Corriere della Sera - La Lettura
Così Firenze scrive i suoi scrittori
Ma certo che aveva ragione Giorgio Manganelli a dire che «Firenze è una nevrosi perfetta», perché questa è una città avvolta nella scrittura, innervata dalle inquietudini di chi ci ha vissuto e l’ha raccontata. O che da qua è scappato. Passeggiare per il centro storico, ad esempio, è camminare tra le terzine di Dante: 33 lapidi — apposte dal Comune su diversi edifici — ne narrano la sua visione. Il suo essere paradiso, purgatorio, inferno. Un mondo immaginifico e altrettanto reale cantato dal sommo poeta che la tradizione (tutta fiorentina) ha voluto far nascere e crescere in via Santa Margherita 1, «battezzata» sua casa natale.
Cartina alla mano, gli indirizzi delle case degli scrittori paiono assurgere a indizi artistici più che a spazi reali. Ma reale è la Stazione Leopolda che dal 23 al 25 febbraio ospiterà autori anche internazionali per Testo, il festival organizzato da Pitti Immagine. Per capire la geografia sentimentale di chi, nell’Ottocento e nel Novecento, ha vissuto e scritto da queste parti, da John Milton a Eugenio Montale, bisogna puntare lo sguardo sulle loro abitazioni, copia fedele della natura della città. Che molto spesso dichiara la sua magnificenza e troppo spesso la dimentica o, peggio, la snobba. In molti casi Palazzo Vecchio, cioè il Comune, ha sì apposto una targa a ricordare la casa natale di un autore — basta andare in via dei Magazzini 2 e vedere dove ha vissuto Vasco Pratolini per capire buona parte della sua sensibilità umana, la stessa che si trova in Cronache di poveri amanti — ma molto spesso non c’è traccia neppure dei loro passaggi in città: Aldo Palazzeschi è nato in piazza Pitti 22, Franco Fortini in piazza della Molina 1, Mario Luzi in via Galbani 3. Nessuna targa che segnali le case dove sono cresciuti due autori che in Italia sono stati i primi scrittori dichiarata
mente omosessuali: Piero Santi, autore di Ombre rosse, ha vissuto in via delle Cinque Giornate 27 mentre Carlo Coccioli, che racconta i suoi turbamenti fiorentini in Fabrizio Lupo racconta, è nato in via Pietrapiana 18.
La mappa delle case degli scrittori è una cartografia affascinante da conoscere, e una buona parte è censita da Andrea Cecconi ne Le case della memoria. Un itinerario letterario nella Firenze del ’900 (Pagnini editore, 2009). È un modo per incrociare l’Oltrarno, le vie e le piazze del centro. Di dirigersi, ad esempio, al Giardino di Boboli sapendo però che in piazza Pitti — lo dice una targa — Fëdor Michajlovic Dostoevskij, nato a Mosca nel 1821, ha scritto L’idiota, mentre tra il 1943 e il 1945 Carlo Levi ha trovato rifugio, al civico 14, da Annamaria Ichino. Una targa ricorda che, tra quelle mura, l’autore torinese ha scritto Cristo si è fermato a Eboli e ha continuato a dipingere: c’è un ritratto bellissimo di lui e di Antonio Delfini, uno dei più grandi scrittori irregolari del Novecento (è suo un gioiello come Il fanalino della Battimonda), che a sua volta ha abitato in città a più riprese e in più case. Anche in via Solferino 31, a due passi dall’attuale consolato americano.
Se si attraversa Ponte Vecchio, come fecero a suo tempo Levi e Delfini, si finisce più o meno dritti al mercato del Porcellino: una targa ricorda che Hans Christian Andersen rimase talmente affascinato da Firenze e dalla statua dell’animale che decise di dedicargli una delle sue celebri fiabe, intitolata Il porcellino di bronzo. «Firenze è un intero libro illustrato», disse l’autore danese. Può capitare, come in ogni libro, di trovarci un refuso: il caso riguarda la coppia Robert ed Elizabeth Barrett Browning. In piazza San Felice 8 una targa ricorda la poetessa inglese. Lo scultore — in questo caso non si sa se per sbaglio oppure per espressa indicazione di Niccolò Tommaseo che redige il testo della targa e che forse può aver italianizzato il cognome — scrive il cognome della donna con una T di meno: non Barrett, bensì Barret.
