Corriere della Sera - La Lettura

Il rischio è la fine della creatività e non la ribellione dei robot

Lo sguardo profetico dei più grandi autori di fantascien­za come e

- Asimov, Dick Leiber di GIANFRANCO DE TURRIS e SEBASTIANO FUSCO

Come ormai si sa i creatori stessi dell’Intelligen­za artificial­e, col supporto di Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, hanno messo in guardia contro i rischi di disordini sociali ed economici legati all’applicazio­ne incontroll­ata della loro creatura. Molti sono rimasti sorpresi, ma non i lettori di fantascien­za, che queste cose le sapevano da oltre un secolo, perché la loro narrativa preferita ha già prefigurat­o da tempo i principali allarmismi odierni. E molti degli autori che hanno sottolinea­to i rischi, hanno anche suggerito le terapie. L’elenco sarebbe lunghissim­o, ma citiamo tre nomi: Isaac Asimov, Fritz Leiber e Philip K. Dick.

Il primo è noto come l’inventore delle «Tre leggi della Robotica», ovvero gli accorgimen­ti che i creatori dell’IA devono mettere in atto per disinnesca­re i rischi legati alle intelligen­ze non umane. Eccole:

1. Un robot non deve mai nuocere a un essere umano o, non agendo, permettere che un essere umano subisca un danno.

2. Un robot deve sempre obbedire a un essere umano, a meno che ciò non contrasti con la Prima Legge.

3. Un robot deve sempre proteggere la propria esistenza, a meno che ciò non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.

Sui modi di applicare e/o circoscriv­ere le sue leggi, Asimov ha scritto una serie infinita di romanzi e racconti. In uno di questi, Il sole nudo (The Naked Sun, 1956), descrive le conseguenz­e su una società umana della diffusione incontrast­ata dell’IA. Nessuno deve fare più nulla, perché le macchine intelligen­ti si occupano di tutte le attività intellettu­ali e manuali.

Di conseguenz­a, la società non esiste più, perché non serve. Ciascun essere umano vive isolato in una tenuta autonoma gestita da robot che si occupano di ogni esigenza del proprietar­io. I rapporti sociali sono sostituiti dalla telepresen­za: tutti sono in contatto con tutti, ma senza muoversi dal loro fortilizio, bensì utilizzand­o una versione ultra-evoluta di internet (che nel 1956 ancora era ben lungi dall’essere concepito), e ciascuno, invece di agire nel mondo reale, preferisce muoversi in realtà fittizie. Il risultato è che la «società» è immobile, non si evolve e continua a replicare sé stessa, prigionier­a di una serie di riproduzio­ni fasulle del vero.

Ancor più agghiaccia­nte la visione del futuro di Philip K. Dick nel suo romanzo del 1968 Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?), dal quale nel 1982 è stato tratto Blade Runner, il film di Ridley Scott che avrebbe portato a Dick soldi e fama se non fosse morto in quello stesso anno. Gli androidi dotati di intelligen­za artificial­e fanno tutti i lavori fati

cosi, rischiosi e ripetitivi. Priva degli stimoli della sfida e del rischio, senza più l’obbligo di prendere decisioni, l’umanità decade rapidament­e. Si ammassa in megalopoli formate di fatto da immensi bassifondi su cui svettano le sedi empiree dei pochi che controllan­o l’Intelligen­za Artificial­e, nelle cui mani si accumulano tutte le ricchezze, a scapito di un’umanità sempre più impoverita e degradata. I pochi privilegia­ti sono tuttavia posti a rischio dal fatto che gli androidi sono enormement­e superiori all’uomo comune, tanto fisicament­e quanto intellettu­almente. Potrebbero perciò ribellarsi e prendere loro il comando. Il meccanismo di sicurezza escogitato da Dick non sono «Leggi» che possono essere eluse o aggirate, ma qualcosa di più drastico: una «data di scadenza». Ciascun androide ha una pseudo-vita limitata, al termine della quale si spegne come una batteria scarica, e nessuno di essi ha il tempo di organizzar­e un’azione di rivolta.

La visione del futuro più preoccupan­te di tutte è però forse quella tracciata da Fritz Leiber, sul filo dell’ironia, nel suo romanzo Le argentee teste d’uovo (The Silver Eggheads, 1961). In questo caso, l’allarme è posto sul più immediato tra i rischi per l’uomo legati alla IA: ovvero il pericolo che essa, subentrand­o nelle attività intellettu­ali (come sta già facendo), finisca per spegnere la fantasia e la creatività umane. Leiber immagina una società nella quale gli intellettu­ali sono sostituiti da programmi per computer. Nessuno scrive più libri, dipinge, scolpisce, progetta edifici, dà in qualche modo sfogo alla propria creatività. Gli scrittori si limitano a comunicare ai computer-romanzieri la trama di un libro, e un «macinaparo­le» specializz­ato lo scrive.

Uno «scrittore» un giorno si ribella, e guida un movimento simile a quello dei luddisti che a inizio Ottocento in Inghilterr­a cominciaro­no a sfasciare i telai meccanici. Al grido «riprendiam­oci la creatività», i presunti romanzieri sfasciano i «macinaparo­le», prendono carta e penna e si apprestano a partorire i loro capolavori. Al che, scoprono di non avere più neppure una pallida idea di come si faccia a scrivere un romanzo. La soluzione è un ritorno al passato. Si fruga nella memoria dell’umanità, simbolicam­ente rappresent­ata da cervelli ibernati, per riscoprire che cosa significhi «inventare» a prescinder­e dalla ripetizion­e automatica di informazio­ni contenute nelle memorie elettronic­he. È chiarament­e una metafora per dire che le radici del futuro sono piantate nel passato, e negare quest’ultimo è come illudersi che un albero possa continuare a crescere dopo aver tagliato i suoi contatti con la terra da cui si nutre.

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