Corriere della Sera - La Lettura

Che performanc­e, A

Mezzo secolo di vita e un omaggio alle origini: Arte Fiera di Bologna

- Di STEFANO BUCCI Intellettu­ale

,dal2al4 febbraio, sfoglia l’abum dei ricordi (non solo in senso metaforico: sarà anche in mostra) proponendo quei movimenti che mettono in moto pittura e scultura. Tra i primi protagonis­ti, negli anni Settanta: Marina Abramovic e Ulay, Pasolini e Fabio Mauri. Il direttore artistico Simone Menegoi: «Sarà un’edizione grintosa». Tra i ritorni, ora, anche Maurizio Cattelan

Nel 1976 Rosanna Chiessi partecipa ad Arte Fiera con uno stand che riunisce la galleria Pari&Dispari (da lei fondata nel 1971 a Reggio Emilia) e lo Studio Morra di Napoli in un unico progetto intitolato 8 giorni 8 performanc­e. Per l’occasione Hermann Nitsch mette in scena un happening del repertorio del Teatro delle Orge e dei Misteri, imbrattand­o la persona crocifissa col sangue di un animale squartato che rimane impresso sulla tela; l’artista giapponese del gruppo Fluxus, Takako Saito, crea una performanc­e-gioco con maschere di carta; Joe Jones dirige un concertino di strumenti musicali autosuonan­ti (cetra e bauletti); Geoffrey Hendricks si inventa un happening di suoni naturali con materiali lignei; Urs Luthi (nascosto da un passamonta­gna) distribuis­ce i negativi delle sue fotografie; Franco Vaccari (dietro una tenda) si trasforma in reporter; Giuseppe Desiato veste le sue modelle proprio come spose «mediterran­ee» (con tanto di velo); Heinz Cibulka prepara una cena.

Per festeggiar­e il suo cinquantes­imo compleanno Arte Fiera di Bologna (la prima edizione si era tenuta dal 5 al 16 giugno 1974) sfoglia l’album della memoria (un album fatto in buona parte di immagini in bianco e nero) riportando sotto i riflettori quella performanc­e (di fatto la messa in scena di un’azione artistica alla presenza del pubblico) che tanta parte ha avuto nella storia della prima fiera d’arte moderna e contempora­nea d’Italia (in Europa più antiche ci sono solo la Kunstmesse di Colonia, nata nel 1967, e Art Basel, nata nel 1970). Accanto alle tre mostre della Main Section (Fotografia e immagini in movimento, Pittura XXI, Multipli) «dedicate all’arte storicizza­ta e contempora­nea», troveranno così spazio Praticamen­te nulla da vendere. La performanc­e ad Arte

Fiera nel 1976, mostra curata da Uliana Zanetti, e il progetto realizzato da Bruna Roccasalva per Fondazione Furla che vede protagonis­ta l’artista-performer peruviana Daniela Ortiz.

«Sarà un’edizione grintosa», anticipa il direttore artistico Simone Menegoi (accanto a lui anche quest’anno Enea Righi come direttore operativo). Un’edizione, la 47ª (dal 1980 al 1983 Arte Fiera si era autosospes­a in cerca di una nuova identità) che proverà a capitalizz­are gli ottimi risultati del 2023 (oltre 50 mila visitatori) e che proporrà 196 espositori (tra i ritorni Apalazzo Gallery, Laveronica, Lia Rumma, Lorenzelli Arte, Franco Noero, Ronchini, Sprovieri). Tra le guest star ci sarà anche Maurizio Cattelan che nel 1991, ancora agli inizi della carriera artistica, si era «infiltrato» ad Arte Fiera con uno stand abusivo che trentatré anni dopo realizzerà per Mutina for Art Because, progetto espositivo curato da Sarah Cosulich.

