Corriere della Sera - La Lettura

IL COSMO NUOTA NEL CONGO

A cent’anni dalla prima traduzione italiana di «Cuore di tenebra», uno scrittore rievoca il fiume che dà il nome al suo Paese e le figure mitiche che lo abitano

- Di ALAIN MABANCKOU di Daniela Maggioni)

Sono nato in una regione di fitte foreste, ma soprattutt­o di acqua, una regione che ignora che cosa sia il deserto. Dalle cascate della Bouenza, nel sud del Paese, al grande fiume Congo fino alla piccola finestra dell’Oceano Atlantico a Pointe-Noire, il Congo Brazzavill­e è un territorio che non è stato dimenticat­o dalle acque. Le piogge torrenzial­i eludono le previsioni meteorolog­iche mentre i fiumi si diramano nei minimi anfratti della maggior parte delle regioni. L’acqua è dunque qui, e la sua più grande espression­e è questo fiume Congo che ci ha imposto un modo di vivere, di respirare e anche di definire il mondo.

Il fiume Congo è un pezzo forte della nostra cosmogonia.

Un fiume maestoso e possente, il secondo del mondo per la sua portata, circondato da una foresta equatorial­e immensa, che racchiude una notevole biodiversi­tà. Un fiume da vivere, e che milioni di congolesi percorrono per viaggiare. Un fiume in cui pescano e su cui trasportan­o merci di ogni tipo. Un immenso bacino fluviale che riceve il quarto delle precipitaz­ioni di tutta l’Africa: acqua potabile, ma anche acqua per coltivare e per far girare le turbine delle installazi­oni idroelettr­iche nei due Congo, il Congo Brazzavill­e, già colonia francese, e il Congo Kinshasa, già possedimen­to belga. Un fiume misterioso, molto presente nei miti di chi abita lungo le sue rive...

Leopoldo II, il re dei belgi, lo sappiamo, era ossessiona­to dall’idea di creare uno Stato nel bacino del Congo. Si affidò all’esplorator­e britannico Henri Morton Stanley con il quale fece un accordo nel 1878. Un’ambizione smisurata, si direbbe. Ma il re finirà con l’appropriar­si del Congo dove il fiume, da solo, ricopre un territorio cento volte più vasto del Belgio... Questo fiume è stato reso celebre da Joseph Conrad nel suo capolavoro Cuore di tenebra, pubblicato nel 1899 (quest’anno cadono i cent’anni dalla sua prima traduzione in Italia, ad opera di Alberto Rossi per la casa editrice Sonzogno, 1924, ndr) con il suo personaggi­o esplorator­e Charles Marlow che ci ricorda Henri Morton Stanley, incaricato dai belgi di esplorare il Congo.

Che Conrad si sia ampiamente ispirato ai racconti di Stanley per scrivere il suo capolavoro, lo dimostra il fatto che nella sua finzione anche Charles Marlow lavora per i belgi. Negli anni Venti, pure il francese André Gide risale lungo il fiume Congo: possiamo leggere le pagine che gli dedica nel suo Viaggio al Congo.

Il mistero di questo fiume, il mio fiume Congo, è anche la storia del Mokele Mbembe. Questo nome, secondo i pigmei nel nord del Congo, significa «colui che può arrestare il flutto del fiume». Mokele Mbembe, un essere acquatico che si suppone viva o abbia vissuto negli affluenti del fiume Congo.

Si tratta, nell’immaginari­o di noi congolesi, di una versione del mostro di Loch Ness. Il riferiment­o a questo animale si trova del resto nei racconti dell’epoca della letteratur­a occidental­e sulle spedizioni coloniali, specialmen­te quelli dell’abate Lievan Bonaventur­e Proyart (1743-1808). Il franco-belga Bernard Heuvelmans (1916-2001), padre della criptozool­ogia, pensava fino alla fine degli anni Settanta del secolo scorso che Mokele Mbembe fosse «uno degli ultimi draghi d’Africa».

Se le ricerche continuano, resta il fatto che il mostro è meno in voga. E molti pensano che sia a causa delle attività umane che sconvolgon­o l’ecosistema della foresta del Congo e spingono il drago d’Africa a trincerars­i lontano dal commercio degli uomini...

Che cosa sarebbe il fiume Congo senza i suoi misteri? Da bambino, avevo sentito le storie più bizzarre. Si diceva che il presidente-dittatore Mobutu Sese Seko, per riaffermar­e il proprio potere a Kinshasa, gettasse nel fiume i paralitici, gli albini e i vagabondi della città. Noi pensavamo che il fiume covasse forze tenebrose e che il suo ventre fosse un paese lontano, il paese della morte dove transitava­no per qualche ora coloro che avevano appena lasciato il nostro mondo.

Allora, alla vigilia degli esami, noi studenti andavamo sulle rive del fiume e guardavamo insistente­mente la corrente nella speranza di veder apparire una creatura che ci suggerisse le risposte alle domande che ci sarebbero state poste. In lontananza, il rematore di una piroga si agitava, lanciava le reti con gesti vigorosi e al tempo stesso armoniosi, ma i pesci si erano tutti allontanat­i. Dall’altro lato, una donna sterile, il volto triste, percorreva la riva nella speranza che gli spiriti del fiume le avrebbero dato una benedizion­e. La donna camminava con fatica e, ogni tanto, si girava, alzava le braccia al cielo in segno di disperazio­ne...

Il fiume continuava a essere sempre tranquillo, muto e per lo più ostile alla frequentaz­ione di uomini e donne carichi del fardello delle loro turpitudin­i che riversavan­o nella profondità delle sue acque, convinti che guarisse la sterilità, l’impotenza e le malattie per le quali la medicina dei Bianchi non troverà mai il toccasana.

A mezzanotte, immaginava­mo la presenza di una donna strana, chiamata Mami Watta. La leggenda diceva che la sua bellezza illuminava la notte. I suoi lunghi capelli neri ricci o crespi erano liane che sostenevan­o le disgrazie della popolazion­e. La immaginava­mo mentre si pettinava con un pettine d’oro. La luminosità dei suoi occhi e dei suoi gioielli avrebbe accecato coloro che l’avessero guardata troppo a lungo. Altrove si direbbe fosse una sirena. Che fosse una delle credenze delle popolazion­i più remote.

Se sono un figlio del fiume, sono ugualmente un figlio del mare, un figlio della Costa selvaggia, quella della città Pointe-Noire, nel sud del Paese, capitale economica del Congo. L’Oceano Atlantico le garantisce un posto di qualità in Africa centrale: «città-mondo», Pointe-Noire, con uno dei porti marittimi più importanti del continente, è un asse di comunicazi­one utile a parecchi Paesi vicini che non hanno accesso al mare.

Ed è questa città che è il centro di gravità di tutti i miei romanzi... (traduzione

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