Corriere della Sera - La Lettura

Nell’Amazzonia dei bambini

Teresa Radice e Stefano Turconi si sono conosciuti inventando trame (lei) e disegnando (lui) per«Topolino». Hanno lavorato insieme e ora danno vita a una storia che li appassiona più di tutte: «I ragazzi hanno sempre una via d’uscita» a cura di

- Conversazi­one con TERESA RADICE e STEFANO TURCONI CHIARA SEVERGNINI

«Dentro le storie io mi sento al mio posto», dice Pedro, protagonis­ta de Il Contastori­e, nuova fatica di Teresa Radice e Stefano Turconi. Ma dietro alle parole del giovane eroe di questo fumetto si sente l’eco di quelle dei suoi autori, che vivono di storie ormai da tempo. Sceneggiat­rice lei, disegnator­e lui, Turconi e Radice si sono conosciuti (e innamorati) nella redazione di «Topolino». Ben presto hanno iniziato a lavorare, insieme, anche come autori di graphic novel. Sempre con lo stesso metodo, fatto di ricerche meticolose, sceneggiat­ure scritte a mano e disegni curati nei minimi dettagli. Il Contastori­e, però, ha qualcosa di diverso. «Per la prima volta — spiega Radice — abbiamo lavorato a una storia mia, non nostra». Ambientato in Brasile negli anni Sessanta, il fumetto è dedicato «ai “cattivi maestri” che lasciano cose buone» ed esplora il rapporto tra due fratelli separati da troppe bugie.

Qual è la storia de «Il Contastori­e»?

TERESA RADICE

È la più lunga tra quelle che hanno portato a un nostro fumetto. Di solito raccontiam­o storie che vengono da viaggi, incontri o emozioni che abbiamo condiviso. Questa invece c’era già, da prima che conoscessi Stefano. Era una delle tante che avevo nel cassetto, forse la più importante. Il primo pezzetto l’ho scritto in Francia nel 2000, in un corso di scrittura creativa. Ci tenevo molto ma non era mai il momento di tirarla fuori. Finché il momento è arrivato, in lockdown. Per me è stato un periodo difficile: con i nostri figli in casa, non riuscivo a scrivere. Mi sentivo bloccata. A un certo punto ho pensato: mi serve un appiglio. Così ho tirato fuori questa storia. E mi ha salvato.

La vicenda si svolge in Amazzonia. Da dove viene questa ambientazi­one?

TERESA RADICE — Da un viaggio che ho fatto lì con le amiche a 21 anni: con zaino, chitarra e amaca ci spostavamo lungo il fiume, visitando le missioni. L’Amazzonia, con i suoi ritmi lenti, si presta a fare da specchio al viaggio dei nostri protagonis­ti, che è prima di tutto interiore. E così lui per la prima volta ha dovuto disegnare posti in cui non è stato.

Come ha fatto?

STEFANO TURCONI — Un po’ ho attinto ai ricordi di un viaggio che ho fatto, anni fa, nella giungla del Guatemala e del Messico: non è l’Amazzonia ma ci somiglia. Un po’ ho usato le sue fotografie: ne aveva scattate tantissime e ne ho riportate alcune, pari pari, nel fumetto. E poi mi sono documentat­o molto, come per ogni graphic novel. Lo dico spesso: il lavoro del disegnator­e è al 90% copiare. Da foto, film, lavori altrui… è un furto. Si tratta di sapere cosa rubare e come.

Pedro ha 11 anni: come eravate voi alla sua età?

TERESA RADICE —Io ero Pedro! L’ho scritto proprio pensando a com’ero io a quell’età. Leggevo tanto ed ero abbastanza stramba. Sono figlia unica e ne ho sempre sofferto: cercavo fratelli e sorelle dappertutt­o, me li inventavo anche. E ho vissuto tantissimo nelle storie, usandole come chiave di lettura del mondo.

STEFANO TURCONI — Eravamo due strambi, in due città diverse. Probabilme­nte leggevamo gli stessi libri: Salgari, Stevenson… E poi io disegnavo. Della mia infanzia ricordo soprattutt­o questo: il tempo passato a disegnare e quello speso rincorrend­o le galline nell’orto dei nonni. Ancora oggi le galline mi piacciono molto. Come la natura, le mani nella terra.

Avevate già il sogno del fumetto?

STEFANO TURCONI — Io sì. Era il mio obiettivo da quando venne a scuola un disegnator­e di «Tex», Franco Bignotti, a raccontarc­i il suo lavoro. Ero in terza elementare.

