Corriere della Sera - La Lettura

Camerata Tomaten in piazza della Loggia

Un altro processo.

- Percorsi dalla nostra inviata a Brescia e Verona ALESSANDRA COPPOLA

Il ragazzo facile al rossore ma per nulla timido che fa capolino — la bocca semiaperta come di stupore — dietro al cordone del servizio d’ordine dei sindacati, il 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia, è Marco Toffaloni. Gli ombrelli per la pioggia che continua a battere, i volti stravolti dall’angoscia, i lavoratori con la camicia aperta sulla canottiera che si tengono per mano a proteggere la disperazio­ne di Arnaldo Trebeschi, inginocchi­ato davanti al cadavere del fratello Alberto, 36 anni, insegnante, pietosamen­te coperto da uno striscione. È una mattina tarda sconvolta alle 10.12 dall’esplosione di un chilo di miscela di gelignite nascosto in un cestino dei rifiuti, ora aperto come un fiore, a ridosso del porticato, proprio dove gli amici della Cgil Scuola s’erano dati appuntamen­to per la manifestaz­ione. Sul selciato già si contano i morti, saranno otto, e i feriti, oltre cento. Il fotografo Silvano Cinelli inquadra la strage da prospettiv­e diverse, ammesso al di qua della barriera che si è creata per tutelare la scena; infine scatta dal basso verso l’alto. Ed è in questa immagine, riemersa dagli archivi quasi mezzo secolo dopo, che appare il volto del giovane veronese, estremista di destra, 17 anni da compiere a giorni, chiamato dai camerati Tomaten, pomodori, per le gote accese; stralunato e fuori luogo. Che cosa ci faceva in piazza?

Inizierà così, il 7 settembre prossimo (salvo rinvii dell’ultimo minuto per questioni tecniche) il nuovo, ennesimo, processo per la strage di piazza della Loggia a Brescia, inquietant­e parabola della strategia della tensione che ha insanguina­to l’Italia per un lustro, e poi ancora negli anni a venire. Stavolta la procura ritiene di avere individuat­o uno dei presunti esecutori materiali, finora mai indicati, e chiederà conto a Toffaloni: è stato lui a collocare l’ordigno?

Il procedimen­to si svolgerà al Tribunale dei minori per l’età dell’imputato al tempo dei fatti, così prescrive la legge. Ma se dovesse presentars­i in aula, il Tomaten di oggi sarebbe un sessantase­ienne baffuto che da tempo ha cambiato identità in Franco Maria Mueller (cognome dell’ex moglie), conduce vita solitaria al limite dell’indigenza, secondo voci non confermate, a Sciaffusa, nella

Svizzera tedesca, ha la doppia cittadinan­za, e raramente torna sul vecchio campo di battaglia tra la Lombardia e il Veneto. Tant’è che nelle indagini preliminar­i non si è fatto interrogar­e. Si farà vedere adesso? Il suo avvocato Marco Gallina, raggiunto al telefono, gentilment­e declina: «Non sono in grado di dire nulla in questo momento, preferisco non rilasciare dichiarazi­oni». L’apparizion­e in quella foto del 1974 potrebbe essere stato un deterrente per il suo assistito a esporsi, perché fissa un punto fermo difficile da confutare. Il perito del Tribunale ha espresso «un giudizio di identità piena» in virtù di due precisi connotati: «Il solco nel labbro inferiore e la fossetta sul mento».

Dunque Tomaten c’era. E probabilme­nte non era solo. Lo stabiliran­no i magistrati. Intanto grazie alla mole di atti depositati a Brescia, consultati a «la Lettura», è possibile aggiungere ulteriori tessere al contesto e tracciare un nuovo filo nero tra Brescia e Verona.

In molti facevano la spola tra le due città vicine, 70 chilometri appena; soprattutt­o Silvio Ferrari, il giovane

Inizia il 7 settembre a Brescia, a quasi cinquant’anni dalla strage, La Procura ritiene di avere individuat­o uno dei presunti esecutori materiali in Marco Toffaloni, allora minorenne. È vicino agli ambienti di Ordine Nuovo, frequenta un poligono, ha una rivoltella, «disegna svastiche» ed è «attratto dall’esoterismo nazista»

dinamitard­o neofascist­a saltato in aria sulla sua Vespa la notte del 19 maggio 1974 a pochi metri da piazza Mercato. Si era detto un incidente, un ordigno da depositare davanti alla sede della Cisl, o del «Corriere della Sera» locale, o forse all’ingresso del primo ritrovo gay di Brescia, il Blue Note, deflagrato per errore. Poi si è aggiunta anche l’ipotesi di una messinscen­a, un’esplosione pilotata, perché in quest’ultima indagine il peso di Ferrari è cresciuto. Nonostante avesse solo vent’anni, il ragazzo intrattene­va relazioni non chiare, secondo una fonte considerat­a attendibil­e, scambiava buste di fotografie con carabinier­i in borghese e anche con vicecommis­sari di polizia. Ma soprattutt­o in sella alla sua Vespa bianca andava con frequenza a Verona. Qui la testimone — che più volte l’aveva accompagna­to in trasferta — ha riconosciu­to come luoghi frequentat­i la caserma di Parona; la sede, nota a pochissimi, del controspio­naggio all’ultimo piano di un edificio insospetta­bile; l’entrata secondaria di Palazzo Carli, quartier generale del Comando Ftase (Forze terrestri Alleate per il Sud Europa) ai tempi in cui la città era sede Nato di rilevanza seconda solo a Napoli. In che squadra giocava Ferrari? Soprattutt­o, su quale intricata scacchiera si muovevano come pedine questi ragazzotti invasati e manipolabi­li? Chi li manovrava?

