Corriere della Sera - La Lettura
Laspiadi Parigi che passò daBolzano
Daniel Forestier ha coperto con i Dragoni i teatri bellici in Africa e Medio Oriente; poi è stato arruolato dagli 007. È stato ucciso cinque anni fa. Delitto irrisolto. Pochi mesi prima era atterrato in Italia. Ci sono le tracce. Era in pensione: nell’Alt
Un giorno di ottobre del 2018. Un aereo di una compagnia privata atterra all’aeroporto di Bolzano: scalo minore, con pochi passeggeri, scarsi introiti rapportati ai costi, ma utile sotto il profilo logistico se vuoi arrivare in un luogo usando vie secondarie. Il velivolo rulla sulla pista, arresta i motori, si apre il portellone e dalla scaletta scendono cinque cittadini francesi.
Uno di loro, Daniel Forestier, 58 anni, è in possesso di un passaporto diplomatico. In apparenza non c’è nulla di strano, i cinque potrebbero essere uomini d’affari e un funzionario impegnati in una visita di lavoro da qualche parte. Nelle vicinanze oppure in una meta più lontana raggiungibile in macchina. Il loro passaggio, secondo la procedura, è annotato nel database delle forze dell’ordine italiane, e lì sarebbe rimasto a dormire, mescolato a migliaia di altre schede, se non ci fosse stato un seguito mesi dopo.
Un seguito sorprendente, tragico. E ancora oggi misterioso.
Siamo nella seconda quindicina del marzo 2019, per l’esattezza il 21 marzo. Quasi cinque anni fa. Riecco Forestier: lo troviamo a Lucinges, 1.500 abitanti nel Dipartimento dell’Alta Savoia, in Francia. Qui si è trasferito da tempo, una volta smessa la «divisa» di soldato molto speciale. Quel 21 marzo, nel tardo pomeriggio, Forestier si allontana perché deve vedere qualcuno, come spiega alla famiglia (moglie e due figli) evitando però di aggiungere particolari. Non tornerà più a casa.
Un automobilista scopre il suo corpo a Ballaison, un altro piccolo comune, tra Thonons-Les-Bains e Ginevra, distante una trentina di chilometri dalla residenza di Forestier il cui cadavere giace in una piazzola lungo la strada. Nel primo esame, il medico legale isola cinque fori d’entrata, proiettili esplosi sicuramente da un professionista poiché sono andati tutti a segno colpendo zone vitali. I soccorsi sarebbero stati vani, il decesso è stato quasi istantaneo.
Forestier è riverso vicino alla sua macchina, una Peugeot 107, vettura che ha il cofano alzato: non si tratta di un problema meccanico, bensì di un segnale convenuto rivolto all’uomo oppure alla donna con la quale aveva un appuntamento.
La scena del crimine è situata in una zona anonima, tranquilla, con siepi, alberi, poi una fila di grandi contenitori per la spazzatura. Gli investigatori cercano di guadagnare tempo, non forniscono subito dettagli sull’identità della vittima, restano vaghi e si preparano al diluvio di domande che arrivano qualche giorno dopo quando i giornalisti scoprono finalmente chi è la persona fatta fuori.
Inizia il romanzo, si allarga la trama.
Daniel ha fatto parte dei Dragoni paracadutisti e con loro è stato impegnato in operazioni complesse in nazioni africane sconvolte da conflitti, soprattutto da guerre civili. La sua unità è stata preparata a muoversi dietro le linee, a infiltrarsi per individuare bersagli ed eliminarli. Dal 1980, per un decennio abbondante, la vita di Forestier è stata questa, in una quotidianità scandita da scariche di adrenalina, lanci, incursioni, compiti top secret. Ne esce fuori con un’esperienza infinita conquistata dal Ciad alla Somalia, dal Congo alla Guerra del Golfo. Si porta dietro molti legami.
L’apparato non può fare a meno di lui, ne hanno bisogno, così lo inseriscono nella Dgse, il servizio segreto che si occupa dell’estero. Il nuovo incarico (ufficiale) è di istruttore per i commandos con licenza di uccidere, operativi destinati ad affiancare l’intelligence. Forestier ha tanto da insegnare, consigli e tattiche imparate sul campo, azioni fuori dalle regole messe a disposizione dello Stato. Cose che spesso non si devono e non si possono raccontare. Accanto c’è l’altra faccia della Luna: figure opache, trafficanti, tipi che camminano sul filo e che spesso dimenticano l’esistenza di limiti. Forestier ne ha incontrati tanti sui sentieri di guerra, in avamposti remoti, in caserme lontane, ma anche in qualche ufficio parigino. Di questo branco fa parte un altro «lupo»: Bruno.
