Corriere della Sera - La Lettura
La novantenne con la valigia i
In Rai nel 1954, prima donna Amleto a teatro, Coppa Volpi dieci anni fa, è al cinema con Marco Risi. «Sono indomita»
La trama Due ragazzi sono affidati dal tribunale ai servizi sociali in una casa di riposo dove convivono un colonnello mai diventato generale, un’ex attrice, un intrattenitore, un fotografo e il rivale che in gioventù gli ha rubato la fidanzata, una signora (Elena Cotta) sempre pronta a partire per luoghi ignoti La biografia Nata a Milano il 19 agosto 1931, Cotta è stata la prima attrice italiana a interpretare Amleto a teatro e tra le prime a fare parte dei grandi sceneggiati televisivi, quando venivano trasmessi in diretta dalla Rai: ha interpretato tra gli altri Tessa la ninfa fedele e Giulietta (nella prima foto dall’alto) in Giulietta e Romeo, negli anni Cinquanta. Dieci anni fa ha vinto a Venezia la Coppa Volpi (nella seconda foto dall’alto) per la migliore interpretazione femminile nel ruolo di Samira, combattiva donna albanese, nel film di Emma Dante
La ragazza con la valigia, come Claudia Cardinale nel famoso film di Valerio Zurlini del 1961. A 92 anni, baciata zodiacalmente dal segno del Leone, che ruggì per lei il 19 agosto 1931, Elena Cotta, dieci anni dopo la Coppa Volpi vinta con Via Castellana Bandiera di Emma Dante, è di nuovo al cinema nel curioso e commosso film di Marco Risi Il punto di rugiada in cui si raccontano, senza alcuna mestizia, i finali di partita degli ospiti di una ricca casa di riposo. «Ha scelto lei il ruolo e ha voluto sempre portarsi da sola la valigia», dice il regista nel cui film si ritrova una compagnia di prosa ricchissima, con Massimo De Francovich e Cotta, Eros Pagni ed Erika Blanc, Maurizio Micheli e Luigi Diberti.
«Una vecchietta indomita che non perde la speranza, va in giro con la sua valigia pronta ad affrontare le novità, con quell’entusiasmo felice e gratificante di cui anch’io da sempre non posso fare a meno», sintetizza l’attrice che ricordiamo con tutto il suo fascino e bravura in ben 70 anni di pregiato teatro di prosa, di cui 50 passati in coppia col marito Carlo Alighiero, di cui è vedova dal 2021.
C’era una volta la moda delle compagnie coniugali — Ricci-Magni, TieriLojodice, Proclemer-Albertazzi, PagliaiGassman e... Alighiero-Cotta — dal 1975 sui palcoscenici italiani, prediletti i due Manzoni, di Milano e Roma. «Fu uno sbocco inevitabile continuare in scena l’affiatamento privato. Ma il matrimonio venne dopo. Io da rigorosa milanese del Parini quando sono arrivata all’Accademia a Roma — racconta Cotta a “la Lettura” — mi sono trovata in un mondo diverso, cui non ero preparata, di pettegolezzi, rivalità e malignità. Così frequentavo la scuola svogliatamente, finché un giorno fui proprio cacciata».
Poi, tra un’alzata di sipario e l’altra, è successo di tutto, anche un’algida tournée in Cina e in Russia (Siberia compresa) con Arlecchino, ma Cotta con un tuffo nel tempo ricorda che nel 1954 partecipò ai primi programmi della neonata Rai Tv. «Eravamo io, Carlo Alighiero e Pippo Baudo nello studio milanese di corso Sempione, non attrezzati, impreparati, non si capiva l’enorme dimensione del mezzo, era tutto nuovo, ci sentivamo pionieri». La tv regalava cultura, con i gloriosi Venerdì della prosa in cui le commedie andavano in onda in diretta, anche se replicate la domenica: «Fui Tessa la ninfa fedele nel 1957, feci Lorenzaccio, fui la Giulietta scespiriana sull’unico canale il 6 febbraio 1959. E avevo 39 di febbre. È capitato a me e a molti altri attori, ma siamo eroici, il teatro è una medicina omeopatica: una bella sudata, si va in scena e tutto passa».
Grande tempra, molto milanese, radice che custodisce con orgoglio: «A Milano c’è un pubblico attento, caloroso, un modo più corretto di affrontare le cose. Ricordo che, uscita dopo un solo anno dall’Accademia, fui scritturata da un gruppo amatissimo, la Compagnia dei Giovani di De Lullo, Falk, Guarnieri, Valli, Albani. Mettemmo in scena, audaci per l’epoca, La calunnia di Lillian Hellman, storia di un rapporto omosessuale tra le due insegnanti di un college femminile, con tante bambine carogne e spione intorno. Io ero la bimba isterica e finivo con una crisi il secondo atto, ma il sipario si riaprì 17 volte per gli applausi».
Lunga carriera di cui Cotta ricorda i momenti clou: Irina nelle Tre sorelle con regia di Giorgio De Lullo («erano andati a Mosca a vedere l’edizione originale...») e poi spettacoli diretti da Fo, D’Anza, Ferrero oltre alle molte produzioni di famiglia in cui Alighiero faceva da partner, marito, regista. «Il ricordo di cui vado fiera, il momento migliore della mia storia, è quando feci Amleto nell’edizione scritta da Riccardo Bacchelli». C’era stata una prima edizione con Monica Vitti giovanissima Ofelia... «Ma la nostra era un’altra cosa, io fui una delle pochissime attrici, per esempio Sarah Bernhardt a Parigi, a sostenere il ruolo maschile di Amleto, perché pensavo e penso ancora che i suoi dubbi esistenziali siano comuni a tutta l’umanità, oltre i temi di genere. Grande soddisfazione ma un gran freddo perché mi ero tagliata i capelli a zero».
Con il tempo i personaggi invecchiano, da Giulietta si passa alla mamma di Berlusconi (nel film di Sorrentino) e alla nonna di Carla Fracci (nel film Rai del 2021), alla vecchietta con la valigia di oggi, ma la memoria della bellissima signora resta ancorata alle migliaia di sere in cui andava in scena ogni volta come fosse la prima. «È un mestiere meraviglioso, ogni personaggio è una scoperta che ti dà modo di vivere vite diverse: proviamo più emozioni, io davvero non avrei potuto fare altro».