Corriere della Sera - La Lettura
La musica chiusa in una cassetta è libera
Sonoro ha trasformato società e consumi culturali: il libro di Marc Masters
Nel 1963 la Philips lancia sul mercato la «cassetta compatta» (vent’anni dopo, quando brevetterà il cd, userà lo stesso aggettivo, compact, per accattivarsi la sterminata platea dei consumatori di musicassette). Nel 1981 la British Phonographic Industry promuove un’allarmata campagna mediatica con il motto Home taping is killing music,
«la registrazione domestica sta uccidendo la musica». E la registrazione domestica, senza dubbio, era dovuta alla diffusione della cassetta. Quell’anno l’associazione delle industrie fonografiche britanniche stimò la perdita di introiti, dovuta alla duplicazione casalinga dei dischi, in più di 300 milioni di sterline.
In meno di vent’anni, insomma, un piccolo oggetto di plastica apparentemente innocuo aveva rivoluzionato il modo di intendere la musica, non solo grazie alla sua riproducibilità sostanzialmente gratuita, ma anche alla possibilità di manipolare creativamente le sequenze dei brani di un Lp, costruendo messaggi sonori d’amore e di amicizia. Come ha scritto il saggista sino-americano Hua Hsu, «la cassetta inaugurò un’era in cui divenne possibile controllare il paesaggio sonoro privato». E questo controllo poteva essere percepito anche come gesto politico: secondo il critico Rob Sheffield, «quando imprimi una canzone su un nastro, la liberi». Di tutto ciò, e di molto altro, racconta Bassa fedeltà. Storia distorta dell’audiocassetta di Marc Masters tradotto da Marilena Inguì (Odoya, pp. 264, e 20): giusta valorizzazione di un supporto troppo trascurato dalle storie della musica.
Anche Masters lo osserva da una prospettiva forse troppo unilaterale, quella della controcultura statunitense che dà vita tanto all’hip-hop quanto alla mail art; considera poco, per esempio, la gigantesca «liberazione» musicale che la cassetta promosse nei Paesi del postcolonialismo, determinando quella nascita di generi ibridati che alla fine accese la fiamma (fin troppo gestita dall’industria) della cosiddetta World Music.