Corriere della Sera - La Lettura
L’anonima sequestri è finzione o realtà?
Alcuni giovani si improvvisano banditi per promuovere la Sardegna. Il regista Leonardo Tomasi: «Ribaltiamo stereotipi»
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Leonardo Tomasi (Cagliari, 1996; qui sopra) si occupa di teatro e video. Si è formato con diversi workshop e programmi a cura di Laika, theatre of senses (presso Ert Fondazione), Idra Factory, Frosini/Timpano, Fratelli Dalla Via. Ha partecipato a programmi di residenze creative come R-Evolution e DeStructura, e porta avanti una ricerca sulle strutture ludiche applicate alle arti performative. Il suo ultimo lavoro, Kebab, ha vinto la residenza Idra Factory e ha debuttato presso il Wonderland Festival 2022 Lo spettacolo Anonimasequestri di Tomasi si è aggiudicato il Premio Scenario 2023. Lo spettacolo è in scena al TenTeatro Eliseo di Nuoro fino al 21 febbraio, a Teatri di Vita di Bologna (24 e 25 febbraio), al Teatro Magnolfi di Prato (27 febbraio-3 marzo) e allo Spazio Bunker di Sassari il 5 maggio. Nel cast: Federico Giaime Nonnis, Daniele Podda, Tomasi e un ostaggio. Nella foto di Malì Erotico, da sinistra: Tomasi, Giaime Nonnis, Podda e l’ostaggio (la cui identità non può essere svelata)
La Sardegna dipinta dalla scrittrice Michela Murgia è l’isola «dove ogni spazio apparentemente conquistato nasconde un oltre che non si fa mai cogliere immediatamente, conservando la misteriosa verginità delle cose solo sfiorate». La Sardegna descritta dai narratori e dai viaggiatori europei è dunque un territorio magico e demoniaco, selvaggio e misterioso, luogo di visioni, soglia dell’ignoto. È anche l’isola dei s’ard, che nell’antica lingua significa «danzatori delle stelle», i quali ci hanno accostato a questa terra che sa di bellezza e di aspro, di mare e di pietre: pietre parole, pietre monumenti, pietre costruzioni, pietre giganti, ma anche di difficile situazione sociale ed economica in alcune sue zone, di rapimenti, di riscatti, di miniere, di fucili.
Qui un gruppo di lavoro ha fatto nascere anonimasequestri, un progettospettacolo completamente sardo e under 35. Un regista (Leonardo Tomasi), una dramaturg (Sonia Soro), due attori performer (Daniele Podda e Federico Giaime Nonnis) agiscono in sala e in scena, abitando la struttura drammaturgica e arredandola con le loro testimonianze biografiche e sensibilità poetiche per uno spettacolo composito. «Un po’ sagra di paese, un po’ casting call, un po’ commedia dialettale, un po’ teatro documentario — specifica Tomasi — anonimasequestri è una richiesta di riscatto, un sequestro nel quale non si capisce più chi è sequestrato e chi è sequestratore, una disperata richiesta di soccorso nella speranza che qualcuno ci risponda e venga a dirci chi siamo».
In scena (fino al 21 febbraio al Ten di Nuoro poi a Bologna e Prato) c’è un lungo e disordinato tavolo, pieno di cavi, corde, bottiglie di birra Ichnusa, salame e fotografie segnaletiche. Attorno al tavolo si muovono i performer. Sullo sfondo siede una figura incappucciata. Gli attori cercano il ruolo giusto per loro, arrabattandosi tra provini per fiction e film turistici. A filmarli, tramite una telecamera che proietta in presa diretta sul fondale della scena, c’è il regista.
«Ossessionati dal voler parlare di Sardegna — prosegue Tomasi — iniziano a fingersi banditi. Ma cosa succede, quando il ruolo che scegliamo nella vita diventa preponderante rispetto alla nostra identità?». Sulle ali di un tortuoso senso identitario e un ingombrante orgoglio, «l’associazione culturale a delinquere», riscuote un buon successo.
«L’isola è spesso raccontata, da dentro e da fuori, come un luogo dal fascino stereotipato, attraverso figure e topos che risultano, però, inadeguati — puntualizza il regista —. Allora abbiamo usato gli stereotipi, li abbiamo ribaltati, usati come petardi, come minacce, come archetipi».
I banditi provano battute, studiano piantine, organizzano il prossimo sequestro di persona, aiutati da un pubblico complice e sequestrato. «La tavola — prosegue Tomasi — diviene metafora di un’anonima sequestri, un vincolo al quale rimanere legati, un luogo nel quale possono sentirsi rappresentati e al quale sempre fanno ritorno. L’abbiamo lasciato disordinato volontariamente, come i palazzoni mai finiti, in quello che, ironicamente, viene chiamato “non-finitosardo”, come se fosse uno stile architettonico, una corrente artistica di luoghi in potenza e mai in atto costruiti».
E il pubblico? «È sequestrato per permettergli di partecipare al gioco, di fare da mediatore, testimone, carceriere, vittima, mandante; perché ci interessa che chi guarda si metta in discussione, giochi con noi al gioco dei nomi, partecipi al casting. Però il gioco si interrompe sempre sul più bello: nello spettacolo il pubblico non verrà mai fisicamente legato, non parlerà mai, non verrà mai intervistato. Ma vuol dire davvero che non è coinvolto?».
Sardegna è un’isola il cui mare è frontiera che crea incontri e non confine che separa, e che richiama irrimediabilmente chi vi è nato e chi l’ha conosciuta bene, conclude il regista. «Forse siamo vittime della “Sindrome di Sardegna”, dove a differenza di quella svedese, il sequestrato si affeziona al luogo, anziché al carceriere. E il luogo violento, dei dolci senza crema, dell’educazione sardo-siberiana, della vuota provincia, diventa la terra romantica alla quale fare ritorno».