Militare dei reparti d’élite, nato in Ciad, con sangue corso nelle vene, passione per la musica, Bruno è collega e amico di Daniel. Infatti restano in contatto anche dopo il congedo, quando è giunta l’ora di ritirarsi chiudendo con sacrifici e fatiche. Parliamo di un’uscita formale ma non sappiamo quanto sia reale, magari è soltanto un modo per continuare sotto un nuovo ombrello. E dall’altra parte certi vincoli non finiscono mai, anzi diventano più sottili, invisibili, mimetizzati da gesti normali. Il calendario ci riporta adesso ai primi anni del 2000, quando Forestier smette i panni del parà per andare a vivere appunto a Lucinges, a pochi chilometri dal confine con la Svizzera. Ma che cosa
diavolo ci fa qui, in un luogo di pace, di routine, di giorni spesso uguali? Risposta parziale: fa il pensionato tranquillo.
Per un certo periodo ha un bar tabaccheria, «L’Escapade», che tradotto dal francese significa «la fuga». Un locale dove scambiare quattro chiacchiere, ascoltare musica, passare il tempo senza fretta. Inoltre si dedica all’ipnosi e si diverte a scrivere libri di fiction, ovviamente votati allo spionaggio. Il protagonista, Max de Saint Marc, è l’alter ego del medesimo (ex) 007. Una scelta facile in quanto Forestier può costruire capitoli pescando nel suo zaino zeppo di avventure, ricco di aneddoti, di trucchi. Uno dei racconti ruota attorno al rapimento di una ragazza sudamericana figlia di un miliardario: sarà un nucleo di ex agenti, i barbouzes ,le barbe finte, a doverla salvare.
Forestier si trova bene a Lucinges, e decide d’impegnarsi per la sparuta comunità che ha dato accoglienza a lui e alla sua famiglia. Infatti nel 2014 diventa assessore al Turismo, una carica che lo impegna e lo diverte con l’ideazione di eventi. Dopo aver rischiato i proiettili, è diventato una sorta di animatore della Pro Loco, apprezzato per i suoi modi. Sembrano alle spalle le peripezie, la tensione, le missioni dalle quali non sai se uscirai vivo. In realtà le cose non stanno proprio così. Quell’aiuto istituzionale che offre ai compaesani è sincero, ma è anche la siepe dietro la quale continuare a occuparsi delle vecchie passioni.
Per un certo periodo, Daniel fa parte della scorta di Dinara, una delle figlie di Nursultan Nazarbaiev, leader storico del Kazakistan, che si è dimesso il 19 marzo 2019 dalla carica di presidente ma ha conservato una forte influenza. Lei è spesso in Svizzera, specie intorno a Ginevra, dispone di grandi risorse economiche, ha bisogno di uno scudo che tenga lontani eventuali pericoli. È un buon lavoro per il francese, per il salario e le opportunità di conoscere persone a patto di essere discreti evitando passi falsi. E in teoria Forestier mantiene il profilo basso, senza suscitare curiosità. Ancora una volta l’esistenza è più complicata, esistono percorsi paralleli alternativi alla pace di Lucinges. Arriviamo al 31 agosto 2018. Una data cruciale.
I servizi segreti interni interrogano Daniel a proposito di un tentativo di eliminare un oppositore congolese, il generale Ferdinand Mbaou, rifugiato in Francia. Forestier ammette di aver eseguito una ricognizione e si è convinto che il piano non era fattibile. Il committente dell’agguato sarebbe proprio il suo vecchio amico Bruno, pronto a ricompensarlo con un premio di 400 mila euro, di certo «attivato» dagli avversari del generale. Il confronto con gli inquirenti è teso, Forestier fornisce qualche altro tassello — per esempio l’acquisto di una quantità ridotta di esplosivo — e spera di aver superato la china. Vorrebbe che tutto rimanesse tra le pareti dell’ufficio. Non è affatto così. Passano appena quindici giorni e viene accusato dalla magistratura di associazione a delinquere.
Nel dossier degli inquirenti finiscono anche Bruno e un terzo indagato, un collega del giro svizzero. L’ inchiesta trapela sui giornali, un colpo micidiale gonfiato dalle ricostruzioni sulle faide congolesi, dalle piroette di maneggioni e doppiogiochisti. Una vera giungla.
L’ipotesi di un agguato a Mbaou non suona strana, l’esule è già scampato a un’imboscata nel 2015 quando un «esecutore», descritto dal generale come un uomo di carnagione bianca, gli spara alle spalle nelle vicinanze dell’abitazione per poi scappare con l’aiuto di complici. L’episodio è un segnale d’allarme, mescolato alle mosse non sempre nitide del governo francese. Forestier è trascinato dentro il groviglio, irto di spine, insidioso. Se è in possesso di informazioni delicate le può utilizzare come polizza d’assicurazione ma, al tempo stesso, il «sapere troppo» rischia di trasformarlo in un obiettivo da silenziare. Sono regole non scritte note a tutti gli interpreti del gioco.