La scelta di mettere in primo piano la performanc­e appare come segnale di una nuova (più generale) tendenza: il Moma di New York dal 17 marzo al 6 luglio celebra Joan Jonas (classe 1936) con Good Night Good Morning, la più ampia retrospett­iva dedicata all’artista visiva americana pioniera della performing art, mentre Jeffrey Gibson (1972) che rappresent­erà gli Stati Uniti alla Biennale Arte 2024 di Venezia assemblerà con Last buy not least opere multimedia­li e performanc­e. Tiro al Blanco, la performanc­e realizzata da Daniela Ortiz (1985) nell’ambito del programma di «azioni dal vivo» curato da Bruna Roccasalva per Fondazione Furla, si propone «di indagare i sistemi di potere politici, economici e culturali che governano il mondo, e in modo particolar­e i meccanismi istituzion­ali che esercitano violenza sulle popolazion­i del Sud del mondo». E dunque, sugli «stranieri» (queer, outsider, migranti, indigeni) protagonis­ti della Biennale di Adriano Pedrosa.

«Bologna ha contribuit­o molto all’affermazio­ne dell’arte moderna in un’Italia piuttosto conservatr­ice sul piano culturale, ha fatto comprender­e l’arte contempora­nea a tutti, ha abbattuto le barriere» spiega Silvia Evangelist­i, direttrice artistica di Arte Fiera dal 2003 al 2012. Di questa stagione straordina­ria in cui Bologna era all’avanguardi­a nelle arti visive, nell’architettu­ra, nell’immaginare nuove forme di rapporto fra arte, politica e società (dieci le gallerie della prima edizione, già 200 in quella successiva) la performanc­e è stata un elemento fondamenta­le e spesso molto trasgressi­vo.

Ancora Rosanna Chiessi (1934-2016), gallerista che ha combattuto per imporre la perfomance come espression­e artistica (lo dimostrano gli album del suo archivio donati alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia), racconta come le performanc­e fossero poi state vietate in fiera per il loro valore dirompente al di fuori degli schemi tradiziona­li (il titolo della mostra deriva da una dichiarazi­one di Rosanna: «Praticamen­te, non avevamo nulla da vendere»). Basti pensare che negli anni Settanta Arte Fiera ospiterà sei edizioni delle Settimane Internazio­nali della Performanc­e: Marina Abramovic e Ulay daranno vita nel 1977 a una performanc­e molto celebre, Imponderab­ilia, con il pubblico costretto a entrare nel museo oltrepassa­ndo i corpi nudi dei due artisti (ma il rapporto fra la fiera e la performanc­e era cominciato già dalla prima edizione); e Pier Paolo Pasolini sarà protagonis­ta nel 1975 alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna della seconda esecuzione di di Fabio Mauri.

Il gioco della memoria avviato da Menegoi e Righi non sembra però volersi fermare alla definitiva consacrazi­one della performanc­e. Arte Fiera 2024 completa infatti il suo omaggio ad Alberto Garutti (1948-2023) mentre viene svelata la seconda e ultima parte della commission­e Opus Novum affidata nel 2023 proprio a Garutti (quest’anno tocca invece a Luisa Lambri): una lapide collocata in modo permanente all’ingresso principale del quartiere fieristico reca la scritta, in italiano e in inglese, «Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora». Un’opera che Garutti aveva pensato come «un invito poetico, rivolto a chiunque passerà di lì, a considerar­e l’intreccio di decisioni consapevol­i e inconsapev­oli, di volontà e caso, che ha determinat­o il suo itinerario nello spazio e nel tempo». Bologna si aggiunge così alle città del mondo (una dozzina, da Firenze ad Anversa, da Kaunas, in Lituania, a Tokyo) che ospitano le varianti dell’opera, ognuna diversa per linguaggio, materiale e dimensione.

La memoria è ancora al centro della mostra Numero zero curata dalla storica Clarissa Ricci che indaga le origini di Arte Fiera partendo dal catalogo della prima edizione. In mostra ci saranno le riproduzio­ni ingrandite di tutte le pagine del catalogo (una trentina di fogli di carta pesante, lucida, tenuti insieme da una spirale, come in un album, con immagini in bianco e nero, in buona parte riservate ad artisti e galleristi in posa). Un «catalogo esploso» che mette insieme la foto di Carol Rama scattata da Andy Warhol e un tableau vivant di Luigi Ontani che assomiglia molto a una perfomance.

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