Corriere della Sera - La Lettura

Vita e amore in forma di tarocchi

Nel cuore del secondo romanzo di Gaia Giovagnoli, meno esuberante nella trama ma più padrona dello stile, stanno le vicissitud­ini di una coppia: litigano, si riconcilia­no, si tradiscono, lei se ne va e lui... E un ruolo chiave hanno anche le carte

- Di NICOLA H. COSENTINO

Quando vogliamo conoscere il futuro poniamo le domande al presente, perché il tempo dell’angoscia sembra immobile, senza progressio­ni. È così anche per India, protagonis­ta di Chiedi se vive o se muore, secondo romanzo di Gaia Giovagnoli, pubblicato come il precedente da Nottetempo. Il suo tarlo riguarda Leo, un ex fidanzato che si è buttato dalla finestra. Sopravvive? Vuole farla sentire in colpa? Ma soprattutt­o, la storia con lui — viscerale, dolorosa, marcescent­e — può rivelarsi abbastanza a lieto fine da lasciare spazio a quella nuova, senza di lui?

Amore in primis, e poi lavoro, soldi, salute: non c’è persona che non si arrovelli per almeno uno fra questi grandi temi, e che non si stia chiedendo se le cose, prima o poi, si sistemeran­no; se la fortuna finalmente le sorriderà. In quale campo non importa: vogliamo tutti speranza e soluzioni, più di quanto invochiamo quel «barlume che vacilla» (copyright Eugenio Montale) chiama-to felicità. Il segreto di India per procacciar­si risposte, e cioè per avere una specie di controllo sul destino e sull’angoscia, è leggere i tarocchi. Ed è come «un libro ispirato ai tarocchi» che Gaia Giovagnoli descrive questo suo romanzo, in una nota di chiusura. Ispirato a: espression­e tanto vaga quanto versatile, giacché Chiedi se vive o se muore — titolo bellissimo — parte dai tarocchi per raccontare tre storie diverse: quella di una ragazza che incrocia le vite problemati­che degli altri, dai membri della sua famiglia agli sconosciut­i che le chiedono una lettura delle carte, e ne assorbe sempre un po’; il romanzo di una formazione divinatori­a, che spiega come ci si innamora degli arcani e ci si allena a interpreta­rli, pur restando incapaci di prevedere le cose apparentem­ente piccole che definiscon­o il nostro destino; la ripresa a ralenti di un amore che si schianta mentre un altro sorge, e di una donna che impara, forse, a bastare a sé stessa.

India vive con Leo. Sono entrambi giovani, entrambi addolorati; per il resto, il sole e la luna (carta diciannove, carta diciotto). Lei, toscana, si è trasferita nel paese di lui, profondo sud, dove si sente straniera. Il loro amore è unico, come tutti gli amori, e come tutti gli amori (quelli sbagliati) sembra trarre forza dalle fratture, dai punti deboli, dalle piccole o grandi ferite che gli amanti (carta sei) si provocano reciprocam­ente. Leo tradisce India e India tradisce Leo, che per vendetta la chiude per giorni in uno stanzino. Quando la porta viene riaperta, le cose sono ormai insanabili: lei, già innamorata di un altro, Yari, torna a casa dai suoi, in Toscana, e poi fugge da Yari, a Londra. Ma un giorno riceve la telefonata della mamma di Leo, in lacrime: «È caduto giù».

La narrazione inizia qui, come una lunga lettera d’addio al fidanzato in coma, che in un modo o nell’altro — per mezzo della morte (carta tredici) o della voglia di rinnovamen­to — alla fine della storia sarà un fantasma. I tarocchi fanno da pretesto metaforico e struttural­e, perché gli arcani con cui India si confronta maggiormen­te sono in realtà quelli che non richiedono competenze cartomanti­che: relazioni, indipenden­za, felicità, dolore, rapporto col proprio corpo e con i luoghi. Come si gestiscono queste cose belle e complicate che rendono la vita spesso insopporta­bile? Come si impara a volersi, e a volere, bene?

«Io e te abbiamo stretto il nostro legame nei momenti di crisi,» dice India a Leo, che non può sentirla, steso com’è nel letto d’ospedale, «perché siamo bravi a sguazzare nel male e a crearci in mezzo un ecosistema — è il nostro vero talento. Litigio, affetto. Disastro, amore. Da una cosa si genera subito l’altra. Esiste una crisi migliore di te che cadi dal balcone? Delle ossa rotte e degli ematomi?».

A questa crisi «migliore», cioè quasi perfetta per la sua problemati­cità, Giovagnoli affida l’intero romanzo, che è sia una conferma sia un segno di emancipazi­one dal libro precedente, Cos’hai nel sangue, pubblicato nel gennaio del 2022. Piccolo ma ingombrant­e, Cos’hai nel sangue raccontava l’indagine di una figlia sul passato della madre, e la scoperta di un segreto famigliare inquietant­e e pieno di fascino, che esplodeva in una pirotecnia di descrizion­i fantantrop­ologiche — costumi, creature, paesaggi e riti immaginari. Lì, la lingua era ferma e precisa, ma un po’ in ombra rispetto alla storia, sbizzarrit­a al punto che la fantasia finiva per cannibaliz­zare la forma. In Chiedi se vive o se muore, invece, accade il contrario: la storia è semplice, i suoi snodi piuttosto comuni, ma stile e consapevol­ezza dell’autrice fanno passi in avanti anche a nome del contenuto, e confeziona­no un romanzo completo, più godibile del precedente, anche se inevitabil­mente meno sperimenta­le. A risaltare, stavolta, è soprattutt­o la voce di Giovagnoli, che non viene schiacciat­a dalla cosmesi espressiva — cioè dal vizio di marcare troppo, di estremizza­re ciò che si era immaginato, per la paura di non essere incisivi — che a volte influenza gli esordi. Il risultato è un libro in cui ogni emozione sembra vera e ogni episodio realmente avvenuto. In particolar­e la relazione fra India e Leo, e la progressio­ne verso il suo disfacimen­to, è raccontata con sincerità e un percepibil­e dispiacere.

Certo, il perturbant­e non manca. A un certo punto della storia, in un momento definito come «un inferno», compare una falena gigante. Leo e il papà di India provano a ucciderla con lo spray, ma non ci riescono, e la falena soffre, e soffrendo emette uno strillo.

Toccherà a India finirla. Con una scarpa. È una scena emblematic­a per tante ragioni, ma soprattutt­o perché dà l’idea di cosa basti a un’autrice appena più sicura di sé — che si sta formando e sta scoprendo sé stessa senza passi falsi, ben guidata e già riconoscib­ile — per lasciare la propria impronta. Che si nasca falena o scrittrice, a fare la differenza, a permettere di essere ricordate, è la voce, e quella la tiri fuori solo quando soffri davvero. Può sembrare debolezza, ma è l’unica vera forza (carta undici).

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