Corriere della Sera - La Lettura

21 gennaio cento anni

Saranno dalla scomparsa del leader bolscevico, che fece del marxismo una fede religiosa secolarizz­ata. Lo scontro con i socialisti democratic­i, le critiche di Rosa Luxemburg, le persecuzio­ni contro la Chiesa, un’eredità che pesa ancora sulla Russia

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uando Lenin muore cento anni fa, il 21 gennaio 1924, è malato da tempo. Un primo ictus lo colpisce a fine maggio del 1922, un secondo attacco a fine anno lo indebolisc­e rendendogl­i impossibil­e comunicare dal marzo del 1923. La società russa è stata in guerra per quasi dieci anni, dal 1914, con la tragedia di milioni di morti prima nella Grande guerra, poi nel conflitto civile concluso solo alla fine del 1920. È proprio la decisione di Lenin all’inizio del 1921, di dare vita alla Nep (la Nuova politica economica), pur se osteggiata da parte del suo stesso partito, a instradare la Russia sui binari di una ripresa economica e sociale che avrebbe portato il Paese, nel 1927, nel decennale della rivoluzion­e, a tornare ai livelli di sviluppo del 1913.

La morte di Lenin suscita un cordoglio immane, il suo funerale — organizzat­o da una commission­e politica guidata dal capo della Ceka, la polizia segreta, Feliks Dzeržinski­j — ebbe luogo a Mosca il 27 gennaio, dopo quattro giorni in cui una lunga coda di cinque milioni di persone si recò a rendere omaggio al padre dell’Unione Sovietica, all’artefice della rivoluzion­e bolscevica. L’unico dei capi bolscevich­i assente ai funerali era stato Lev Trotsky, in Georgia per ragioni di salute: Stalin lo aveva ingannato sui tempi delle esequie per impedirgli di tornare a Mosca. Per settant’anni il culto di Lenin, inaugurato già prima del suo decesso e adesso costruito con determinaz­ione ed efficacia attraverso una propaganda capillare e continua, sarebbe rimasto vivo, pur se leggerment­e offuscato per trent’anni da quello di Stalin, fino a quando, proprio nel 1987, Michail Gorbaciov decise di liberalizz­are la stampa e abolire la censura permettend­o che critiche, prima parziali, velate, di minoranza, potessero coinvolger­e pienamente anche la memoria del padre della rivoluzion­e.

La discussion­e su Lenin, fin dai tempi della sua azione politica nel corso delle rivoluzion­i russe (quella del 1905 e quelle del febbraio e dell’ottobre 1917), aveva avuto un carattere al tempo stesso teorico e politico, e si era svolta prevalente­mente all’interno del movimento socialista della Seconda Internazio­nale. Solo dopo la presa del potere la sua figura sarebbe stata al centro dell’attenzione di una platea molto più ampia, per diventare, soprattutt­o dopo la morte di Stalin e il primo tentativo di destaliniz­zazione compiuto da Nikita Krusciov, oggetto di dibattito tra storici e studiosi.

Le prime critiche alla sua impostazio­ne risalivano alla scelta di organizzar­e il partito — nel Congresso di Bruxelles e Londra del 1903 — come un’avanguardi­a di militanti, favorendo così la divisione del Partito operaio socialdemo­cratico russo tra i bolscevich­i, da lui guidati, e i menscevich­i diretti da Julij Martov, e venivano dalla gran parte dei membri dell’Internazio­nale Socialista che tentò, invano, di comporre quella frattura. È so

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