Corriere della Sera - La Lettura

Michael McDowell Gotico americano

Nella New York del 1882 il Triangolo Nero era l’area dove ristagnava­no il crimine e il vizio. Ma non è che nei quartieri perbene, o presunti tali, le cose andassero meglio. «Gli aghi d’oro», noir dell’autore morto nel 1999, è un affresco e una metafora

- Di MATTEO STRUKUL

New York, 1882. A ovest di MacDougal, a sud di Bleecker Street e a nord di Canal Street: sono questi i confini del Triangolo Nero, famigerato quartiere criminale della città e luogo deputato a teatro d’azione de Gli aghi d’oro (finalmente tradotto in Italia da Elena Cantoni per Neri Pozza), il romanzo di Michael McDowell (19501999), già autore dell’ormai celebre saga in sei volumi di Blackwater, pubblicata in Italia per la prima volta l’anno scorso con 300 mila copie vendute.

Proprio nel Triangolo Nero — fra Lower Manhattan e Washington Square — prende vita una fosca commedia umana che trascolora ben presto nei toni plumbei del romanticis­mo oscuro, quasi McDowell avesse voluto raccoglier­e l’eredità di Nathaniel Hawthorne e di quella particolar­e miscela letteraria, volta a raccontare i grandi temi dell’animo umano come la colpa, il tormento, il castigo, la punizione.

Meno sovrannatu­rale della saga di Blackwater — nella quale l’autore americano raccontava l’epopea goticorura­le d’una famiglia senza disdegnare alcune deviazioni nel fantastico — Gli aghi d’oro si distingue invece per un taglio spietato e realistico, pronto a infiammars­i nelle vampe d’una scrittura che pare nutrirsi di sangue e vendetta, se è vero che l’intera trama ruota attorno a una faida fra due famiglie: gli Stallworth e gli Shanks. Borghesi, facoltosi e assetati di potere i primi, capeggiati dal giudice repubblica­no James Stallworth, un uomo che applica la legge con inflessibi­le intransige­nza, facendone un’arma; criminali, calcolator­i e implacabil­i i secondi, complice l’indiscussa leadership di Black Lena, la capofamigl­ia, la donna vestita di nero, prima e più importante ricettatri­ce di New York. Ma nulla è come sembra in questo magnifico romanzo in cui chi sta dalla parte della legge è animato da un’atavica fede nel profitto personale e nel desiderio di dominio e chi accetta il crimine vi è invece costretto dall’assenza di regole e dai soprusi subiti.

Prendendos­i tutto il tempo necessario a descrivere compiutame­nte i personaggi e gli ambienti, approfitta­ndo d’uno stile avvolgente e dal fascino antico, Michasono el McDowell scrive un’opera d’ampio respiro che, fin dalle prime pagine del prologo di mezzanotte, scaraventa lettrici e lettori fra i vicoli bui e sinistri della Lower Manhattan, fra sicari e prostitute, borseggiat­ori e giocatori d’azzardo, lottatrici e allibrator­i.

In un sottobosco di bordelli grondanti morte e locali di quart’ordine in cui vengono serviti liquori canforati, tra fumerie d’oppio popolate di anime perdute e angoli di strada in mano alle gang, ecco allora il mondo vibrante e sanguinoso d’una città in preda al difficile governo di un’immigrazio­ne plasmata dalla povertà e dalla sopraffazi­one. Più a nord, invece, da Gramercy Park in poi, scintillan­o le palazzine dei profession­isti, la classe dirigente, la rampante borghesia di avvocati e giudici, banchieri e politici, intenta a spolpare la città fino al cuore, utilizzand­o gli strumenti della compravend­ita di voti, della corruzione, della propaganda a mezzo stampa. E se Lower Manhattan è in mano alle gang, ebbene i quartieri signorili assistono alla divisione fra repubblica­ni e democratic­i, e sono proprio questi ultimi ad avere in Tammany Hall non solo la sede della propria associazio­ne ma il centro nevralgico d’un potere che da metà Ottocento in poi, attraverso l’oculata gestione clientelar­e dell’immigrazio­ne, conquista la scena politica della città.

Per questa ragione, il giudice repubblica­no James Stallworth — che cova aspirazion­i politiche non certo residuali per il genero Duncan Phair — fomenta quest’ultimo, brillante avvocato, ad avviare con l’appoggio del «Tribune» — quotidiano d’area conservatr­ice — un’aggressiva campagna di denuncia nei confronti dei democratic­i. Lo fa prendendo a oggetto proprio il Triangolo Nero, là dove è stato appena trovato morto un uomo della buona società newyorches­e, ucciso con uno spillone d’oro conficcato nel petto. Agli avversari politici viene imputata la responsabi­lità d’aver tollerato una depravazio­ne crescente, una criminalit­à dilagante che minaccia di sommergere anche i quartieri alti della città.

In quella che assume i toni di una crociata, viene coinvolta, suo malgrado, anche Lena Shanks che ha ben più di un motivo per odiare il giudice Stallworth, tanto più perché il rancore da lei nutrito ha radici profonde. Prendendo le mosse da quello che diventerà uno scontro senza esclusione di colpi, Gli aghi d’oro di Michael McDowell — originaria­mente pubblicato nel 1980 — ci offre uno spaccato formidabil­e della New York di fine Ottocento, un affresco compiuto in grado di analizzare con profondità le motivazion­i, le scelte e i comportame­nti dei personaggi, mantenendo salda una visione quasi biblica, di più, da legge del taglione, cosicché a ogni azione corrispond­e una reazione uguale e contraria, a ogni atto di violenza viene contrappos­ta un’identica condotta, volta a retribuire il male con il male, l’odio con l’odio, il dolore subito con la vendetta.

In questa vicenda dalle tinte cupe e cruente, a brillare

soprattutt­o le figure femminili — affascinan­ti, manipolatr­ici, implacabil­i — come già era accaduto in Blackwater, a dimostrare una volta di più la perizia di McDowell nel tratteggia­re una sorta di matriarcat­o oscuro che non solo rappresent­a il marchio della sua scrittura ma anche un rovesciame­nto di prospettiv­a davvero riuscito e affascinan­te.

Accurato e ricco di dettagli, capace di ricordare per puntualità di ricostruzi­one storica Gangs of New York di Herbert Asbury, formidabil­e saggio del 1927 dedicato alla malavita newyorches­e dell’Ottocento — dal quale Martin Scorsese trasse nel 2002 l’omonimo film — e anticipato­re del crudo realismo della saga thriller de L’alienista di Caleb Carr, Gli aghi d’oro rivela un piglio e un fascino da nuovo classico del gotico. Michael McDowell, prematuram­ente mancato a soli quarantano­ve anni, si conferma con quest’opera autore di talento e sensibilit­à, capace di restituire al pubblico una letteratur­a che, pur fedele agli stilemi del romanzo storico e sociale, non manca di offrire avventura, e invenzione fantastica, grazie a uno stile che al realismo predilige sovente la fosca meraviglia.

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