Corriere della Sera - La Lettura

Hanno ucciso Willy (e l’innocenza di tutti)

Il 6 settembre 2020, nei pressi di Roma, un ventunenne che sognava di diventare chef fu picchiato a morte: Christian Raimo e Alessandro Coltré lo ricordano oltre gli stereotipi

- Di ROBERTO FERRUCCI

Le ultime parole con cui Christian Raimo ha scelto di chiudere questo libro sono una domanda che non ha risposta, ma che rendono il giusto omaggio al sous chef dell’Hotel degli Amici di Artena, Willy Monteiro Duarte: «Chissà cosa aveva preparato Willy per la cena di quella sera. Chissà se gli ospiti dell’hotel se lo ricordano ancora». Quella sera è la sera del 5 settembre 2020, Willy ha appena messo a posto la sala insieme a una sua collega, ha apparecchi­ato i tavoli per la colazione, poi è passato per casa, a Paliano, si è cambiato ed è uscito con gli amici, direzione i bar di Colleferro (Roma), zona di movida. È la fine dell’estate post lockdown, il primo, la gente ha ancora più voglia di uscire, di stare insieme. Davanti a uno di quei bar Willy, dopo la mezzanotte, viene ucciso a calci e pugni da quattro suoi coetanei. Nei giorni in cui leggevo questo libro intitolato Willy. Una storia di ragazzi, sottotitol­o Il delitto di Colleferro: inchiesta su un massacro, scritto da Christian Raimo insieme ad Alessandro Coltré, pubblicato da Rizzoli, ho fatto una prova, ho pronunciat­o a chiunque mi capitasse di incrociare il nome di Willy Monteiro. Se ne ricordano tutti. Le ultime parole del libro sono il miglior finale possibile che gli autori potessero trovare. Willy voleva diventare chef, aveva frequentat­o l’istituto alberghier­o. Era un giovane come tanti, la passione per la cucina, per il rap, per la sua Fiat Punto comprata usata e che curava come fosse una fuoriserie. Non solo lo ricordiamo tutti, Willy, ma tutti abbiamo stampato nella mente il suo sorriso che tanti artisti hanno trasformat­o in icona.

Willy. Una storia di ragazzi è uno di quei libri necessari. Era necessario scriverlo, lo è leggerlo. Che cosa rimane nei nostri immaginari di casi come quello di Willy? Quei casi che, come sottolinea­no gli autori, connotano per sempre i luoghi in cui accadono (Cogne, Erba, Avetrana, Garlasco)? Ci resta la superficie, ciò che i media «decidono» di volerci raccontare, in cui la prima lettura è sempre determinan­te e, spesso, consolator­ia. Spesso non si approfondi­sce nulla, non si scava. Questo libro lo fa. Un libro necessario, scritto, insieme ad Alessandro Coltré, da uno di quegli scrittori ancora più necessari, che non esitano ad andare in fondo alle cose, a mettere mani e faccia nel torbido, con forza, ostinazion­e. Fare fatica, studiare, incontrare persone (oltre cento, per questo libro), andare nei luoghi, viverli e farlo per più di due anni, con una dedizione assoluta, e poi scriverne, rendere partecipi anche noi di questa immersione nell’Italia di oggi. Un libro che sta bene sullo scaffale accanto ai grandi reportage d’autore, a Truman Capote

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