Corriere della Sera - La Lettura

Colleferro,LosAngeles: preghierap­erl’altraviaPá­l

Il romanziere Aurelio Picca ha visitato i luoghi del delitto Monteiro, una terra che ben conosce, per un documentar­io in tv venerdì 8: «Rendo onore a questo ragazzo»

- Di ALESSANDRO BERETTA

Uno scrittore rende omaggio all’immagine di un ragazzo su una tomba carica di rosari e fiori dove spicca un peluche, poi l’inquadratu­ra va a nero, una telefonata al 118 alle 3.25 di domenica 6 settembre 2020 torna alla cronaca: «Qui di fronte al Duedipicch­e c’è un ragazzo che è stato menato. Per favore, potete venire?». Si apre così Preghiera per Willy Monteiro, documentar­io dedicato alla tragica morte del ragazzo che andrà in onda venerdì 8 settembre in prima serata su Raitre. Prodotto da Amarcord Production­s in collaboraz­ione con Rai Documentar­i, il film è stato realizzato dallo scrittore Aurelio Picca, regista, autore dei testi e protagonis­ta in prima persona di un viaggio tra i luoghi e i testimoni legati alla vicenda, punteggiat­o da quanto i telegiorna­li, le testimonia­nze in tribunale e i social hanno mostrato. La sua voce, talvolta fuori campo, riflette in modo inconsueto e poetico: «Siamo detective interiori, non della cronaca».

Vestito casual, con giubbotto, jeans e occhiali da sole, l’autore di Velletri, dopo una prima ricognizio­ne scritta sul caso Monteiro per la rivista «Nuovi Argomenti» nel 2021, l’ha ripercorso per immagini: «È una via crucis tra i luoghi di Willy — racconta Picca a “la Lettura” — dove passo dopo passo intercetto le persone e arrivo al momento clou, a Colleferro, dove in trenta secondi lo hanno ammazzato di botte, in uno spiazzo di fianco alla grande piazza d’Italia che è identica a un quadro di Giorgio de Chirico. Nel realizzarl­o, ho seguito un’idea di attraversa­mento virgiliano: andare verso il luogo della tragedia per rendere onore a questo ragazzo».

Il risultato, oltre ai bei momenti riflessivi, è nella coralità delle voci che intervengo­no: da chi lavorava con Willy, aiuto cuoco all’Hotel degli Amici di Artena, ad amiche della compagnia, dal primo carabinier­e intervenut­o a chi ha celebrato i funerali. Il documentar­io non segue solo la storia della vittima ma la inquadra nei cambiament­i del territorio: «È un’area vasta come Los Angeles — racconta lo scrittore — che conosco bene e si estende sotto Roma. Colleferro, che è una città “di fondazione”, ha avuto un boom economico importante negli anni Sessanta: c’era la chimica Snia e non solo. Nei decenni si è verificata una mutazione che definire antropolog­ica, nel suo rimando a Pier Paolo Pasolini, è banale. È qualcosa di più, per me è una zona post-apocalitti­ca dove non si sa esattament­e il mondo da che parte va. Per capirlo basta vedere i luoghi del lavoro: la Snia dismessa è una cattedrale di ferro che ricorda le abbazie cistercens­i della zona, mentre oggi in quei luoghi hai un caseggiato di cemento illuminato dai led, come una grande bara, dove puoi immaginare accada di tutto, che è Amazon».

In questo panorama, una svolta negativa è nei corpi che, ribadisce Picca parlando dei fratelli Bianchi, colpevoli dell’omicidio, hanno: «Muscoli di palestra e non muscoli di fatica. Sono corpi senza la brutalità della realtà, ma con tanta impotenza della perversion­e». Perversion­e e impotenza che sfociano in violenza. Di mezzo, ci vanno gli innocenti, anche se una frase risuona nel film: «Solo all’innocenza è destinato il futuro». Il motivo è uno: «I veri eroi — conclude Picca — sono gli innocenti, chi muore per la propria piccola patria del cuore, che nulla ha a che fare con le patrie nazionalis­tiche. Ne ho scritto in Contro Pinocchio e un esempio è il piccolo Nemecsek ne I ragazzi della via Pál di Ferenc Molnár che, malato e gli sarà fatale, fa vincere la battaglia. Ecco, Willy era un innocente ed è molto bello che i ragazzi, anche con i murales che gli hanno dedicato, lo ricordino istintivam­ente». ed Emmanuel Carrère, ad Alessandro Leogrande, alla cui memoria il libro è dedicato («che mi ha insegnato a non accontenta­rmi mai della prima verità») o a quel libro troppo dimenticat­o che è Occhio per occhio di Sandro Veronesi, e accanto ai libri di Svetlana Aleksievic.

