Corriere della Sera - La Lettura
La disciplina di Bach dei fuoriclasse bambini
Il è il migliore coro di voci bianche. Sarà in Sardegna e a Pisa per la rassegna Anima Mundi con il suo direttore, l’italiano Marco Barbon
Chi li ascolta almeno una volta, non se li dimentica. Per la perfezione delle loro esecuzioni, per la loro bravura, per il loro essere pur sempre dei bambini. Quando le partiture richiedevano quel particolarissimo timbro vocale, li hanno voluti persino direttori del calibro di Nikolaus Harnoncourt, Herbert von Karajan, Bernard Haitink... Sono specializzati soprattutto nella musica di Johann Sebastian Bach, ma sono in grado di cantare di tutto, dalla musica popolare alla contemporanea. Sono circa in duecento, fra i 9/10 e i 13/14 anni, e insieme formano il Tölzer Knabenchor, il miglior coro (maschile) infantile esistente, fondato nel 1956 da Gerhard Schmidt-Gaden, suddiviso in formazioni di varie tipologie e dal 2021 diretto dall’italiano Marco Barbon (1989).
In occasione di tre loro concerti italiani (in Sardegna l’8 e il 9 settembre, a Pisa il 16 per il festival Anima Mundi), «la Lettura» ha fatto due chiacchiere con il loro maestro.
Maestro Barbon, come è arrivato a ricoprire questo ruolo?
«Ho visto un bando, mandato il curriculum, mi hanno contattato per fare l’audizione».
In cosa consisteva?
«Una lezione di canto singola su un brano dato al momento. E poi dovevo dirigere il coro in un brano che mi avevano spedito la settimana prima: il mottetto a doppio coro di Bach, Komm Jesu, komm, Bwv 229». Cosa la colpì dei bambini il giorno dell’audizione? «L’impatto sonoro del coro. Un’esperienza incredibile con un suono penetrante, ricco di armonici, malleabile, potente, ma dolce… È stato amore a prima vista». Professionisti, pur sempre bambini però...
«Ci vuole un’aura particolare, un modo di fare che li coinvolga. Se non li catturi, hai perso».
Ci parli della disciplina. La impone? Come fa? «Tendenzialmente non sono disciplinati. Al primo impatto sono guardinghi, osservano cosa succede e nella fase successiva testano i nostri limiti».
Intende dire che la mettono alla prova?
«All’inizio ti fanno impazzire, fino a quando non capiscono il punto dove tu poni una barriera».
Fanno come gli orchestrali navigati quando sale sul podio per la prima volta un direttore nuovo?
«Proprio così. Ora però che conosco quasi duecento bambini per nome, fila tutto perfettamente...».
Qual è il segreto per la disciplina?
«Farli divertire. Se si annoiano, hanno il tempo di pensare a che stupidaggini potrebbero fare» (ride).
Può spiegare le suddivisioni dei cori?
«Non c’è solo quello da concerto, formato da poco meno di 70 bambini, ma anche tutti i livelli inferiori, con altri 150/170 elementi. Poi va detto che il coro da concerto è suddiviso in due da 35 bambini ognuno, il coro da concerto “a” e il coro da concerto “b”».
Quanto tempo trascorre con loro?
«Dipende dai progetti. Ho preparato 6 solisti per un’opera contemporanea di Georg Friedrich Haas a Lione e lì siamo stati 3 settimane sempre insieme. Al di fuori dei concerti e delle tournée, a Natale per esempio siamo sempre via, sto con loro 6-7 ore a settimana». Hanno nostalgia di casa quando sono via?
«Capita, ma questi bambini, quelli più grandicelli, sono macchine da guerra: non hanno paura di niente».
Quanta competizione c’è fra loro?
«La stessa che c’è in una squadra giovanile di calcio a un livello agonistico molto alto. Senza competizione non arriverebbero al livello al quale sono. Noi poi cerchiamo di mantenere tutto il più “sano” possibile».
Come fate le audizioni?
«Prendiamo appuntamento per ottobre nelle scuole primarie, nelle prime e seconde elementari. Facciamo fare ai bambini dei giochi in modo da portarli a cantare una piccola melodia. Diamo poi loro un flyer con un invito a cantare un’altra volta. Se a loro piace l’idea, portano il flyer a casa e lo danno ai genitori».
Sono i bambini a decidere dunque?
«Sì, alla fine, è tutto in mano loro. Abbiamo anche scherzosamente messo all’ingresso un cartello di divieto di accesso con scritto Genitori fuori. Sotto c’è il disegno di un bambino con la valigetta e la scritta: “Da qui in poi ce la faccio da solo”».