In via Tornabuoni ha invece abitato George Eliot, pseudonimo di Mary Anne Evans, una delle scrittrici più rappresentative dell’età vittoriana: una targa ricorda il suo soggiorno in città nel 1860. Ma di autrici come Anna Banfi, che pure qua ha vissuto, non c’è traccia. E dire che Alberto Arbasino ricorda di Banfi aneddoti meravigliosi come quando «Gadda fu irremovibile nel non permettere che una signora in bicicletta non tornasse a casa da sola. Così la accompagnò a piedi dalle Giubbe Rosse fino a casa, malgrado le insistenze di lei con la bicicletta in mano».
Firenze è un dedalo di scritture e di modi di vivere: padroneggiare questo indirizzario — una sorta di guida destinata agli ossessionati della letteratura e della poesia — porta quasi automaticamente a capire come mai Vincenzo Cardarelli ne Il sole a picco scrivesse del suono delle campane della città. Un suono arcaico che svettava sui tetti delle abitazioni scelte dall’autore.
Se la mappa — in mancanza di targhe che indichino le «case della scrittura» — rischia di essere una caccia al tesoro «bendata», è anche vero che nel capoluogo toscano si assommano bellezze di ogni genere: districarsi tra scultura, architettura, pittura, produzione narrativa è un’impresa. Ha quindi perfettamente ragione Federica Maria Giuliani, assessore alla toponomastica del Comune di Firenze, a dire: «La verità è che abbiamo tanto di tutto che diventa poi complicato fare qualcosa. La richiesta delle targhe da apporre sulle case arriva dai privati o dal Comune stesso ma l’iter non è così piano: è vincolato alle autorizzazioni della Soprintendenza e alla Prefettura». Proprio nell’attuale sede secondaria della Prefettura, in via Giacomini 4, c’era una casa — poi distrutta durante la Seconda guerra mondiale — che ha ospitato alcuni dei più grandi autori triestini: Scipio Slataper, i fratelli Carlo e Giani Stuparich. «Svelti salivamo a casa sua, cioè dalla sora Beppa. Si faceva pianino per non svegliare la padrona, che dormiva dietro un paravento (…). Le stanze erano tutte occupate e silenziose», scrive Giani Stuparich ricordando il freddo della notte che veniva combattuto «da un caminetto annerito».
In altra epoca — siamo nel Cinquecento — le solite assonanze letterarie e politiche si trovano plasticamente rappresentate nelle targhe che si trovano in via Guicciardini: al numero 16 c’è quella dedicata a Niccolò Machiavelli, l’autore del Principe, mentre su Palazzo Guicciardini svetta quella in onore di Francesco, appunto, Guicciardini, autore de La storia d’Italia.
Gli indirizzi di scrittori e scrittrici sembrano una stratificazione di parole e di idee. Sapere dove hanno vissuto, immaginarli in un’epoca nella quale ancora le abitazioni facevano i quartieri della città: erano case che ne definivano l’identità, avviata a smarrirsi visto che qualsiasi stanza a Firenze rischia di essere trasformata in B&B per turisti. Passeggiare tra questi indirizzi, andare a caccia degli angoli descritti nelle pagine dei romanzi cadenza anche un modo di guardare alla città come spesso non ci si concede di fare. Firenze non era soltanto una città amata dagli autori ma una maniera di essere, una via per trovare uno stile che tenesse assieme l’inquietudine e la quotidianità, l’urlo del fruttivendolo e la luce del primo mattino che spadroneggiava sul Cupolone, l’ansia di vita in una città che «è una nevrosi perfetta».
La città è da tanti secoli il crocevia di autrici e autori: la loro memoria è incisa anche sulle loro case, come rivela la mappa che pubblichiamo nelle prossime pagine. E oggi l’avventura non è finita, come mostreranno tre giorni di eventi editoriali e letterari