Corriere della Sera - La Lettura

Un nuovo Panorama L’arte ricuce L’Aquila

- Dal nostro inviato all’Aquila STEFANO BUCCI

L’arte come rinascita, come certificaz­ione di una speranza: un concetto non nuovo, ma che all’Aquila, nei giorni di Panorama (mostra diffusa «che mette in relazione arte, architettu­ra, antichità e contempora­neo» curata da Cristiana Perrella in programma da giovedì 7 a domenica 10 settembre), è destinato a trovare ulteriore conferma. Sarà un percorso ideale, ma al tempo stesso anche molto fisico, che coinvolger­à venti luoghi del capoluogo abruzzese (l’Oratorio di Sant’Antonio dei Cavalieri, il Casino delle Delizie Branconio, il Forte Spagnolo, Palazzo Rivera insieme a piazze, panifici, lo storico Caffè Fratelli Nurzia, librerie, negozi di dischi, botteghe di restauro) in un’operazione di ricucitura di quel tessuto urbano sconvolto dal terremoto del 6 aprile 2009 (alle 3.32 una scossa di magnitudo 6.3 distrusse L’Aquila e 56 borghi facendo 309 vittime, oltre 1.500 feriti, 100 mila sfollati) cui parteciper­anno oltre sessanta artisti da 56 gallerie, dal tardo settecente­sco Carlo Albacini (Saffo, 1782, marmo bianco) al contempora­neo Yael Bartana, classe 1970 (Patriarchy is history, 2019, neon), passando per un grande classico come Giacomo Balla (Espansione Fiore n.17, 1929 circa, olio su tela).

Nata come terzo atto del progetto avviato da Italics (la rete istituzion­ale nata nel 2020 che riunisce 70 gallerie d’arte attive in Italia), Panorama prosegue le esperienze di Procida (2021) e Monopoli (2022), entrambe curate da Vincenzo de Bellis, stavolta sull’onda del concetto di wit(h)nessing coniato dalla teorica femminista, artista visiva e psicoanali­sta israeliana Bracha Lichtenber­g Ettinger (1948) che definisce «una piattaform­a transdisci­plinare capace di connettere le suggestion­i e le esigenze di arte, cultura, società, ambiente nella ricerca di nuove forme di coesistenz­a». Un’idea che Ettinger ha raccontato in opere come Eurydice, n.54 (2015-2016), OpheliaMed­usa, n.2 (2006-2013), Eurydice nu descendrai­t, n.2 (2005-2013) oggi nella Collezione del Castello di Rivoli in cui la pittura «invita lo spettatore a immergersi in un tempo intimo e spirituale».

Sembrerebb­e quasi un assurdo voler aggiungere un altro cantiere a quelli a cui da tempo L’Aquila ha affidato il suo futuro: i restauri della Basilica di Collemaggi­o e della Chiesa di Santa Maria del Suffragio o delle Anime Sante edificata nel 1713 in ricordo delle vittime di un altro terremoto, quello del 1703 con la sua cupola attribuita a Giuseppe Valadier, sono alcuni simboli concreti di una ricostruzi­one (ancora chiuso il Duomo) che deve fare i conti con un patrimonio preziosiss­imo e articolato che assembla Medioevo, Rinascimen­to, Barocco, Neoclassic­o.

Ma il cantiere messo in piedi da Perrella («Vorrei che questo tentativo di rendere partecipe il territorio prendesse forna in collaboraz­ioni con le realtà locali, produttive, culturali, sociali invitate al dialogo con le artiste e gli artisti scelti per questa mostra») intende mettere in primo piano quel valore dell’arte come elemento di coesione che da sempre e teatro. Tra le iniziative speciali, torna la terza edizione di Italics d’oro, riconoscim­ento che celebra il legame tra un artista e il territorio, quest’anno assegnato all’architetto, artista, designer e teorico Ugo La Pietra (1938).

Le sedi scelte per l’occasione (come già a Procida e a Monopoli) non saranno semplici contenitor­i di opere, ma generatori di contenuti di per sé. In questa ottica poco importano allora l’epoca, lo stile, la tecnica o l’autore: è piuttosto l’idea di un impegno condiviso che ribadisca la centralità dell’arte e delle gallerie nella valorizzaz­ione del patrimonio storico-artistico-culturale italiano a mettere insieme opere così lontane tra loro come il San Michele Arcangelo (1330-1340, legno policromo) del Maestro della Madonna di Spoleto, Ecuba e Priamo (1630-1640, olio su tela) del Padovanino, la Vergine orante (1779) di Vincenzo Castellini e Paolo Spagna, la Chioma di Berenice regina d’Egitto (1878, scultura in gesso patinato) di Ambrogio Borghi, il Crocifisso (1954-1955) di Lucio Fontana, Sciopero generale azione politica relativa proclamata relativame­nte all’arte (1970, neon, plexiglass, cavi elettrici, trasformat­ori) di Mario Merz, Per la politica pulita (1995, vinile opaco) di Haim Steinbach, Senza titolo dalla serie Les Dessouvenu­s (2022, matita colorata e candeggina su carta) di Tatiana Trouvé, Rivoluzion­e! (2023, installazi­one) di Jacopo Benassi.

È proprio l’idea di un’arte che avvicina che, in attesa dell’apertura ufficiale di Panorama, si ritrova negli spazi di Palazzo Ardinghell­i (anch’esso danneggiat­o dal terremoto del 2009), la sede del romano Maxxi all’Aquila (non a caso uno dei musei coinvolti nel progetto con il Museo Nazionale d’Abruzzo) dove fino al 5 novembre nella mostra curata da Bartolomeo Pietromarc­hi e Fanny Borel si confrontan­o due mondi, due storie, due epoche, ancora una volta agli antipodi (ancora una volta apparentem­ente) quelli di due artiste come Marisa Merz (Torino, 1926-2019) e Shilpa Gupta (Mumbai, 1976) che negli spazi del Maxxi danno vita (attraverso una cinquantin­a di opere) «a un dialogo sospeso nel tempo e nello spazio, che annulla le distanze, proponendo nuove prospettiv­e e nuovi significat­i». Primo tra tutti, quello di una rinascita che è anche speranza.

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