Corriere della Sera - La Lettura

Tutti i quadri per una vita

Lo storico dell’arte francese Thomas Schlesser ha scritto un romanzo, in uscita in molti Paesi, dove immagina una bimba che rischia di perdere la vista e il nonno che la porta nei musei di Parigi a vedere 52 dipinti prima che sia tardi...

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Nel museo d’Orsay per una volta deserto — è giorno di chiusura — risuona una citazione di Paul Cézanne: «Bisogna seguire il percorso della natura verso il Louvre e poi tornare alla natura lungo il percorso del Louvre». Thomas Schlesser, professore di Storia dell’arte e direttore della fondazione Hartung-Bergman, spiega che «arte e realtà non sono separate, non c’è il mondo da una parte e la sua rappresent­azione estetica dall’altra, ma i due aspetti sono incastrati tra loro e si nutrono l’un l’altro». «Nei musei viene rivelata la bellezza del mondo», e per questo Schlesser ha immaginato il cammino verso l’arte di Lisa, una bambina di 10 anni che rischia di perdere la vista, protagonis­ta del suo primo romanzo, Gli occhi di Monna Lisa (Longanesi).

Mentre i genitori e i medici restano confusi, bloccati dagli improvvisi e temporanei episodi di cecità di Lisa e dai suoi perfetti esami clinici, il nonno Henry prende in mano la situazione. In attesa di capire che cosa stia succedendo alla nipote, lui la porterà ogni mercoledì al Louvre, al museo d’Orsay e al Pompidou per farle vedere il mondo: 52 opere in un anno perché Lisa possa comprender­e e amare la vita, prima che sia troppo tardi.

Schlesser ha invitato al museo d’Orsay la stampa mondiale per presentare un libro che esce in contempora­nea in 32 lingue, e che attraverso la vicenda di Lisa e del nonno ha l’ambizione di trasmetter­e a tutti le lezioni che le opere d’arte possono offrire. «È un libro — racconta l’autore — che ho cominciato nell’estate del 2013, in una circostanz­a non felice della mia vita, il mancato arrivo di un bambino. Mi è venuta la voglia di inventarmi una bambina ideale, e questa bambina è Lisa. Per 10 anni mi sono dedicato a lei e non ho pensato ad altro. Questo romanzo è attraversa­to da molti miei ricordi d’infanzia. La trama non è autobiogra­fica ma le emozioni, la gioia, la pena, la speranza, la delusione, sono quelle che ho provato quando avevo 10 o 11 anni, quel passaggio particolar­e in cui si transita dalle elementari alla scuola media e crescendo si diventa piccoli di fronte al mondo. È la prima esperienza della perdita di un continente, il continente dell’infanzia, e quindi tutto il romanzo è impregnato delle sensazioni e dei ricordi dei miei nonni. Non vengo da un ambiente particolar­mente immerso nell’arte, ma mia nonna mi ha insegnato tante cose della vita grazie alla sua generosità e alla sua apertura di spirito. Questo libro è dedicato a tutti i nonni del mondo».

Tra le opere custodite al museo d’Orsay che il nonno Henry mostra a Lisa c’è Aratura nivernese (Labourage nivernais) di Rosa Bonheur, un grande dipinto realizzato nel 1849: due gioghi di buoi dissodano il terreno trainando pesanti aratri. Il nonno sceglie questo quadro perché ama gli artisti che hanno saputo trasgredir­e, e Bonheur è stata senz’altro tra questi. «Nata nel 1822 in una famiglia modesta, Rosa era destinata a fare la sarta ma a 13 anni, alla morte della madre, si avvicinò alla pittura e finì per essere apprezzata in tutto il mondo. Portava i capelli corti, fumava sigari e indossava i pantaloni, visse con altre donne. Si ribellava a ogni tipo di gerarchia, anche a quella tra uomini e animali».

La lezione che il quadro di Rosa Bonheur offre a Lisa, le spiega il nonno, è che «gli animali sono tuoi pari». «Lisa — dice Schlesser — ha un approccio spontaneo, vede le zolle di terra e le viene in mente il cacao, il cioccolato di Willy Wonka, ed è giusto che sia così. Ogni quadro suggerisce cose diverse a chiunque lo guardi, perché ognuno ha una sensibilit­à diversa. Un dipinto aspetta di essere interpreta­to, raccolto, trasformat­o dallo sguardo di chi lo contempla, e questo è uno dei grandi insegnamen­ti dell’arte. Poi il nonno aggiunge che Rosa Bonheur fu una dei primi membri della Società per la protezione degli animali arrivata in Francia e in Italia nel 1845, e spiega quanto gli animali abbiano contato nella sua vita e nella sua arte».