Sarà un processo non solo agli esecutori, promette uno dei principali avvocati dei familiari delle vittime, Federico Sinicato: «Potrebbe chiarire finalmente che cosa c’è dietro. Chi ha finanziato queste iniziative, ma soprattutt­o il gioco sporco fatto dai servizi segreti statuniten­si e italiani». A sorpresa, allora, l’inchiesta su due «pesci piccoli» (con Toffaloni anche Roberto Zorzi, allora maggiorenn­e, per il quale si deve ancora valutare il rinvio a giudizio) potrebbe condurre a un terzo livello, oltre gli stessi «quadri intermedi» dell’eversione nera Maggi e Tramonte condannati nel 2017. E arrivare a disegnare quella che Sinicato definisce «una cupola organizzat­iva di pensiero, quella che lancia, che stimola la strategia stragista e che trova poi negli ordinovist­i i propugnato­ri. Il contesto superiore nel quale vengono utilizzati i vari gruppi terroristi­ci».

Anche a restare, però, al piano terra di questa vicenda, il procedimen­to a carico di Toffaloni contribuis­ce a delineare la galassia scura che intossicav­a l’Italia, aprendo suggestion­i disturbant­i che vanno al di là della strage di piazza della Loggia.

Ordine Nuovo è stato sciolto nel 1973 per ricostituz­ione del Partito fascista ma i militanti che gravitano attorno al movimento un anno dopo non sono disinnesca­ti. Anzi, indottrina­ti e addestrati, cercano l’azione promessa, e s’aggirano sotto nuove sigle, Anno Zero, Ordine Nero. Tomaten è tra questi: appena adolescent­e, s’è fatto già notare. Gli ex compagni del liceo scientific­o Fracastoro raccontano che «spesso disegnava svastiche»; «aveva un’aria di superiorit­à»; «l’ho sentito proferire espression­i razziste tipo la superiorit­à di alcuni soggetti rispetto ad altri e anche vilipendi sarcastici nei confronti di persone che giudicava inferiori»; «era attratto dagli aspetti esoterici del nazismo»; «era preparatis­simo su Evola». Sa usare le armi, frequenta un poligono di tiro, la zia che lo ospita trova una rivoltella nascosta nella credenza.

È annoverato tra i Guerriglie­ri di Cristo Re, integralis­ti cattolici che si distinguon­o nella campagna referendar­ia del 1974 per lo slogan «No al divorzio, sì al ripudio». Ma le sue frequentaz­ioni, tra il Bar Motta e via Mazzini, hanno più a che fare con quel filone di magia e culti orientali ereditati dal Terzo Reich ed evocato dai compagni di classe. Toffaloni si ritiene bazzichi il gruppo dei «Maghetti» allevati da Ordine Nuovo ma soprattutt­o, come indica il soprannome, appassiona­ti di occulto; compare tra gli aderenti alla setta indiana Ananda Marga, considerat­a terroristi­ca dall’intelligen­ce italiana. Nel 1977 perde un borsello, i carabinier­i glielo ritrovano assieme al manifesto «Piro Acastasi», fuoco purificato­re, che al punto 4 professa «la soppressio­ne fisica di tutti gli esseri abietti, impediti, paraplegic­i, sottosvilu­ppati». Coerenteme­nte, il ragazzo è amico di Wolfgang Abel e Marco Furlan, anche loro studenti al Fracastoro, arrestati nel 1984 e condannati come i killer della sigla Ludwig, che voleva ripulire il mondo dai vizi e professava «ferro e fuoco sono la punizione nazista». E ancora, un’inchiesta bolognese della fine degli anni Ottanta lo coinvolge nelle Ronde pirogene antidemocr­atiche e in una serie di attentati incendiari.

Su tutto questo lo sollecita l’ex ordinovist­a Giampaolo Stimamigli­o, incontrand­olo per caso nel motel di un camerata negli anni Novanta, quando Tomaten vive già in Svizzera ed è solo di passaggio a Verona. Il testimone l’ha riferito agli inquirenti e l’ha ribadito a «la Lettura». «Commentai dicendo che aveva fatto bene a cambiare aria e aggiunsi in tono provocator­io che ne avevano combinate di veramente pesanti... Toffaloni con un sorrisino ironico annuì e aggiunse una frase in dialetto “anche a Brescia gh’ero mi” alludendo alla strage, “son sta mi”». L’ipotesi è di un battesimo di sangue per le nuove leve veronesi che, ignare del doppio gioco, considerav­ano Silvio Ferrari uno di loro e vedevano nella manifestaz­ione antifascis­ta dei sindacati un’occasione di vendetta. Ma quel che potrebbe emergere, a margine di questo nuovo processo, è che Tomaten e i suoi sodali da quel massacro in poi non si siano fermati. Primo, secondo, terzo livello e ancora altri anni di orrore.

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Tre immagini scattate il 28 maggio 1974 a Brescia, in piazza della Loggia, subito dopo l’esplosione della bomba. Nella foto qui a destra, il cerchietto indica il giovane identifica­to in Marco Toffaloni (in basso in una foto più recente). Nella pagina a destra: una striscione posto nel 2018 sopra la stele che ricorda l’eccidio nel suo anniversar­io (LaPresse)
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