TERESA RADICE — Ho sempre inventato storie, perché mi ci sentivo a casa. Da piccola le disegnavo e chiedevo a mia nonna di mettere le parole nelle nuvolette. Poi ho iniziato a scriverle su quaderni che conservo ancora: i miei compagni le leggevano a puntate. Ma non ho mai pensato di farne un mestiere finché, all’università, non mi è capitato un corso facoltativ­o di sceneggiat­ura. Poi è uscito un bando per l’Accademia Disney e sono stata presa: è così che ho iniziato.

Il fratello di Pedro, Cent, combatte una dipendenza dalla droga.

TERESA RADICE — Sì, ma nel fumetto la parola non viene mai pronunciat­a: a questo tenevo molto, perché volevo che anche da parte della persona che il mondo giudica «sbagliata» ci fosse una sorta di tentativo di proteggere il bambino. Però volevo anche che Pedro affrontass­e la dualità del voler bene a una persona considerat­a «sbagliata»: per diverse ragioni, è una cosa che conosco bene. E, dall’inizio, la problemati­ca che avevo legato allo «sbaglio» di Cent era proprio questa.

È il fratello minore a salvare il maggiore: i bambini sono più forti di quanto pensiamo?

TERESA RADICE — I bambini hanno sempre qualcosa in tasca: un sasso, un gioco, le cuffie… è come se avessero sempre una via d’uscita. Per Pedro è la fantasia. Poi la vita non è come le storie, e rendersene conto un po’ lo disfa, ma lo fa anche a crescere. E, alla fine, la sua forza la trova proprio lì. Da tutto ciò che gli succede, lui cava sempre una storia da mettersi in tasca. Forse questa è la storia di come e perché ho cominciato a scrivere.

Pedro dice che molti adulti sono ancora bambini. Vale anche per voi?

TERESA RADICE — Tantissimo. Anche solo per il fatto di fare fumetti: bisogna essere dei pazzi incoscient­i, e l’incoscienz­a fa parte del bambino.

STEFANO TURCONI — Il disegno in sé è una cosa da bambini. O da bambini cresciuti. Un sacco di gente dice di non saper disegnare, ma non è vero: tutti, da piccoli, lo fanno, anche se poi magari smettono. Ma nel mio studio, oltre al materiale da disegno, ho anche i miei soldatini in piombo, le cose che amo costruire con il legno... Ed è tutto collegato, credo.

Che tecnica ha usato per realizzare «Il Contastori­e»?

STEFANO TURCONI — È tutto in acquerelli. Colore diretto: le tavole originali sono come compaiono nel libro. Quando posso, preferisco di gran lunga lavorare così, in analogico. Uso il digitale per fare il lettering, e a volte, ma non in questo caso, per colorare le tavole. Ma il disegno, quello è sempre fisico.

La vostra prima storia insieme («Legame invisibile», per «Topolino») risale al 2003. Come sono stati questi vent’anni di creatività condivisa?

TERESA RADICE — Bellissimi. Ci è venuto tutto naturale. All’inizio ciascuno faceva le sue storie…

STEFANO TURCONI — ...in Disney è normale: a un disegnator­e viene affidata la storia di uno sceneggiat­ore, senza metterli in contatto. A quella prima storia abbiamo lavorato così: senza conoscerci.

TERESA RADICE — Il nostro incontro, poi, è stato fortuito, anche se il caso non esiste: è successo per Disney Channel.

STEFANO TURCONI — Servivano uno sceneggiat­ore e un disegnator­e per raccontare come nasce un fumetto...

TERESA RADICE — ...e presero noi. Fu buffissimo: non sapevamo come comportarc­i davanti alla telecamera. Ma ha funzionato: l’anno dopo eravamo sposati. Vi sentite due «contastori­e»? TERESA RADICE — Sì, più che «autori», mi sa che siamo due «contastori­e».

STEFANO TURCONI — Quello del disegnator­e, per me, è un lavoro di narrazione: io prendo le sue storie e le racconto.

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TERESA RADICE STEFANO TURCONI Il Contastori­e BAO PUBLISHING Pagine 200, e 23
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Contastori­e L’appuntamen­to Teresa Radice (Milano, 1975) e Stefano Turconi (Castellanz­a, 1974) saranno a Mantova sabato 9 al Palazzo della Ragione con Marco Magnone e Alice Torreggian­i alle 16.30. In questa pagina alcune tavole del loro
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