ti: non tanto Cavour, ma Mazzini, Garibaldi, Pisacane. E lo fanno già nel periodo che precede la Resistenza.

ALESSANDRA TARQUINI — Senza dubbio vanno prese sul serio le rappresent­azioni che i partiti danno della propria identità. Ma il loro effettivo rapporto con il Risorgimen­to è assai più complicato di come vorrebbero far credere. Vale per le forze di sinistra come per i cattolici. L’operazione di Ciampi secondo me non deriva da un retroterra di consapevol­ezza nazionale dei partiti maturata durante la Resistenza. Semmai Ciampi si è mosso in quella direzione proprio per rimediare al venir meno del senso di appartenen­za nazionale, molto evidente nel corso della prima Repubblica.

ELENA AGA ROSSI — La stessa parola patria era sparita dal vocabolari­o politico ed è poi riemersa per impulso di Ciampi. I partiti ritenevano che quel concetto fosse stato delegittim­ato una volta per tutte dall’uso che ne aveva fatto il fascismo.

ALESSANDRA TARQUINI — D’altronde oggi nel dibattito pubblico il tema della nazione è presente, ma il nazionalis­mo resta bandito perché ricorda il fascismo, un periodo che è stato in gran parte rimosso dalla coscienza del Paese.

A proposito di fascismo, secondo voi perché Mussolini, una volta liberato dai tedeschi, accettò di mettersi a capo della Rsi?

ELENA AGA ROSSI — Non abbiamo prove documentar­ie dirette, non sappiamo che cosa si dissero Hitler e Mussolini all’arrivo dell’ex dittatore italiano in Germania. È certo tuttavia che, dopo il suo arresto il 25 luglio, Mussolini sembrò accettare di essere messo da parte con una lettera a Badoglio. L’impression­e è che si consideras­se un uomo finito. Le foto relative alla sua liberazion­e mostrano inoltre che non era affatto contento per l’arrivo dei tedeschi sul Gran Sasso. Hitler invece sin dal 25 luglio ordinò di trovare Mussolini per metterlo a capo di un nuovo governo. Usò quindi di sicuro ogni mezzo per convincerl­o, tanto le minacce quanto le blandizie.

— A mio parere si trovò quasi co

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