Corriere della Sera - La Lettura
L’Africa ferita guarisce l’anima
C’è una data al centro del romanzo di Elena Rausa: il 3 ottobre. Quel giorno, nel 1935, l’Etiopia venne invasa dall’Italia e quel giorno, nel 2013, a Lampedusa morirono 368 migranti. Passato e presente confluiscono, e le donne dettano la rotta
Con il suo terzo romanzo, Le invisibili, Elena Rausa torna su temi a lei consueti (l’impatto della storia sui singoli, i legami parentali, il senso di colpa, l’esclusione) e li proietta in stagioni diverse, fra l’invasione coloniale in Etiopia e un oggi assestato fra il 2018 e il 2019, intorno a due famiglie e a due poli: la condizione delle donne, vittime della storia che si abbatte violenta sui loro corpi mentre gli altri voltano lo sguardo, condannandole all’invisibilità evocata nel titolo, e la data ricorrente del 3 ottobre, che collega esistenze solo apparentemente lontane, in virtù di una casualità dai risvolti imprevedibili, filo che cuce passato e presente, pubblico e privato e s’avviluppa ossessivamente intorno alla vicenda.
Protagonista della prima parte è Vittorio Gargano, partito in cerca di fortuna per l’Etiopia, invasa il 3 ottobre 1935 dall’Italia. Nel febbraio 1937, a seguito dell’attentato al viceré, i soldati italiani, imbevuti di pregiudizi razziali alimentati dal fascismo, scatenano in Addis Abeba una barbarica rappresaglia. Nella devastazione, Vittorio scopre il cadavere dell’uomo presso cui è ospite e in preda alla rabbia uccide il connazionale che ne ha appena stuprato la figlia Ekelé, vendicando la ragazzina ma consegnandosi a una vita segnata dal rimorso. Quella duplice violenza, collettiva e individuale, innesca un meccanismo destinato a ripercuotersi nei decenni successivi, avvolto nell’oblio voluto dall’Italia repubblicana e dal silenzio di Vittorio che, pur più volte sul punto di costituirsi, porta quel segreto con sé fino a quando, prossimo alla fine, lo consegna come ultima, amara eredità all’unico figlio. Ora, a 75 anni, Arturo lo condivide con Tobia, un sedicenne taciturno e solitario che presso l’anziano sconta una condanna ai lavori socialmente utili per aver assistito, in complice silenzio nella tarda sera del 3 ottobre 2018, al tentato incendio di un negozio gestito da extracomunitari, imbrattato con scritte razziste.
A poco a poco, dopo l’iniziale, reciproca diffidenza, le distanze fra Arturo e Tobia, figlio di genitori separati, messo a conoscenza di una sorellina a nascita avvenuta, compone musica al computer e subisce le prepotenze dei coetanei fin da quando era piccolo, si accorciano. E intanto il romanzo si fa corale, si popola di personaggi per lo più femminili, legati dalla sorte e da intime consonanze, in cerca di pace e verità, capaci di un coraggio degno di «essere preso sul serio» a dispetto degli uomini: Fatima, arrivata dall’Africa nel 1991, infermiera professionale in un hospice dove prepara le salme per l’aldilà, cui è toccato di riconoscere il cadavere della sorella naufragata durante il viaggio verso l’Italia anni dopo di lei, accudisce per scelta Arturo, ama fare del crede nella terra ed entra con delicatezza e decisione nella vita di Tobia e della madre di lui Agata, che lavora in un Istituto di ricerche storiche, è ossessionata dalla morte di 368 migranti nel naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, nelle cui acque suo figlio ha imparato a nuotare, e fra le carte di un convegno scopre la presenza del nonno paterno, ostinatamente taciuta dai genitori, fra i soldati del plotone chimico responsabile dell’uso dell’iprite in Etiopia; Lilit, la giovane etiope amata e abbandonata da Arturo, che ora ne percepisce la presenza e le parole fra le pareti di casa; Mira, figlia della domestica dei genitori di Agata, accolta per riparare al male, che realizza reportage di denuncia; Feven, la proprietaria del negozio vandalizzato, frequentato dalla stessa Agata: con la sua laurea in Agronomia, in Italia si è dovuta reinventare una vita messa troppo spesso alla prova dal pregiudizio razziale. E, ancora, il padre di Tobia, che ha una nuova compagna ma è ancora legato all’ex moglie; Yu e Sara, gli unici amici del ragazzo, Dawit, il figlio di Ekelé cresciuto con Arturo finché l’età adulta non li ha separati. E mentre gli uomini fanno i conti con i rimorsi, le donne riannodano i fili e a guardare avanti, lottano per garantire ai figli un futuro diverso, forniscono chiavi di lettura che ribalbene, tano ruoli predefiniti, coltivano la forza e la speranza in un mondo in cui ancora scontano un passato di prevaricazioni, svolgono i lavori umili di chi non ha studiato o ha frequentato scuole non riconosciute fuori dal loro Paese ma recano in sé una saggezza pacata e profonda, portatrici di un senso più alto e più nobile rispetto a quello declinato al maschile.
Con una pluralità di voci e uno stile chirurgico, sia quando restituisce il dato storico che tanta parte occupa nelle pagine del romanzo, sia quando affonda il coltello nell’interiorità dei personaggi, Elena Rausa indaga l’urgenza delle scelte, il pregiudizio razziale e di genere, il desiderio di omologazione, il peso dei silenzi, getta un ponte fra passato e presente attraverso le generazioni. E tesse un inno al racconto, che si fa testimonianza e denuncia, e offre il solo, autentico spiraglio di riscatto.