Corriere della Sera - La Lettura
L’orrore del Lager con gli allievi dello Stabile di Torino 40 anni di Istruttoria i
Ripropone lo storico allestimento del basato sui crimini nazisti ad Auschwitz
In occasione delle celebrazioni per il Giorno della Memoria (27 gennaio), gli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino portano in scena L’istruttoria di Peter Weiss. La pièce — ispirata al processo contro un gruppo di SS e funzionari di Auschwitz istruito a Francoforte nel ’63
L’autore
Peter Weiss (Potsdam, Germania, 1916 Stoccolma, 1982), scrittore e drammaturgo tedesco, ha esordito nel 1960 con il «microromanzo» L’ombra del corpo del cocchiere, seguito da due volumi a sfondo autobiografico, Congedo dai genitori (1961) e Punto di fuga (1962), e da La conversazione dei tre viandanti (1963). Nel 1964 esce la sua prima opera teatrale, La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat. Tra i testi per il teatro: Notte con ospiti (1963), Trotskij in esilio (1970) e Hölderlin (1971) Il testo Atto di denuncia contro i criminali nazisti, L’istruttoria venne scritto da Peter Weiss dopo avere assistito al processo che si svolse a Francoforte dal 1963 al 1965 contro un gruppo di SS e di funzionari del campo di sterminio di Auschwitz. Nelle 183 giornate del processo vennero ascoltati 409 testimoni, 248 dei quali scelti tra i 1.500 sopravvissuti Lo spettacolo Messo in scena per la prima volta nel 1984 con la regia di Gigi Dall’Aglio, L’istruttoria, dopo essere stato all’Elfo di Milano (oggi, domenica 14, ultima replica) torna dal 17 al 27 gennaio al Teatro Due di Parma, dove sarà ripreso dal 24 al 28 marzo e dal 3 al 7 aprile. Info: teatrodue.org
In alto il cast di oggi. Da sinistra: Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Pino L’Abbadessa e Milena Metitieri (foto di Andrea Morgillo). Qui sopra: uno scatto del 1984
I— debutta martedì 23 alle ore 19.30 al Teatro Gobetti (regia di Leonardo Lidi, regista assistente Francesca Bracchino, produzione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale). Lo spettacolo verrà replicato per la stagione in abbonamento dello Stabile fino a domenica 28. l grande scrittore israeliano Abraham Yehoshua ha affermato: «È difficile la rappresentazione estetica dello sterminio, è un’esperienza estrema a cui non si può aggiungere nulla; difficile è anche trovare la forma adatta per raccontare lo strazio delle vittime, ma Weiss c’è riuscito, perché ha trasformato quello strazio in un poema». Uno spettacolo che da 40 anni gira in Italia e all’estero, 1.500 repliche con più di 300 mila spettatori. L’istruttoria del tedesco Peter Weiss (1916-1982) è basata sulle parole pronunciate nell’aula di Francoforte nel processo contro un gruppo di SS di Auschwitz, svoltosi tra il 1963 e il 1965. Parole d’acciaio, essenziali, cariche di forza indignata e di volontà dolorosa, messo in scena dalla compagnia del Collettivo di Parma nell’aprile 1984.
Weiss, scrittore e drammaturgo, l’ha concepito come teatro-documento, nel 1966 Virginio Puecher ne cura una regia al Piccolo «al leggio»: secondo lui non dovevano intervenire l’emozione e l’identificazione ma solo la riflessione sulla materia. Le informazioni su quello che era successo non erano ancora molto diffuse, ma nell’84 si poteva passare dagli abiti neri degli attori fermi a leggere, a uno spettacolo che concepì con intelligenza Gigi Dall’Aglio per il Teatro Due di Parma. L’impianto è semplice, complesso e significante. L’itinerario lungo la vergogna del Lager ha inizio nei camerini degli attori che si truccano mentre le parole di Pier Paolo Pasolini ricordano che il mondo finisce con il mondo e quello che andremo a vedere non sarà altro che mondo.
Una porta si apre e, guidati da una giudice in tailleur grigio, gli spettatori attraversano i camerini, entrano da una porticina nello spazio scenico e si trovano stretti tra una fune tesa e una parete nera. Gli attori si mescolano con i presenti, dalla folla escono personaggi e da essa sono inghiottiti. In quel momento storico c’erano tutti: gli aguzzini, le vittime e gli spettatori che poi si siederanno. Ci si accorge che questa verità è troppo grande, troppo assurda, troppo vergognosa. Non ci può essere cancellazione, ci può essere solo sbigottimento per la capacità infinita che ha l’uomo di fare del male a un altro uomo.
Lo spettacolo sarà in scena dal 17 al 27 gennaio al Teatro Due di Parma, ripreso anche dal 24 al 28 marzo e dal 3 al 7 aprile e in quell’occasione al capolavoro di Weiss verrà dedicato un momento di approfondimento con studiosi.
Tra gli attori — con Paolo Bocelli, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Paola De Crescenzo, Davide Gagliardini, Pino L’Abbadessa, Milena Metitieri e Massimiliano Sbarsi — c’è Roberto Abbati. Partecipò alla prima «prima», e chiedergli di quest’esperienza è come rivolgergli la domanda: «Che cos’è la vita?». «Questo — asserisce — credo sia una sorta di privilegio, non ce ne sono tanti nella vita degli attori. Per me è difficile parlare, allora sposterò la cosa su un aspetto un po’ astratto: l’odore dello spettacolo. Tutti gli spettacoli hanno un odore. Dato, ad esempio, dal tipo di scenografia e dall’uso che se ne fa. In questo spettacolo ci sono il fumo, la farina che viene buttata per terra, i pasticcini. Accade una cosa strana ma spiegabilissima. Quando entriamo in scena, l’odore è sempre lo stesso da 40 anni e siamo schiacciati, anche in modo positivo, da un tempo che è quello di 40 anni fa. Io torno lì con questo odore! Il tempo è compresso e bloccato nonostante L’istruttoria si replichi dal 1984. È lo spettacolo che ha fatto, dentro di me, la sintesi di tutto: la mia umanità, la mia coscienza politica, civile, la tecnica recitativa, tutto! Tutto ciò che fa parte di un uomo si sintetizza perché questa creazione ha un’alchimia stranissima in sé: forma e sostanza. Una materia pesante e una forma rituale hanno creato un qualcosa di irripetibile».
Ricordi. A Tel Aviv per la prima volta la Shoah fu rappresentata in Israele. «Lo spettacolo — puntualizza Abbati — per come è strutturato prevede un massimo di 150 spettatori. A Tel Aviv erano 600 tutte le sere. A passare dalla porticina ci mettevano mezz’ora. Un’emozione, aspettare. I personaggi che affrontiamo sono persone vere e, quindi, c’è un problema di pudore e rispetto. A Milano, al Menotti, entrato nei camerini, un signore anziano chiede: “Non riesco a stare dall’altra parte, posso sedermi qua dietro?”. Noi eravamo imbarazzati, soprattutto le ragazze che dovevano spogliarsi. Gli abbiamo detto di sì. In scena interpreto Boger, uno dei più spietati e terribili aguzzini del Lager insieme al suo aiutante Kaduk. Finito lo spettacolo quel signore mi dice: “Io Boger e Kaduk li ho conosciuti”».