Corriere della Sera - La Lettura
Dov’è il male? Te lo dice Stephen King
Riprende il personaggio già comparso in romanzi precedenti. Qui l’investigatrice Gibney dà il titolo alla storia: è alle prese con un lutto e con una ragazza sparita. Ma, scopriremo, è tutta una resa dei conti tra madri e figlie
Dopo la trilogia di Mr. Mercedes, The Outsider e il racconto lungo Se scorre il sangue, Holly Gibney, investigatrice dal passato difficile e dal presente tormentato e solitario, torna, adesso come protagonista, nel romanzo a lei dedicato, in uscita in contemporanea mondiale il 5 settembre: Holly. Stephen King ha sempre avuto una profonda attenzione per i personaggi femminili. La lista sarebbe infinita, ma tre esempi ci verranno in aiuto. In Carrie un’adolescente preda di una madre ossessiva (come quella di Holly) sfoga la sua rabbia distruggendo tutto ciò che l’ha distrutta. In Dolores Claiborne una donna vittima di abusi consuma la sua vendetta in una notte nerissima, anche e soprattutto per salvare sua figlia. In Shining una donna portata allo stremo delle forze prima (ancora una volta) da sua madre, poi da suo marito, trova il coraggio di ribellarsi e affrontare il male.
Il male, nodo centrale di King. Che cos’è il male? È una forza ultraterrena che si abbatte su di noi e ci distrugge e che dobbiamo combattere per tentare di resistere, o è qualcosa che abita dentro di noi, che nasce con noi, che si agita dentro di noi e sta lì, nascosta, in incubazione anche per decenni, in attesa di esplodere? Ne L’avversario, Emmanuel Carrère racconta il Male che può abitare tutti, un nemico che siamo costretti a contrastare ogni momento, che possiamo riuscire o non riuscire a vincere: «Avrebbero dovuto vedere Dio e al suo posto avevano visto, sotto le sembianze dell’amato figlio, colui che la Bibbia chiama Satana: l’Avversario».
King in Holly si chiede ancora una volta cosa sia quella forza nera che ognuno di noi ha sentito, almeno una volta, dentro di sé — o molto più probabilmente che sentiamo di continuo — da cui alcuni si lasciano sopraffare, e che altri invece riescono a riconvertire in resistenza, difesa, attacco all’oscuro.
In Holly rincontriamo Holly Gibney dopo la morte del suo adorato socio Bill Hodges. Adesso è lei a guidare la loro agenzia investigativa, la Finders Keepers. Con Holly lavora anche Pete, che però adesso è fuori gioco perché molto malato di Covid. Alle loro indagini collabora il giovane Jerome insieme a sua sorella minore Barbara. Questo gruppetto di persone è, a suo modo, una piccola famiglia. Ma Holly, vittima, come tanti dei personaggi di King, di una madre ossessiva che ha cercato per tutta la vita di tenerla stretta a sé (per proteggerla? No, per imprigionarla) e che è appena morta di Covid dopo non essersi mai vaccinata, è profondamente sola. Lo è da sempre, in realtà.
Proprio per questo atteggiamento possessivo e ossessivo di sua madre, che le ha tolto ogni fiducia in sé, ogni spinta verso l’amore, ogni fiducia verso il prossimo. Eppure, anche se il passato non ti lascia mai («Ma in fondo esiste qualcuno che sia in grado di chiudere davvero con il proprio passato? E, soprattutto, con i propri genitori?», scrive King), è anche vero che possiamo trovare il modo di combatterlo ogni giorno, ogni giorno lavorare per lasciarcelo alle spalle. Forse, anche sperare di riuscirci.
Luglio 2021. Epidemia di Covid. Trump appena deposto. Gente disposta a vaccinarsi per il bene comune e gente che nega perfino l’esistenza del coronavirus. È qui, in questo passato così vicino che però ci sembra già così lontano, che Holly, il giorno del funerale via Zoom di sua madre, riceve una chiamata. C’è una donna, Penny Dahl, che non trova più la figlia adolescente, Bonnie. La ragazza è sparita nel nulla tre settimane prima. Di lei sono rimasti solo una bicicletta e un biglietto ritrovato sul sellino: Non ce la faccio più. Il peso della pandemia si fa sentire sugli ospedali, certo, ma anche sulla polizia, e nessuno sta davvero cercando questa ragazza.
