Corriere della Sera - La Lettura
Anche l’affetto s’impara Giovani detenuti a lezione
Come si gestiscono i sentimenti? E il sesso? «La Lettura» è stata nel carcere minorile Beccaria di Milano, in una «classe» di stranieri, a San Valentino
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Tanta esperienza nel mondo, molto poca negli affetti. Il ragazzo ricciolino, che s’è seduto all’ultimo banco della fila e che chiameremo Samir, neanche maggiorenne per due volte ha rischiato la vita in mezzo al mare. La sua famiglia è rimasta in uno dei tanti villaggi dimenticati tra Il Cairo e Port Said, lontana e misera: «È da quando avevo dieci anni che penso di andar via per aiutarli». E così, non appena gli sono cresciuti dei baffetti morbidi sotto al naso, Samir è partito.
Direzione Libia, verso ovest, dove s’è ritrovato con altri 150 adolescenti stipati in un magazzino, sei mesi di lavoro, «uomini molto aggressivi», un primo tentativo di traversata in 600 su un gommone scassato. Fallito. «Siamo rimasti una settimana fermi, solo l’acqua attorno, all’ottavo giorno pensavo di morire». Li ha tratti in salvo la guardia costiera tunisina, un po’ più a ovest. Ancora sei mesi di fatica, un nuovo passaggio, stavolta su una scafo piccolo che in 18 ore li ha portati in 18 (così sostiene) dall’altra parte del Mediterraneo, nel suo caso a Pantelleria. «Bella, sì».
Come sia arrivato a Milano e quindi tra le mura dell’Istituto penale minorile Beccaria, nonostante un lavoro presso un fruttivendolo italiano, è storia confusa, che lui stesso non ha ben chiara in mente: «Avevo fame, ho rubato, è stato più forte di me». Senza documenti, senza genitori, in una bolla.
Lo racconta attraverso la voce della mediatrice, Zahia Bounab, straordinaria algerina che parla bene anche l’arabo egiziano e che di ragazzini come lui ne ha visti a frotte, li incoraggia, li accarezza materna, tiene loro le mani sulle spalle per calmarli e spingerli a parlare. «Hanno dovuto congelare le proprie emozioni al momento in cui hanno lasciato casa», spiega. E invece in questa speciale lezione di affettività, che per una coincidenza si tiene nel giorno di San Valentino, bisogna scioglierle, le emozioni. Provarci, almeno. Accanto alla lavagna luminosa, Chiara Gregori li sprona a farlo. «Imparate a riconoscerle, a rispettarle, quindi a modularle, prima di passare all’azione; è importante per poter star bene voi, ma anche per far stare bene chi è con voi».
Ginecologa e sessuologa, Gregori sta incontrando questa classe di minori stranieri del Beccaria per la terza volta, nel quadro di un programma breve finanziato dall’Università degli Studi di Milano.
La dottoressa, la mediatrice e per la Statale il referente Omar Tanzi nelle prime lezioni hanno insistito su gioia, paura, tristezza, disgusto, rabbia. Si sono aiutati mimando e invitando gli alunni a mimare; li hanno fatti imbarazzare e sghignazzare; li hanno stupiti, interessati, storditi di parole e idee nuove. Infine hanno distribuito adesivi con gli emoji, ricevendo in cambio tanti faccini di tristezza in tutta la gamma — grandi occhi lucidi, lacrimoni, bocche all’ingiù — ; smorfie del disgusto che temono di ricevere dal prossimo; scarsi sorrisi. Ora, in quest’ultima mattina a disposizione, bisogna riportarli alle conversazioni passate e provare a fare un passo avanti, recuperando, se è possibile, le rare espressioni di felicità.
«Il sesso è sporco»: ostacolo numero uno da superare. Sono dieci ragazzetti tutti egiziani (la prima nazionalità a Milano tra i minori non accompagnati) che hanno scarsa frequentazione con un femminile che non sia l’adorata mamma, oramai distante. Quel che si sono portati dietro nel leggero bagaglio dal Nord Africa sono precetti e paure confuse, che adesso li imbrigliano. Pulsioni represse e mal controllate, che a maggior ragione in luoghi tutti maschili come il carcere o la comunità fanno fatica a incanalarsi in maniera sana. «Il sesso è una cosa bella — insegna con semplicità Gregori —. Se quando lo faccio mi sento sporco, non sarò rispettoso di me stesso né delle persone che incontro». «Non possiamo parlarne fuori dalla religione»: si preoccupa uno con la solita giacca di acetato e i calzoni sotto le mutande per la mancanza di cintura. «È peccato prima del matrimonio», un altro. «Voglio che mia moglie sia vergine», un altro ancora. «È un discorso molto impegnativo — schiva con dolcezza la dottoressa —: ma al di là di quando deciderai di farlo, fuori o dentro le indicazioni della tua fede, il punto è viverlo con piacere». Gioia batte senso di colpa.