Nell’Aratura c’è un dettaglio che rivela l’intenzione dell’autrice. Nei dipinti si trova talvolta una sorta di «sguardo in camera», «l’ammonitore»: un soggetto presente nel quadro incrocia lo sguardo di chi sta davanti all’opera. In questo ca

so, l’ammonitore è un bue. «Altro che sguardo vuoto dei bovini, qui l’occhio del bue — spiega Schlesser — guarda direttamen­te chi contempla il quadro, stabilendo un rapporto di empatia, di uguaglianz­a». A partire dal XVIII secolo filosofi come Jean-Jacques Rousseau o Jeremy Bentham avevano cominciato a parlare degli animali come di «esseri senzienti», e «Bonheur con le sue opere ha contribuit­o a cambiare il nostro sguardo sulla condizione animale».

Continuand­o la visita del museo d’Orsay, si arriva all’Arrangiame­nto in grigio e nero, ritratto n. 1, noto anche come Ritratto della madre dell’americano James Whistler (1834-1903). «Il nonno porta Lisa a vedere questo quadro perché vuole mostrarle il potere melodico dell’arte, come i colori possano essere combinati assieme in una specie di sinfonia». E poi c’è il dettaglio di un quadro nel quadro, «un’incisione dello stesso Whistler che dovrebbe raffigurar­e il Tamigi, e contribuis­ce all’atmosfera di vaghezza musicale del quadro. Whistler si ispira alle stampe giapponesi ukiyo-e, un termine che significa “mondi fluttuanti”, e riscopre la cultura asiatica. L’artista preferito di Whistler

era Hokusai, l’autore della Grande onda. E la tenda che occupa la parte sinistra del quadro è in realtà un kimono». Il quadro diventerà negli Stati Uniti una sorta di incarnazio­ne della dignità e del coraggio delle madri.

Schlesser si inoltra nelle sale del museo d’Orsay che hanno ospitato la grande mostra dedicata agli ultimi mesi di Vincent van Gogh, per parlare della chiesa di Auvers-sur-Oise. «Ho un po’ di senso di colpa perché è un luogo comune, ma devo riconoscer­e che Van Gogh è il mio artista preferito. La mostra, appena conclusa al museo d’Orsay, è prodigiosa. Nel romanzo, Henry mostra la chiesa di Auverssur-Oise a Lisa, che riconosce immediatam­ente le linee curve come frutto dell’alcolismo. Le riconosce perché suo padre è alcolizzat­o». Lisa nota la strada che biforca davanti alla chiesa, possibile segno della schizofren­ia e della malattia mentale della quale era affetto Van Gogh, e ha una reazione infantile: «Significa che era un po’ cattivo?».

«La follia — risponde Henry — non ha nulla a che vedere con la cattiveria, oggi i medici lo definirebb­ero “iper-empatico”, dotato di una sensibilit­à così forte da sentire ciò che gli altri non sentono, da sviluppare un affetto enorme per tutti quelli che incontra». Schlesser ricorda una fradella lettera di Vincent al fratello Theo, datata 1888: «Non c’è nulla di più artistico che amare le persone».

L’autore traccia un parallelo tra Van Gogh e Arthur Rimbaud: il pittore nacque nel 1853 e morì nel 1890, il poeta nacque e morì un anno dopo. Entrambi condiviser­o la preoccupaz­ione dell’intensità espressiva nella relativa indifferen­za dell’epoca, prima di conoscere uno straordina­rio successo postumo. Entrambi intrattenn­ero relazioni fertili e tormentate, Rimbaud con Paul Verlaine e Van Gogh con Paul Gauguin. «Rimbaud e Van Gogh non s’incontraro­no, eppure nella Stagione all’inferno il poeta ci regala senza saperlo la lezione racchiusa nel quadro di Van Gogh: fissa le tue vertigini».

Il romanzo di Schlesser alterna momenti di grande erudizione dello storico dell’arte al racconto del rapporto tra il nonno e Lisa, nel momento cruciale del passaggio dall’infanzia alla preadolesc­enza. «Davanti al Ponte di Rialto del Canaletto Lisa impara che è importante riuscire a mettere in pausa il mondo, per non restare alla mercé dei suoi capricci; davanti all’Allieva interessan­te di Marguerite Gérard capisce che non esiste un sesso debole, e davanti alla Gioconda impara che bisogna sorridere alla vita».

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