Corriere della Sera - La Lettura
Le sorelle non si piegano al silenzio
Di
«Emily Brontë allungò la testa verso le scale e lanciò un richiamo: “Il ferro è caldo!”». Basta l’incipit, a questo singolare libro, per tirarci dentro con tutte le scarpe alla canonica di Haworth, Yorkshire occidentale, giorno 16, mese di luglio, anno 1846. In un anonimo villaggio nella brughiera, in una casa senza agi e chiaramente odiata dal destino, si creano le condizioni di uno di quei miracoli che capitano a volte in letteratura: non una ma tre straordinarie scrittrici, sorelle, ciascuna a modo suo chiamata a lasciare un segno nella storia del romanzo moderno. Le conosciamo così, in cucina: Charlotte che stira, Emily che impasta e Anne, la minore, che spolvera. Tre vite che Ángeles Caso, autrice spagnola attenta alla forza delle donne (con Controvento, storia della sua babysitter capoverdiana, ha vinto il premio Planeta), ha preso e meditato per farne un romanzo coraggioso (Tutto questo fuoco, tradotto da Claudia Tarolo per Marcos y Marcos) che le racconta dal di dentro, mischiando realtà e immaginazione perché — scrive — ritiene di averne «il dovere e anche il diritto, essendo il romanzo territorio della libertà».
Eccole allora, le Brontë: figlie povere e bruttine di un curato di campagna, destinate nel migliore dei casi a sposarsi e fare figli. Prenderanno un’altra strada. Fortunata per noi, che ne leggiamo i frutti, per loro chissà. Nelle vite delle sorelle, affiorano i loro romanzi: il collegio terribile dove le figlie maggiori del reverendo, Maria ed Elizabeth, si ammalano e muoiono torna in Jane Eyre, la passione di Emily per i racconti di spiriti della brughiera fa da humus per Cime tempestose. Su come il miracolo letterario sia stato possibile, Ángeles Caso prova a fare qualche ipotesi: la madre dei sei ragazzi Brontë (cinque femmine e un maschio, allevato per essere un genio e finito alcolizzato) muore presto. Cresciute da un padre vedovo e colto che, finché sono bambine, le lascia libere di vagare e giocare a nascondino nella brughiera e di leggere autori poco adatti alle fanciulle (Shakespeare, per dire), le sorelle risultano un po’ fuori dai canoni della brava sposa vittoriana. Nessuna ribellione ante litteram: Emily, solitaria e selvatica, è la meno inquadrata delle tre (e la più geniale), ma nessuna fa colpi di testa. Figlie della propria epoca, le Brontë vivono un dissidio forte tra il loro mondo interiore — un fuoco creativo affinato nelle lunghe sere casalinghe passate tra fratelli a scrivere di mondi immaginari — e quello di fuori. Loro, zitelle senza sostanze, costrette a insegnare nelle case dei ricchi, a nascondere i manoscritti nei materassi, a celarsi dietro nomi maschili. «Donne temerarie, donne peccatrici che rifiutano di piegarsi al silenzio».