La narrazione mediatica dell’uccisione di Willy è durata mesi, si alternava ai bollettini del Covid. Subito, fin dai primi giorni, Colleferro, Artena e Paliano sono state invase dalle troupe delle television­i, dagli inviati dei giornali, collegamen­ti in diretta a ogni ora del giorno, da cui è scaturito un racconto superficia­le, incompleto, spesso fasullo. Del resto, sembra una storia semplice, lineare, tutto è chiaro fin dall’inizio: i muscoli dei fratelli Bianchi (due dei quattro condannati per l’omicidio) contrappos­ti al sorriso di Willy, storia di icone da immaginari­o collettivo. Ma Raimo non si accontenta del «testo» fornito dai media: «Sembra che le storie di nera in Italia si raccontino tutte allo stesso modo. (...) Poi parli con chi ci vive, c’è cresciuto e la realtà è ovviamente più complessa». Insieme ad Alessandro Coltré che vive in quei luoghi, vanno alla ricerca del contesto, e ce lo raccontano. La storia allora non è affatto semplice, per nulla scontata.

Subito, a far da muro alla narrazione fuori luogo dei media, hanno pensato gli amici di Willy, i suoi coetanei, a cercare di rimettere ordine a quel racconto squinterna­to, e lo hanno fatto con i mezzi che sanno usare bene, i social. Hanno usato Instagram come argine a tutte le sciocchezz­e, le banalità, le bugie che si avvicendav­ano in tv e sui giornali: «Dopo tanti giorni di cronaca nera, il racconto corale composto da chi davvero passava le serate con Willy, da chi vive a Paliano tutti i giorni, consegna gli elementi essenziali per una biografia meno patinata e senza candore». È questo il cuore del libro di Raimo e Coltré. Mettono al centro una generazion­e che non viene mai ascoltata, quella dei coetanei di Willy che vivono in quei paesi che i media hanno dipinto come luoghi di desolazion­e e di violenza. Lo hanno raccontato agli autori del libro, il loro Willy, e attraverso di lui ci hanno mostrato che cosa significhi vivere in quei paesi di provincia, che un tempo erano zone industrial­i, poi diventate discariche e che ora danno spazio più che altro alla logistica, ad Amazon e Leroy Merlin. E ci dicono quale cesura, quale solco abbia tracciato in loro l’omicidio di Willy: «L’altro giorno pensavo al fatto che questo omicidio è stato non solo di una persona ma bensì di un gruppo, di tutta l’ingenuità e della spensierat­ezza che poteva avere il nostro gruppo», dice un’amica di Willy a due anni di distanza da quella sera. E aggiunge: «Da un giorno all’altro la nostra maturità è cambiata, l’ho immaginata come un’eclissi solare. È stato un male che spegne la luce che avevamo intorno».

Alla fine forse non lo capiamo, il motivo di quel massacro senza senso (ma può mai avere un senso la violenza?), però, chiuso il libro, quello che ci resta è aver conosciuto luoghi che dobbiamo smettere di accomunare agli slogan che i media hanno ribadito per mesi. Ci restano gli incontri con ragazzi che nulla hanno a che fare con la generazion­e violenta che molti hanno voluto ritrarre. Ci resta un libro necessario, perché come diceva Alessandro Leogrande, non dobbiamo mai accontenta­rci della prima verità. Christian Raimo, insieme ad Alessandro Coltré, lo ha fatto. Ne ha cercate altre, di verità.

Il pensiero di un’amica «Quest’omicidio non è stato solo di una persona ma di un gruppo, di tutta l’ingenuità e della spensierat­ezza che avevamo. Un male che spegne la luce che avevamo intorno»

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