Corriere della Sera - La Lettura
La poetessa nascosta dello Yorkshire
Si può dire che la poesia del Novecento abbia riconosciuto sé stessa anche e soprattutto attraverso la negazione dei sentimenti e delle passioni soggettive. In particolare tra gli anni Dieci e Trenta, un criterio largamente condiviso, e non solo dalle avanguardie ma più in genere dal grande alveo della cosiddetta lirica nuova, è stato non a caso quello dell’impersonalità, vale a dire di una ferma e quanto più possibile oggettiva determinazione della realtà esterna. Innumerevoli sono state ovviamente le vie di mezzo, le gradazioni, anche le eccezioni, ma è comunque difficile negare che nel complesso la poesia novecentesca si sia svolta, e molto decisamente, in direzione anti-romantica. Da questo punto di vista le poesie di Emily Brontë, che dalle tarde propaggini del Romanticismo a tutti gli effetti discendono, sembrano arrivarci come dal di là di una faglia che non è solo o tanto temporale, ma anzitutto mentale, perché riguarda insieme il modo di porsi in rapporto col mondo, di percepirlo, di rappresentarlo, e dunque una complessiva ideologia della realtà. Il Novecento storico, ormai a sua volta archiviato, ha lasciato comunque un bel segno.
Certo Emily è universalmente nota per il suo formidabile romanzo, Cime tempestose, che poi è la storia di una passione amorosa estrema e senza ritorno forse come nessun’altra. Chi tra i suoi lettori non è rimasto turbato, se non intimorito, dall’amore inaudito e terrificante tra Catherine e Heathcliff? Di certo ne rimase impressionato il nostro Beppe Fenoglio, che s’immedesimò in profondità e durevolmente col suo tenebroso protagonista. Ma è vero che Cime tempestose è fatto della stessa pasta delle tante poesie che Emily ha composto nella sua breve vita (1818-1848), che col romanzo condividono lo strazio, l’oscurità, la dismisura del sentire e, in sostanza, la natura estremistica della stessa ispirazione poetica. Lo ha messo bene in chiaro Silvio Raffo introducendo La musa tempestosa, raccolta di quasi tutta l’opera in versi della più celebre delle sorelle Brontë, che aveva curato e tradotto dall’inglese per il «Corriere della Sera» nel 2012 e ora riproposta da Interno Poesia: «La sostanza del suo capolavoro in prosa è intimamente e profondamente lirica: l’idealizzazione del sentimento amoroso e la trasfigurazione del paesaggio naturale sono le stesse componenti che troviamo alle radici della grande poesia romantica, da Hölderlin a Coleridge, da Goethe a Wordsworth». Sono esattamente gli ingredienti che hanno danno adito anche alla sua poesia.
Un «canzoniere segreto», così lo definisce il curatore del volume, visto che l’autrice non aveva previsto la pubblicazione delle sue poesie. Prendono il via dal 1836, quando Emily era giovanissima, e nell’insieme testimoniano un progressivo inaridimento delle speranze riguardo alla vita terrena e, parallelamente, un approfondimento di quella vocazione visionaria e metafisica, o più propriamente mistica, che nei suoi versi è comunque riconoscibile fin dal principio. Ecco, ad esempio: «Sono più felice quando più lontana;/ porto l’anima via dalla sua argilla/ nella notte di vento, quando brilla/ la luna e l’occhio vaga nella luce». La non corrispondenza e, anzi, la smentita reciproca tra sogni, speranze, desideri da una parte e la realtà dall’altra: esiste un motivo più propriamente romantico di questo? E per di più qui lo si trova intrecciato con altri motivi e situazioni affini, tutti ugualmente portati all’estremo: la solitudine sentita come una condanna e insieme come uno stato d’elezione, l’identificazione tra il paesaggio interiore e quello esterno, che diviene così lo specchio degli occhi che lo illuminano e che gli danno forma (è per lo più la brughiera dello Yorkshire natale, la stessa del romanzo: cupa e ventosa, notturna e un po’ ostile, cioè appunto «tempestosa», che nelle poesie non si distingue più di tanto da una disposizione psichica ed emotiva), quindi l’affidamento assoluto all’immaginazione col suo potere più catartico che effettivamente salvifico. «Ma tu, sempre presente qui al mio fianco,/ la visione errabonda riconduci/ rigeneri la spenta primavera/ e trai più dolce Vita dalla Morte./ Tu mi sussurri con divina voce/ di mondi veri come il tuo splendenti», scrive in una lirica intitolata appunto All’immaginazione.
Com’è stato più volte notato, in questi versi si respira qualcosa della poesia dell’altra e più importante Emily, almeno dal punto di vista dell’arte poetica, ovvero Emily Dickinson, che non a caso fu una sua ammiratrice convintissima. Alla notizia della sua scomparsa avrebbe infatti scritto, come ancora ci ricorda il curatore del volume: «Oggi, 19 dicembre 1848, è morta la “gigantesca” Emily Brontë».