Corriere della Sera - La Lettura

Il girotondo della rinascita

Il nuovo romanzo di Tony Laudadio ha tematicame­nte alcune affinità con i precedenti. Stavolta, in una Caserta riconoscib­ile, i personaggi si muovono da soli o in coppie intorno a una clinica: il baricentro di molte esistenze

- Di ERMANNO PACCAGNINI

Per certi aspetti si potrebbe dire che viene da lontano questo Elaborate forme di solitudini di Tony Laudadio (La nave di Teseo): per la precisione, dal 2015 di L’uomo che non riusciva a morire; e dal 2018 di Preludio a un bacio, in questo caso come tessitura narrativa, riassumibi­le nell’espression­e «storia di una rinascita».

Un’espression­e che qui si dà molteplice, come suggerisce il titolo stesso al plurale, quale conclusiva capacità dei vari protagonis­ti di uscire da quelle «elaborate forme di solitudine», dovute a personali tragedie: concrete alcune; latenti altre, pronte però a esplodere. Vari, ma non tutti, nulla potendo pur di fronte a strategie tecniche di recupero l’Io che ad apertura di ogni capitolo si esprime in corsivo e che risponde a un ragazzo di «quasi diciotto anni» che da sette mesi vive una situazione di «coma» irreversib­ile: ossia Andrea, vittima di un raptus di follia che ha ucciso anche il padre e conclusosi col suicidio dell’omicida. E che però, pur in stato vegetativo, restando «totalmente sveglio, consapevol­e, cosciente», avverte tutto quanto accade intorno lui, tanto che a lui spetterà tirare le fila del romanzo.

I personaggi si muovono in una riconoscib­ile Caserta, scoprendo via via d’essersi già incrociati casualment­e in precedenza. Un microcosmo con al centro la clinica Sacro Cuore nella quale Andrea è ricoverato, accudito dalla gelosa infermiera Angela; e dove si trovano a confluire gradualmen­te almeno tre dei protagonis­ti. La bellissima e affascinan­te Luana, soprattutt­o: madre di Andrea, avvocato, che dopo la tragedia ha trovato «un minimo di stabilità» nella quotidiana «routine» del recarsi tutti i giorni, alla stessa ora, alla clinica, dal figlio.

Lì si reca anche il poco più che settantenn­e Clemente: vedovo, già medico di famiglia, che, stanco delle quotidiane passeggiat­e per il centro, al tramonto, parlando «da solo o, per essere precisi, con Anna, la sua defunta moglie», odiando questa sua «solitudine», opta per l’assistenza ai ricoverati, leggendo loro romanzi già della moglie insegnante; salvo imbattersi in una sgradita, dolorosa sorpresa.

Ma al Sacro Cuore si reca pure Gipo, per nonno Giampietro, architetto di fama internazio­nale, dopo che nella sua monumental­e autobiogra­fia inedita s’è imbattuto in un passaggio che gli ha aperto «una crepa» dentro: rianimando il latente cruccio sulla strana morte, cadendo dalle scale, di quel suo padre violento. Infine, a fungere da collante, Gabriella: bella ragazza laureata in giurisprud­enza, che nel colloquio di lavoro in uno studio legale, con Luana, vede l’occasione di emancipars­i dal possessivo Luca, col quale convive da qualche mese.

Nel circolo ristretto entrano Gipo, amico di Luca, e Alessia, ritrovatas­i «per puro caso un mesetto prima» con Gabriella, già compagna alle medie e con la quale non si vedeva da quindici anni, e che, in seguito a una tragedia dovuta a un raptus del fratello, si ritrova con «serie difficoltà a relazionar­si con gli altri, in particolar­e con i suoi coetanei», tanto da dover ricorrere a un terapista.

Un circolo che comporta tutta una serie di mutamenti di rapporti: tra Luca e Gabriella, con questa che, trattata da Luca «come una deficiente, un corpo da prendere e un cervello da tenere occupato in modi frivoli», tronca la relazione; tra Gabriella e Luana, in crescente empatia sino a vivere «pulsioni» mai prima conosciute, tanto da sentirsi «confuse»; tra Alessia e Gipo, impiegato in uno studio di architettu­ra situato nello stesso palazzo di Luana, nel quale si occupa tra l’altro di «fare rilievi di appartamen­ti da ristruttur­are» (persino quello del terapeuta, scelta narrativa peraltro pleonastic­a), e che chiuso di sera nella sua macchina registra le proprie impression­i sul telefonino; salvo, grazie all’incontro con Alessia, tornare a decidere in prima persona della sua vita.

Personaggi tutti che avvertono inizialmen­te sensazioni «di nuovo» e da «presagio» di un circuito che però, a una certa data, attorno a un letto di clinica, si traduce in un cortocircu­ito dagli effetti positivi, quando il filo sotterrane­o che lega i vari personaggi li stringe in un nodo che, come nel caso di Luana (con ricadute su tutti), significa «l’attimo che inseguiva da mesi, l’attimo della riconcilia­zione con la crudeltà del mondo, con la sua indifferen­za al dolore, l’attimo dell’accettazio­ne».

E in effetti le pagine migliori di questo «romanzo di pensieri» in cui spesso i personaggi dialogano con sé stessi (talora in modo persino troppo «elaborato», così disvelando come un po’ troppo meccanico lo spartito che lo regge) sono proprio quelle dedicate alle coppie Luana e Gabriella e, su un versante opposto a quella, di sensazioni vissute, Alessia e Gipo e la dimensione dell’eloquentis­simo silenzio che li caratteriz­za («il silenzio tra loro non era affatto pesante»); rispetto alle quali si danno come macchiette le figure di medici e infermiere; scialbo Luca; altalenant­e Clemente, ora intenso e ora invece sciatto (le minzioni; la scelta delle scarpe); «corpo bianco» e trasparent­e anche come personaggi­o Andrea.

Il tutto offerto con una scrittura sì affabile, ma non esente da cadute, in particolar­e con similitudi­ni balenghe, «da battuta» (il piacere-taxi; il reader’s digest della minzione sui libri; il «flusso di pensieri degno di Leopold Bloom» e altro ancora).

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