Le parole facili non le mancano; negli anni recenti Gregori si è dedicata in particolare alla divulgazione scientifica e ha appena scritto per BeccoGiallo un nuovo libretto dedicato agli adolescenti: Per piacere. Piccola guida per una sessualità consapevole, dal quale in aula riprende sullo schermo i disegni di Juls Criveller e alcune equazioni chiave. «Il mio benessere» su un piatto della bilancia; «il benessere dell’altro» in perfetto equilibrio
sul piatto opposto. Certo, l’educazione sessuale di base serve. Il disegno della vagina (risatine: «Ha i peli!»), il pene («Il mio è sveglio»), gli spermatozoi all’arrembaggio degli ovuli («Se mi lavo sotto la doccia vanno via?»), i sistemi di contraccezione, l’uso del preservativo come cura di sé e dell’altro: «Mai usato...». La dottoressa non se ne stupisce. «La prevenzione attraverso la paura è dimostrato che non funziona — ragiona con “la Lettura” — , stai attento e ti proteggi quando ti valorizzi. Dunque, per farlo devi dare valore a te e a quello che stai facendo. Se pensi che sia una schifezza, non avrai nessuna energia per farlo bene». Se impari cos’è un virus e hai cura di evitarlo perché ci tieni a stare bene, godi in serenità.
Non si tratta, allora, di spiegare organi e funzionamento. Con tutti i ragazzi, e ancor di più con quelli che si sentono di scarto, bisogna partire dal valore. Parlare di jins, sesso, diventa così un veicolo prezioso per parlare di sé stessi, delle mancanze, dei desideri, dei rapporti con gli altri. «Il tema dell’affettività riveste un’importanza cruciale anche in prospettiva, per l’inserimento sociale dei nostri ragazzi — osserva il neodirettore del Beccaria, Claudio Ferrari, che si è speso per il progetto e promette di farlo proseguire —. La presenza di un elevato numero di minori maschi di origine straniera pone sfide specifiche, data la diversità culturale e le differenti concezioni che esprimono. Ogni spazio di dialogo e apprendimento può contribuire al benessere complessivo del minore, favorendo migliore consapevolezza di sé e capacità relazionali».
«Ma io già so tutto», si vanta Farid (nome di fantasia). Possibile? «Te lo giuro». Bella faccia, un vago accento siciliano per il tempo trascorso alla comunità per minori stranieri di Castellammare del Golfo, Farid usa espressioni come «tutte cose» e traduce jins come «trombare», accompagnandolo col gesto. Rispetto al timidino che, come altri, tiene la testa sul banco e confessa di non aver mai avuto una ragazza, la sa lunga. «Mai fidanzato, però — precisa — non ho ancora trovato quella giusta...». E vorresti innamorarti? «Certo, è la cosa più bella». Finora tante avventure, rivendica, e aggiunge dettagli perché anche gli altri ragazzi sappiano, «lo facevo sempre, come mi manca trombare...». Eppure non riesce a essere davvero volgare (anche perché la mediatrice glissa sulle battute peggiori) e non può perde la sua patina naïf, disarmata. Rivelandosi infine un gentleman: «Se la ragazza non sta bene, non mi diverto neanch’io. Un giorno mi sono accorto che la ragazza con cui ero uscito era ubriacata. Allora no, non si può fare. Io l’ho accompagnata a casa, fino a Pavia, perché non le succedesse nulla. Sono stato contento, perché il giorno dopo lei mi ha ringraziato tanto e mi ha voluto vedere ancora...».
Rispettare l’altro, s’arriva ancora qui. «Ma a noi le ragazze ci rispettano?». Il vicino di banco ne ha viste parecchie anche lui, i ricci in una coda, lo indicheremo come Hassan. Più scaltro, eppure anche lui fragile: «Stavo con una tipa da un anno, sono finito qui dentro e quella si è messa con un altro», la insulta. Rabbia? Frustrazione? Gli educatori lo incalzano: «Non è debolezza riconoscerlo». Lui solleva le spalle: «Non ci sono rimasto male». Non cede. Fa la spalla di Farid, afferra e rilancia i suoi aneddoti, chiosa, guida la corsa per la pausa sigaretta. Infine accarezza fraterno i capelli del ragazzo che gli si è accucciato al fianco, restando ad ascoltare fino alla fine delle due ore di lezione.
Rapine a mano armata, un gran giro di carceri minorili in Italia, gli restano un paio d’anni da scontare. «Anche a Nisida sono stato». E com’era? Hassam socchiude gli occhi, sospira, cita involontariamente una serie tv e una poetica idea di speranza al di là delle sbarre: «Aprivi la finestra e c’era il mare fuori...».