L’autunno è triste per Daniel, ha perso smalto ed è corrucciato. Deve dribblare accuse, sospetti, interrogativi. Ha sempre il timore di indiscrezioni vere o false, fatte uscire per indebolire la sua posizione.
In più ha perso il salario garantito dai kazaki: secondo la spiegazione fatta circolare, era impossibile restare a far da guardia quando a sua volta era costretto a difendersi per evitare la prigione. Lo avevano «bruciato». Le descrizioni degli amici di Lucinges sull’umore cupo, il volto velato dalle preoccupazioni, fanno il paio con le testimonianze (postume) dei familiari ai quali confida quanto sia serio il momento. Non è il semplice sfogo di una persona amareggiata; ripete una frase: «Se dovesse capitarmi qualcosa...».
Un’espressione pesante per chiunque ma ancora di più quando a pronunciarla è Forestier, con il suo profilo incastonato in un modo dove succede di tutto. E quando trovano il cadavere, la profezia si avvera in un modo tragico aprendo un secondo filone. Chi erano i sicari? Chi ha dato l’ordine?
Gli scenari sono numerosi, disegnati in base ai precedenti di Daniel. La pista dell’affare congolese è stata tra le prime a essere considerata, se non altro perché intrecciata a sviluppi recenti. Gli hanno tappato la bocca per impedirgli di rivelare gli ingredienti di un «complotto» internazionale. Oppure è stato liquidato da chi ha sospettato un tradimento, un regolamento di conti. Forestier — ricordiamolo — ha collaborato con gli inquirenti raccontando un pezzo di verità sull’operazione Mbaou. Ad oggi, però, la teoria è rimasta tale, gli inquirenti si sono astenuti dal fornire spunti concreti. La seconda traccia conduce a vicende con il coinvolgimento di società dell’Est Europa, delle ex repubbliche sovietiche, di imprese spericolate. Gli eventuali mandanti non hanno scrupoli, sono in grado di trovare soluzioni «definitive» servendosi di sicari. In ballo ci sono milioni. Ma a questa tesi si arriva per esclusione tenendo conto di cosa aveva fatto la vittima negli ultimi anni. Come si arriva per la stessa ragione alla vendetta corsa, infilata dentro per le amicizie della vittima, i commilitoni di un tempo arrivati dall’isola, frequentazioni di individui ambigui.
Quando non si hanno dati concreti si guarda a 360 gradi, consideri tutte le opzioni senza mai dimenticare le trappole disseminate per confondere le idee. La ricerca di una conclusione porta ad eventuali collegamenti con un caso quantomeno bizzarro. Nell’estate del 2020 la polizia francese annuncia di avere impedito l’uccisione di un’esperta di ipnosi. Chi ha commissionato l’agguato ha spiegato ai sicari che la donna era una agente del Mossad e l’operazione era autorizzata. Fantasie che però celano un presunto network dove appaiono militari, personaggi legati ai servizi, massoni, millantatori, elementi che camminano sull’orlo del precipizio. Finiscono per caderci loro stessi o ci spingono gli altri. Alcuni particolari sono così incredibili da somigliare alla parodia della Spectre, però vanno riletti con attenzione in quanto qualcuno è stato ammazzato. Davanti al magistrato c’è una «sporca dozzina» di indagati: uno di loro, sotto interrogatorio, cita Forestier mentre almeno un paio hanno frequentato il centro d’addestramento dove l’ex agente era stato assegnato come istruttore. Ed è sempre il passato che ritorna.
Quando Forestier sbarca all’aeroporto di Bolzano nell’ottobre 2018 non è più in servizio, secondo le fonti è già in congedo, però presenta un passaporto diplomatico e tutto ciò poche settimane dopo essere finito sotto inchiesta, messo sulla graticola. Da uomo esperto sapeva che avrebbe lasciato una traccia del passaggio italiano nei computer, non si è preoccupato forse perché aveva qualche garanzia. Se poteva ancora usare quel documento «forte» significa forse che non era ancora del tutto «fuori» dagli apparati. Stava operando con una doppia copertura? Un agente ancora operativo mascherato da «pensionato» e poi infiltrato? A cosa serviva la trasferta nel Sud Tirolo?
Vorremmo rispondere, però senza altri indizi è difficile scardinare l’enigma. Daniel aveva certamente segreti da proteggere e tra questi c’è la chiave del mistero.