Traduzione di Luca Briasco SPERLING & KUPFER Pagine 512, 21,90 In libreria dal 5 settembre
L’autore L’infanzia di Stephen King (Portland, Maine, 1947; in una foto giovanile di Jimmy Malecki/Ap) fu segnata dall’assenza del padre, che se ne andò di casa quando King aveva due anni, dalla povertà e dai trasferimenti della madre. Avido lettore di Richard Matheson e H. P. Lovecraft, ma anche del William Golding de Il signore delle mosche, cominciò a vendere racconti a riviste dal 1963, ma il primo romanzo che riuscì a pubblicare fu Carrie, nel 1974: il successo fu immediato e nel 1976 Brian De Palma ne fece un film. Del 1977 è Shining, divenuto film di Stanley Kubrick nel 1980. Da allora King ha scritto più di 80 romanzi, oltre alle raccolte di racconti e al memoir On Writing. La caratteristica della sua scrittura è la capacità di unire la suspense horror al racconto realistico della società americana e delle paure della middle class. Basti pensare ai sobborghi insidiosi di It (1986) o alla frustrazione patologica della protagonista di Misery (1987), al materialismo denunciato in Cose preziose (1991), al braccio della morte descritto ne Il miglio verde (1996) e al lockdown «profetizzato» (in forma orrorifica) di The Dome (2009). In Italia i suoi libri sono pubblicati da Sperling & Kupfer Penny è disperata. L’ultima volta che ha visto sua figlia, hanno litigato. Il senso di colpa la divora. Chi può aiutarla? Il telefono di Holly squilla e, anche se tutti le consigliano di prendersi del tempo per elaborare il lutto della morte di sua madre, l’investigatrice non riesce a rifiutare la chiamata. Quella di una madre di disperata. Quella di una madre che nessuno aiuta.
Che cosa si prova quando un tuo caro sparisce nel nulla?
Quando non sai nemmeno se è vivo o è morto. Quando temi che sia morto, ma non sai se ha sofferto. Quando, posto che sia morto, non sai se si è tolto la vita o se gliel’hanno strappata. Quando, posto che sia morto, non hai nemmeno un luogo dove andare a piangerlo.
Chi può aiutare Penny Dahl, se non una donna a cui la vita ha tolto, finora, praticamente tutto? Nessuno può aiutare Holly? Bene, Holly si aiuterà da sola. A superare la morte — e a venire a patti con la vita — di sua madre. A ridare fiducia al mondo dopo una vita troppo complicata. A cercare la ragazza scomparsa. E quando poi tutto fa pensare che a scomparire non sia stata solo Bonnie, come si dice: è allora che i duri cominciano a giocare.
Salvezza Lo scrittore americano ci racconta una possibilità di perdono: degli altri, ma pure di noi stessi. Più che l’ultraterreno, il terreno
Non lontano dal posto in cui l’adolescente è scomparsa, vivono due anziani professori universitari: Emily, che insegna letteratura inglese, e suo marito Roddy, biologo e nutrizionista. Sono il ritratto della rispettabilità. E si amano, da sempre. Si amano sinceramente. Ma può succedere che il Male prenda possesso anche di gente insospettabile? Certo. È da sempre che accade così.
Magistralmente tradotto da Luca Briasco — che a King ha appena dedicato un saggio, Il re di tutti — Holly racconta, scandaglia, investiga, ancor più che la scomparsa delle persone, il rapporto tra madri e figli (Holly e sua madre, Bonnie e sua madre, un altro ragazzo scomparso e la madre alcolista). È in questi anfratti della mente che si trasformano in mostri che King dà da sempre il suo meglio. Nei rapporti tra genitori e figli. Tra uomini e donne. Tra ossessione religiosa e salvezza. Tra buio e luce. Tra bene e male — lo dico ancora una volta — che non sono mai, però, forze contrapposte in modo manicheo. Perché, dice King, se a possederti è un Avversario ultraterreno, allora esiste anche una possibilità di consolazione. Il peggio è la cattiveria nella realtà, nella vita di ogni giorno. «Perché? Semplice: perché non c’era niente di soprannaturale in loro. Perché non era possibile affermare che il male che avevano commesso provenisse dall’esterno e trarre conforto dall’idea che se fuori di noi albergano forze maligne, esistono sicuramente anche forze votate al bene». Nemmeno Holly — che dalla sua prima comparsa collaterale in Mr. Mercedes è cresciuta ed esplosa nei successivi romanzi fino ad arrivare qui (come fosse una persona vera) — si sottrae a pensieri oscuri, a solitudini dilanianti, ad atti sconsiderati. È questo che King ci racconta ogni volta: una possibilità di perdono: degli altri, ma pure di noi stessi. Più che l’ultraterreno, il terreno. Più che l’eccezionalità dell’estremo buio, la normalità del dolore. Ma, anche, del riscatto.
Il passato non ci lascia mai, è vero, ma contro il passato possiamo allestire una resistenza gigantesca: il presente. E, soprattutto, il coraggio di costruire il futuro.